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Intervista di Maurizio Porro a Paolo Villaggio per “Corriere della Sera”
A parte «felliniano», che fa storia a sé, «fantozziano» è l' unico aggettivo in cui si riconosce il cinema comico italiano. Fantozzi è l' unica maschera dopo Totò della moderna commedia dell' arte. La targhetta sulla porta è rag. Fantozzi Ugo, professione umiliato e offeso, maldestro, il Paperino dell' Italia del boom. È ingordo, servile, laido, senza talento, la trasfusione del dna di Sordi in cartoon, un uomo fatto di stracci che si chiamava infatti «Fantocci».
E che sarà protagonista della collana «Paolo Villaggio - 40 anni di risate»: 40 dvd in uscita da oggi con il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport a 9,99 euro più il prezzo del quotidiano. Sono 50 anni che conviviamo col suo gergo burocratese («com' è umano lei», «divano di pelle umana», «megagalattico»), nato in tv, approdato sul settimanale L'Europeo , poi libri e film, condomino dell'Italia che non arriva a fine mese.
L' uscita dell' opera omnia del surreale Paolo Villaggio, 82 anni, comprese performance d'autore con Fellini, Monicelli, Wertmuller (manca solo Olmi), in attesa che i primi Fantozzi tornino in sala, ne parliamo con l' attore autore che dal '75 è stato dieci volte Fantozzi.
«Abbiamo atteso 10 anni per il primo film, nessuno ci credeva anche se il libro vendette 1 milione e mezzo di copie: i numeri comandano, come oggi in una tv dove si parla solo di cucina o di animali. E il pubblico era tutto con noi».
A cosa deve questa adesione di massa?
«Chiariamo subito che Fantozzi ero io. Certo, con qualche paradosso, ma era l' autoritratto di un perdente che conoscevo bene. Era una specie di confessione. Io Paolo avevo l' aspetto di duro, invidioso e cinico, più tutti i difetti possibili, ma il più grave era un' assoluta insicurezza di cui conoscevo i contorni e i motivi».
la signorina silvani anna mazzamauro
Ce li dica...
«Per esempio una madre sessuofobica per cui fino a 18 anni non ho avuto il coraggio di corteggiare una ragazza. Mi è venuto bene perché è tutto vero, pur esagerando».
E la gente ha gradito?
«La gente si è riconosciuta. Mi dicevano che Fantozzi somigliava a un amico, allo zio, a un collega perché non avevano il coraggio di dire che loro stessi erano uguali e così volevano insabbiarlo. Quando lo ammisero, ridendo, fu la liberazione collettiva fondamentale».
Quindi antropologia, sociologia, marxismo…
«Ma no, non usiamo paroloni. Era faccenda di psicologia quotidiana applicata al 99% della popolazione maschile, tutta perdente. Riconoscersi ebbe un valore terapeutico ed anche rallegrante».
Una medicina dolce. Ma il famoso messaggio c' era?
«Sicuro. Diceva: non vi preoccupate, siamo tutti nella stessa barca, quelli che riescono sono l' 1 per mille almeno nella cultura competitiva all' americana».
Ma Fantozzi è italiano...
«Certo, ma abbiamo imparato dagli americani che al momento delle presentazioni ti chiedono: quanto guadagni? Noi ci giriamo intorno più insidiosi: che lavoro fai? Dove mangi? Ma in realtà vorremmo sapere del conto in banca perché si frequentano i danarosi, i famosi. La morale è continuamente violata, la bontà e l' amicizia non sono più unità di misura, neppure la nobiltà, solo i soldi: quando uno diventa povero infatti perde amici ma scopre altri valori base».
Fantozzi è un ometto che perde sempre. Perché fa ridere?
il ragionier filini gigi reder
«Perché esagero apposta i difetti, Fantozzi è sfortunato totale, ha la nuvoletta che lo insegue; perché i comici ricordano l' infanzia, il periodo felice, spensierato della vita e gli piace ridere dei loro vizi: ubriaconi, ignoranti, stupidi. La risata rassicura».
A volte il personaggio sembra un cartone animato. Voluto?
«A 18 anni dopo la maturità passai un anno a Londra e tutti i giorni andavo a vedere quei fantastici cartoon Warner, gatto Silvestro, il Coyote, Beep beep e rimasi affascinato dalla meccanicità sicura delle gag che ho ripreso poi al cinema».
Una citazione, si dice oggi.
«No, proprio copiato di sana pianta. Io sono un attore mediocre, mica bravo come Tognazzi, Giannini o Mastroianni. Ma ho avuto prestazioni notevoli come nel Bosco vecchio di Olmi, con Monicelli e Fellini, vincendo il David pur avendo come concorrente Benigni».
Veniamo alla Potemkin. Mai pentito di averla definita «una cagata pazzesca»?
«Mai. Ero uno dei sacerdoti della Potemkin e del cinema d' arte un pochino noioso, mica con la fantasia di Fellini, ma che era obbligatorio esaltare. Una sera, ci dissero che non erano arrivate al cineclub le "pizze" della Potemkin e diedero finalmente la Giovannona coscialunga. Fu un trionfo. C' era anche chi non sapeva cosa fosse la Potemkin e io dicevo che era il nome di un nobile russo, ma erano i cinefili che ridevano, quelli del dibattito».
Tra i comprimari di Fantozzi chi preferisce?
«Il più divertente per me è il rag. Filini, il bravo Gigi Reder, ma tutti erano azzeccati, la Mazzamauro è attrice comica bravissima nel fare la brutta che si sente bella e la Vukotic è magistrale come vittima designata, moglie serva di un marito servo di altri che sfoga in casa la rabbia repressa: fondamentalismo senza burqa».
E la figlia bruttissima?
«Questa è una bella storia. Mariangela doveva essere una ragazza orrenda, scimmiesca ma non potevamo invitare le mamme a portarci le loro figlie mostruose così alla fine scegliemmo un nano, tra i 40 e i 50, lo travestimmo da donna, ma poiché aveva certi problemi di salute mentale, quando lavorava con noi perdeva una certa pensione di malattia, allora a un certo punto ha smesso».
Quali sono i migliori Fantozzi?
«I primi due di Salce, uomo geniale, umorista finissimo, è stato il 50% del successo interpretando gag dei libri trasferiti al cinema da Benvenuti e De Bernardi. Poi Neri Parenti, abbiamo fatto ditta fissa».
Ed oggi?
«Oggi più si abbassa il livello e più si alzano i numeri e così la tv si è tradita come maestra di vita. Ai tempi di "Quelli della domenica", a Milano, dove approdai dopo essere stato scoperto in un cabaret a Roma da Costanzo, era tutto diverso. Marchesi, Terzoli e Vaime adoravano la nuova comicità ed ecco esplodere me, Cochi e Renato, che non parlavamo dialetto. I più grandi come Totò e Sordi hanno sempre avuto all' estero l' handicap del dialetto».
Dice di essere mediocre: un vezzo.
FANTOZZI 1RAGIONIER UGO FANTOZZI
«Ma no, è vero, nel senso che non sono un genio, solo ho ereditato un tipo di comicità dell' ambiente snob intellettuale di Genova: noi che amavano la Potemkin perché sotto sotto rivendicavamo la sofferenza».
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