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Marco Giusti per Dagospia
Cannes 2012. Ottavo giorno. Ancora uno sforzo, ragazzi. E' arrivata Nicole Kidman con due film, "The Paperboy" di Lee Daniels, il regista afroamericano di "Precious", premiato proprio a Cannes due anni fa, e, fuori concorso, la biografia su Hemingway di Philip Kaufman che si vedra' stasera.
Per "The Paperboy", la Kidman, vestita di rosso in conferenza stampa, si porta dietro le due star maschili del film, l'idolo delle ragazzine Zac Efron, meno espressivo degli alligatori impagliati delle paludi della Florida che vediamo nel film, e il sempre più interessante Matthew MacConaughey, che invecchiando dimostra di essere anche un buon attore (pensiamo anche a "Killer Joe").
Per stupirci, la Kidman si lancia, truccata e vestita da Barbie quarantenne attizzamaschi nel profondo sud di un'America della torrida estate del 1969, in piena esplosione di lotta per i diritti civili dei neri e di rivoluzione musicale nera, in una serie di scene che dovrebbero rimanerci impresse. Come un pompino virtuale a gambe spalancate e collant bucato nel parlatorio della prigione al suo spasimante galeotto, un John Cusack d'alta classe nel ruolo di un rozzo scuoiatore di alligatori.
Poi un pissing in faccia a Zac Efron per salvarlo dalle ferite delle meduse (il poveretto si era buttato in acqua come un ossesso per sbollire dal folle desiderio di lei). E ancora una scopatone selvaggia sulla lavatrice con John Cusack appena uscito di prigione commentata con un "Scopi sempre cosi', come fosse l'ultima volta?".
Ammettiamo che la Kidman le prova tutte per stupirci, e ci casca secco Zac Efron, che la vede come la mamma che non vede più. Siamo di fronte a un giallo, abbastanza solido, scritto da Pete Dexter una decina d'anni fa, che la Kidman ha cercato di mettere in piedi da anni con la regia di Pedro Almodovar. Forse perche' un lato gay nella vicenda. Con l'ingresso di Lee Daniels nel film, che ha scritto assieme allo stesso Dexter, e' entrata molta cultura nera degli anni '60 nella vicenda, e il personaggio della cameriera Anita, interpretato dalla grande Macy Gray, ha un ruolo importante di narratore.
Due inchiestisti del Miami Time, uno bianco e uno nero, Matthew MacConaughey e David Oyelowo, cercano di capire qualcosa dell'omicidio di un poliziotto fetente accoppato in un paesino caldo e razzista. E' accusato, senza grandi prove, John Cusack, solo perche' ha gia' tagliato un dito a un poliziotto. Il paesino e' proprio quella dove e' nato e cresciuto Matthew MacConaughety, che si fara' aiutare nell'inchiesta, dal fratellino Zac Efron.
L'unica tramite che hanno con l'incriminato e' la scatenata Charlotte, la Kidman, che si e' specializzata come sogno scopereccio dei carcerati e giura di voler sposare il rozzo John Cusack. Da li' parte il giallone, che funziona più' nella prima parte, con la costruzione dei personaggi, che nella seconda, più d'azione, che poggia su Zac Efron, abbastanza inconsistente.
Insomma, un mischione tra Tennesse Williams e "La calda notte dell'ispettore Tibbs" carino, ma niente di più.
L'altro film in concorso, il misterioso "Post Tenebras Lux" del messicano Carlos Reygadas, visto ieri sera, ha raccolto i maggiori fischi e boati sentiti al festival. Anche i fan del regista, che a Cannes raccolse notevoli consensi e premi da "Japon Japon" a "Battaglia nel cielo", provocando i cattolici col suo pompino metafisico reale, si sono domandati il perche' di quest'opera poco comprensibile che Reygadas ha definito impressionista e tratta dai suoi ricordi e dalla sue memorie più' segrete.
Anche qui si segnalano sesso, violenza, differenze di classe e angoscia cucite in salsa autoriale e messicana. Il film inizia alla grande con una bambina molto piccola, figlia del regista, sperduta in un campo in mezzo ai buoi e ai cavalli, protetta dai cani mentre stanno scendendo le tenebre e un brutto temporale. Al posto della luce arriva pero' un diavolone tutto rosso con codone e pisellone che se ne va in giro per una casa (ma di chi?) con una borsa da dottore.
Un bambino lo vede e lui entra nella stanza, pare, dei genitori. La storia segue poi la famiglia della bambina della prima scena in una villa in piena foresta messicana. La mamma, Natalia, vera moglie del regista, e i due bambini, deliziosi, svegliano il padre, che e' un alto borghese problematico.
Nel corso del film scopriremo che la moglie non lo regge più, lui e' un violento, massacra un cagnolino mordace ("distruggo tutto quello che amo di più" e' la sua scusa), vorrebbe scopare sempre, le dice addirittura "stasera dammi il culo" (giuro) e lei acceterebbe pure per disperazione, poi litigano e lei promette di mollarlo. Ma soprattutto parla sempre, e questo lei proprio non lo regge.
C'e' pure un sogno (di lei, ovviamente) che vede i due in un bagno turco pieno di uomini e donne nude, dove lei si fa scopare davanti a lui da altri uomini con la testa fra le tette di un personaggio materno. Alla fine ci pensa un villico a calmarlo con un colpo di pistola (non ci si puo' fidare della servitu' nemmeno in Messico), poi torna il diavolo e parte un finale con una partita di rugby che dovrebbe farci capire che Reygadas ha studiato in Inghilterra. Mah!
Le singole scene sono notevoli, traspira una violenza tra i sessi e fra le classi reale, ma non si riesce a percepire, come nei suoi precedenti film, "Battaglia nei cieli" un piano complessivo. Resta, in questi ultimi film visti a Cannes, una gran richiesta di sesso anale. A parte "Post tenebras lux" e "The Paperboy" anche Buscemi ne sa qualcosa in "On The Road".
Mentre il grande James Gandolfini, killer alcolizzato e puttaniere nel geniale "Killing Then Softly", si lamenta con una mignotta avida e senza cuore con la fulminante battuta "crede che il suo buco del culo sia patrimonio nazionale". Vanno forti anche i diavoloni cazzuti, come dimostra sia il film di Reygadas che "Holy Motors" di Leos Carax, che cresce nella memoria e negli umori dei cinefili più oltranzisti, mentre ci stiamo un po' tutti scordando di "Reality" di Garrone...
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