GIORNALISTI A PARCHEGGIO - PAOLO GUZZANTI RACCONTA LO SFORTUNATO TENTATIVO DI SCALFARI DI FAR DIGERIRE ALBERTO RONCHEY AI SUOI LETTORI (E VICEVERSA) - NEL 1981, COL CORSERA TRAVOLTO DALLO SCANDALO P2, RONCHEY ACCETTO’ LA PROPOSTA DI EU-GENIO DI PASSARE A REPUBBLICA COME “ALTRA CAMPANA”, PUR DI POTER PARCHEGGIARE L’AUTO COMODAMENTE - MA L’AZZARDO FALLI’ E UN’IMITAZIONE DI GUZZANTI FECE PRECIPITARE LE COSE…

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"Senza più sognare il padre", in libreria per Aliberti, ha la forma pretestuosa di un'autobiografia, usata per ripercorrere il lunghissimo secolo breve del Novecento. Paolo Guzzanti attraversa la sua vita dall'infanzia di guerra agli aneddoti su Repubblica. Ne pubblichiamo uno stralcio.

Da "il Fatto Quotidiano"

Nel 1981 Alberto Ronchey lasciò il Corriere della Sera, di cui era una colonna portante, e si fece convincere a venire a Repubblica. Era in corso lo scandalo della P2 e il quotidiano di via Solferino vi si trovava immerso fino al collo, perdendo copie e firme prestigiose, con grande e legittima gioia di Eugenio Scalfari che cercava di intercettare entrambe.

E Ronchey fu un'importante firma in fuga dal Corriere. Scalfari sapeva che Ronchey era un repubblicano conservatore e un anticomunista di ferro: era lui che aveva inventato "il fattore K" per indicare la palla al piede che si trascinava la politica e la stessa storia, a causa del comunismo sovietico.

Quando Ronchey si rese disponibile volendosi allontanare dall'ondata di fango che sommergeva il Corriere, Scalfari gli propose la rubrica Diverso parere che già nel titolo voleva dire: l'uomo che scrive è un corpo estraneo a questo giornale che è stato concepito e portato al successo principalmente per catturare un pubblico di simpatizzanti di sinistra, ma proprio per questo il suo diverso parere va visto come un esercizio dialettico, la curiosità di sentire l'altra campana.

Eugenio Scalfari mi disse: "Ronchey ha detto che voleva venire da noi perché a piazza Indipendenza c'è il garage a pagamento, mentre quando va al Corriere non riesce a parcheggiare. Gli abbiamo offerto un posto macchina permanente e lui è venuto. Però l'ho avvertito: cerca, se ti riesce, di tener conto di lettori diversi da quelli che ti leggevano sul Corriere. È una sfida: devi mettere a punto un linguaggio e una forma di comunicazione adatta ai diversi lettori, se vuoi che leggano il tuo ‘diverso parere'".

Il Diverso parere di Ronchey su Repubblica fu un fiasco: pubblico scarso e irritato. Accadde così che una delle mie più irresponsabili vocazioni provocasse un curioso incidente. Una sera fui invitato a cena da Giovanni Minoli che abitava in via dei Prefetti. A quell'epoca frequentavo la casa di Minoli e di sua moglie Matilde Bernabei. [...] Minoli riempiva spesso il suo salotto di politici e giornalisti ed era diventata una tradizione della tarda sera fare un salto a casa sua, a pochi metri da piazza del Parlamento.

Lì in genere davo il meglio del peggio di me, facendo teatro dal vivo: fattacci del giorno, miserie di redazione, retroscena politici. Il mio arrivo era dunque in genere considerato come l'inizio di uno spettacolo, e in quell'occasione aiutai senza averla programmata l'uscita definitiva di Ronchey da Repubblica [...]. Quando arrivai una grande tavolata era come d'abitudine imbandita di cibo senza ordine di portata, visto che gli ospiti arrivavano e ripartivano alla spicciolata [...].

Vidi in un angolo del salotto seduti Giuliano Ferrara, Lucio Colletti (il filosofo marxista che sarebbe passato con Berlusconi) e lui, Alberto Ronchey che "Fortebraccio", lo straordinario Mario Melloni corsivista dell'Unità, chiamava sarcasticamente "l'ingegner Ronchey" per il suo maniaco ordine nell'esposizione degli argomenti, la precisione dei concetti e del lessico. Era proprio questo il carattere "di destra" che veniva rimproverato a Ronchey: l'assenza di qualsiasi concessione emotiva alla trattazione di argomenti di politica e ideologia, magari esprimendo disprezzo per le opinioni altrui.

La sua asciuttezza ingegneresca, frutto di una documentazione accurata e un senso della logica ferreo, costituivano insieme il suo stile e il suo contenuto. Ronchey non si era affatto curato di compiacere i lettori di Repubblica con un linguaggio a loro gradito, ma li aveva irritati con il suo modo di ragionare rigorosamente pragmatico, dunque "di destra". Bisognava dunque prendere atto del suo fallimento. Ma i rapporti personali fra lui e Scalfari, le naturali ritrosie e timidezze stavano trascinando la questione per le lunghe.

Così, d'istinto, vedendo Ronchey al quale andava tutta la mia simpatia, volli dargli una mano mettendo in scena il principio di realtà, il vero stato dei fatti, come piaceva a lui. Assunsi la postura di Eugenio "con la testa portata come il santissimo", per usare la definizione del suo amico Carlo Caracciolo, impostai la voce sulla tipica tonalità roca, scandita e con quel particolare romanesco datato e aulico che Scalfari usava nei momenti solenni ma privati e dissi ad alta voce:

"Alberto, ma si può sapere che vuoi? T'avevo detto de veni' ascrive pe' Repubblica, ma ricordandoti che i miei lettori so' tutti comunisti. Je dovevi parla' come parlano loro. E tu, invece, che hai fatto? Hai seguitato a scrivere le cazzate di prima con lo stesso stile di prima. È così che hai mandato tutto a puttane e adesso te toccherà trovare un altro garage per parcheggiare. Ma sai che te dico? Che è mejo che te ne vai affanculo al Corriere della Sera, invece di sta' a rompe i coglioni da noi".

Una cappa di gelo scese su Ronchey, mentre tutti risero e qualcuno applaudì. Dopo cinque minuti Ronchey prese il cappotto, salutò i pochi con cui aveva chiacchierato e infilò la porta. Il giorno dopo Eugenio mi mandò a chiamare: "Mi dicono che tu nei salotti romani mandi Ronchey affanculo con la mia voce". Mi strinsi nelle spalle. Eugenio disse: "Me la fai anche a me?". Riprodussi e Scalfari: "A parte che la voce non somiglia, cerca di trattenerti la prossima volta".

 

PAOLO GUZZANTI SENZA PIU SOGNARE IL PADRE jpegPAOLO GUZZANTI AL BAGALINO guzzanti paolo senEUGENIO SCALFARI E MARIO PANNUNZIO NEL 1957EUGENIO SCALFARI NEL 19805c30 alberto ronchey arrigo leviMATILDE BERNABEI E GIANNI MINOLI GIANNI MINOLI MATILDE BERNABEI - Copyright Pizzi