DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Marco Giusti per Dagospia
Se ne va a 98 anni Roger Corman, mitico King of B’s, regista, produttore, distributore che si è inventato gran parte del cinema moderno, come farlo, quali storie scegliere, a chi farlo fare. Non parlano solo i 493 film che ha prodotto, una massa davvero sterminata di prodotti di serie B di ogni genere, horror-western-bellici-fantascientifici-peplum, i tanti capolavori internazionali che ha distribuito in America, tra film di Bergman, Fellini, Kurosawa e Truffaut, i 56 film da regista, tra i quali svetta la saga horror legato a Edgar Allan Poe con Vincent Price strepitoso protagonista, le società di produzione che ha fatto nascere, dalla New World alla Filmgroup, dalla Concorde alla New Horizon, la New Concorde, ma anche i tanti giovani geniali autori e attori lanciati e seguiti da lui che daranno vita negli anni ’70 alla New American Cinema.
Francis Coppola, Martin Scorsese, Peter Bogdanovich, Ron Howard, James Cameron, Robert Towne, John Sayles, Jonathan Demme, Peter Fonda, Jack Nicholson, Joe Dante, nascono tutti sotto il suo sguardo e sui suoi set strampalati. Per questo venne battezzato "The Pope of Pop Cinema", "The Spiritual Godfather of the New Hollywood", "The King of Cult". E oggi tutti, da Nicholson a Carpenter lo piangono. Perfino Nancy Sinatra (“lavorare con lui su The Wild Angels è stato uno degli highlight della mia vita. Era una persona adorabile”) e Ron Howard (“era un grande uomo di cinema e un mentore. A 23 anni mi offrì la prima scena da girare”).
Solo Paul Schrader va controcorrente (“Non siamo troppo sentimentali con Corman”). Lo ricordo gentilissimo e disponibile per un’intervista che gli feci a Cannes su un folle peplm che girò in Grecia, “Atlas”, uno dei suoi rari insuccessi. Corman, checché ne pensi Schrader, offrì ai giovani autori americani la chiave per poter fare qualsiasi tipo di film a basso costo, per sostituirsi ai grandi Mogul di Hollywood con idee più fresche e un nuovo tipo di sistema produttivo. Se c’è stata una rivoluzione a Hollywood e nel cinema americano va riconosciuta a Corman la paternità sui geni del cinema che l’hanno guidata.
Come spiegò nel suo fondamentale libro “How I Made A Hundred Movies in Hollywood – and Never Lost a Dime”, per Corman contava più del messaggio, più di qualsiasi ideologia, il modello produttivo. Poter fare in due giorni e una notte, come fece nel 1960, un piccolo horror rivoluzionario come “The Little Shop of Horrors”. O contrapporre agli horror della inglese Hammer Film una serie di horror americani a colori seriali a basso costo che potessero sfruttare lo stesso successo internazionale e inserirsi in quel filone.
Film come “Il pozzo e il pendolo”, “The Raven”, “La tomba di Ligeia”, “The Terror”, “I racconti del terrore”, quasi tutti scritti da Richard Matheson e interpretati da Vincent Price dove si formeranno Jack Nicholson, Peter Bogdanovich, verranno visti dai ragazzi di tutto il mondo, anticipando tutti gli horror che vediamo oggi. Da regista Corman toccò anche temi difficili, come il razzismo nel sud, con “The Intruder”, che venne premiato a Venezia, ma che fu, come lui stesso ammise, “la più grande sconfitta della sua carriera”.
Perché, pur amato dalla critica, non funzionò in sala e gli fece capire che se vuoi fare cinema, devi lasciar perdere i messaggi sociali o politici. Girò film anche più ricchi per le produzioni di Hollywood, come “Il massacro di San Valentino” con Jason Robards e George Segal per la Fox, spendendo 400 mila dollari in meno del previsto, ottimi film di gangster come “Machine Gun Kelly” con Charles Bronson, “Bloody Mama” con Shelley Winters e un giovane De Niro, “Von Richtofen and Brown” con John Phillip Law e Don Stroud, stravaganze come “Gas!”, “Deathsport”, film psichedelici che anticipavano “Easy Rider” come “The Trip” con Peter Fonda.
Dopo aver venduto il copione di un western scritto da Robert Towne alla Columbia. “The Long Ride Home”, dopo poche settimane di riprese lasciò il set e venne sostituito alla regia da Phil Karlson e il film venne ribattezzato “A Time for Killing”. Negli stessi anni finanziò due western amati in tutto il mondo diretti da un suo pupillo, Monte Hellman, “Shooting” con Jack Nicholson e Warren Oates e “Ride the Whirlind” con Nicholson, Cameron Mitchell e Harry Dean Stanton, ma finanziò anche il primo film di Peter Bogdanovich, “Targets”.
Completò per la Fox uno sciagurato “De Sade” con Keir Dullea e Senta Berger che mi piacerebbe rivedere, quando il regista, Cy Endfield, si sentì male. Ma soprattutto seppe vedere, capire cosa voleva il mercato, come poteva indirizzarlo con un cinema a basso costo ma dignitoso e personale, e seppe insegnare a tutta una nuova generazione di cineasti come fare cinema e perché farlo. Rispetto a altri produttori americani e internazionali, il cinema di Corman conquistò quasi da subito il profondo rispetto della critica, soprattutto quella più giovane, tanto che già nel 1964 la Cinémathèque Françoise gli dedicò una retrospettiva e venne indicato, come i grandi maestri italiani dell’horror, Mario Bava e Riccardo Freda, come figura fondamentale del cinema gotico del tempo.
E non solo. Nato nel 1926 a Detroit, in Michigan, da famiglia cattolica, studiò ingegneria a Stanford. Lavorò anche come ingegnere per un po’, ma smise subito. Non era il suo lavoro. Alla Fox lavorò come lettore di copioni già nei primi anni ’50. Lesse, ma dette anche idee che vennero sviluppate per “The Gunfighter”, un western innovativo con Gregory Peck diretto da Henry King. Ma non ricevette alcun credito sui titoli di testa e lasciò la Fox e il lavoro. Studiò letteratura inglese a Oxford e iniziò a vendere copioni a Hollywood.
Ma il primo che riuscì a piazzare nel 1953, che diventò “Highway Dragnet” con Richard Conte e Joan Bennett, gli dimostrò che Hollywood stravolgeva le idee sue e di chiunque. Per difendere il suo cinema capì che c’era un solo modo. Diventare produttore di se stesso. Farsi i suoi film, anche a basso, bassissimo costo. La stessa strada la prese anche il fratello più giovane, Gene. Così dette vita prima alla Palo Alto, con la quale produsse nel 1954 “Monster from the Ocean Floor”diretto da Wyatt Ordung e poi il crime “The Fast and the Furious” diretto da John Ireland, che vendette alla ARC, che poi divenne American International Pictures, fondata da James H. Nicholson e Samuel Z. Arkoff, e con loro girò i primi film sia da produttore che da regista, come il piccolo western a colori “Five Guns West”, seguito da “Apache Woman”.
Quando la ARC divenne American International Pictures, cioè la AIP, Corman diresse il fantascientifico “It Conquered the World”, ma lavorò anche per la Allied Film di Walter Mirisch, con un altro fantascientifico, “Not of this Earth”. Alternò per vent’anni l’attività di produttore e di regista, dando vita a una quantità incredibile di film, muoivendosi fin troppo rapidamente da una produzione all’altra. A volte mettendoci soldi suoi altre no. Lo vediamo produrre film del tutto diversi, “Stakeout on Dope Street” di Irvin Kershner, “Night of the Blood Beast” di Bernard Kowalski, “Crime and Punishment U.S.A.” di Denis Sanders con George Hamilton.
Col fratello Gene, nel 1959, fonda una piccola società, la Filmgroup, per produrre film in bianco e nero da dare nei drive-in in come double pictures, cioè da abbinare a un film più importante. E’ con la Filmgroup che offre a Monte Hellman la possibilità di girare il suo primo film da regista, “Beast from Haunted Cave”. Quando la AIP gli chiede di dirigere una serie di horror in bianco e nero a basso costo, Corman offre una serie a colori poco più costosa di classici di Edgar Allan Poe adattati da Richard Matheson. Il primo fi “House of Usher” con Vincent Price, e fu un grande successo, presto seguito da “Il pozzo e il pendolo”, sempre con Price.
“Sepolto vivo” lo girerà invece con Ray Milland per un’altra produzione. Nel calderone delle sue produzioni, per la Filmgroup metterà in piedi nel 1962 uno strano film di fantascienza, “Battle Beyond the Sun”, che è in realtà un film russo del 1959, “Nebo Zovyot”, doppiato e rimpolpato con nuove scene girate da un giovane Francis Coppola. Mentre andava avanti con la serie degli adattamenti di Poe, usando il set di “The Raven”, dette vita a un altro film per la Filmgroup, ma distribuito dalla AIP, “The Terror” con Boris Karloff e Jack Nicholson che venne girato un po’ da Monte Hellman, da Coppola e da Jack Hill.
Fu Corman a produrre l’opera prima di Coppola, “Dementia 13”, l’anno dopo. Tra i registi che esordirono negli anni ’70, quasi tutti gli devono qualcosa. Pensiamo a Joe Dante, che montava i trailer per i film della sua New World e fece esordire con “Piranha”, scritto da John Sayles. A Paul Bartel che si ritrovò un successo del calibro di “Death Race 2000”, a Ron Howard che fece esordire con “Grand Theft Auto”.
In un mare di film, diretti e prodotti, non sarebbe male recuperare qual che titolo più strano, come il post-apocalittico pre-Mad Max “Gas-s-s-s” del 1970, mai arrivato in Italia, o “The Wild Angels” con Peter Fonda, Nancy Sinatra, Bruce Dern e Laura Dern, sul mondo delle motorcycle gang o il fenomenale “The Trip” con Peter Fonda, Dennis Hopper e Susan Strasberg. La verità è che Roger Corman ci aprì non solo un mondo, ma tanti mondi diversi. E lasciò tutte le porte aperte. Il suo ultimo lavoro da regista fu “Frankestein Unboud” girato nel 1990, dopo anni di assenza dal set, con Raul Julia, John Hurt, Bridget Fonda, Nick Brimble.
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