giorgio armani

RE GIORGIO LASCIA: ECCO A CHI PUÒ FINIRE ARMANI - LO STILISTA AL "FINANCIAL TIMES": “TUTTO SOTTO CONTROLLO, L’ANNUNCIO AL MOMENTO GIUSTO" - UNA FONDAZIONE GARANTISCE LA CONTINUITÀ DEL GRUPPO DAL 2016. MA NON È UN SEGRETO CHE ARNAULT, PATRON DI LVMH, HA CORTEGGIATO PER ALMENO 10 ANNI ARMANI PERCHÉ CONFLUISSE NELL'IMPERO LOUIS VUITTON…

Ugo Bertone per Libero Quotidiano

 

ARMANIARMANI

«Tutto è sotto controllo. E quel succederà sarà annunciato al momento opportuno». Giorgio Armani, a pochi giorni dal suo compleanno (festeggerà 83 anni l' 11 luglio prossimo), lascia cadere la novità nelle ultime righe di una lunga intervista a "How to spend it", la Bibbia del lusso del Financial Times.

 

Il divin Giorgio non aggiungere una parola di più al tema della successione alla testa dell' Impero. Ma tale e tanta è l' attenzione per le sorti del gruppo creato dallo stilista nel 1975 assieme al partner Sergio Galeotti (scomparso nel 1985), che nel mondo del business sono già riprese le speculazioni sul futuro del marchio più prezioso del made in Italy.

 

In realtà, sotto il profilo societario, il gruppo ha già ricevuto una sistemazione precisa nel 2016 quando, dopo quattro anni di riflessioni, è stata creata una fondazione con il compito di mantenere il gruppo così come è fin dalla sua nascita. Con la massima attenzione allo stile ed alla qualità, con una gestione prudente e l' obbligo di non distribuire utili che invece, come è sempre avvenuto, devono essere usati per la crescita e per fini istituzionali.

 

Una missione "blindata", affidata ad un consiglio di amministrazione composto dallo stesso Armani, da Pantaleo Dell' Orco, da sempre il manager più vicino allo stilista, e da Irving Bellotti, banchiere presso Rothschild, ma che non scioglie il mistero della successione e, di riflesso, sulle scelte per tramandare il fascino di un' avventura durata finora 42 anni («per l' 80 per cento frutto di disciplina, al 20 per cento di creatività») che, confida: «Mi ha dato molto di più di quanto io abbia mai osato immaginare nei sogni più sfrenati anche sono vent' anni fa».

I numeri dell' impero, infatti, sono davvero da favola: 2.983 punti vendita disseminati in tutti i continenti che occupano 9.000 dipendenti.

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Una struttura che continua a macinare ricavi (+4,5% nell' ultimo anno a 2,565 miliardi di euro) ed a consolidare la fortuna del creatore, stimata in 8,3 miliardi di dollari da Forbes ma anche un' imprea formidabile che continua ad espandersi in tante direzioni: non solo moda o profumi («nel mondo ogni minuto si vende un flacone di Acqua Giò a 52 euro l' uno») ma anche alberghi, immobili, design e perfino l' espansione dei club Armani/privé («ogni capitale dovrebbe averne una»). Una macchina da guerra che, sottolinea nell' intervista lo stesso Armani, «deve essere seguita in ogni dettaglio come fosse un bambino». «Non è possibile delegare o trascurare il minimo particolare - aggiunge - altrimenti ne soffrirà l' intera costruzione.

 

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Tocca sempre a me individuare gli errori e trovare una soluzione: io ho fiducia nei miei collaboratori, ma sono solo io a prendere le decisioni finali».

Bastano queste parole per capire che la successione del marchio principe del made in Italy da quasi mezzo secolo non sarà una cosa semplice.

 

La fondazione può garantire un futuro efficiente e stabile sia sotto il profilo successorio che fiscale.

 

La struttura societaria del gruppo, nel frattempo alla vigilia di una semplificazione dei brand (resteranno solo Giorgio Armani, Emporio Armani e A/X Armani exchange mentre Armani collezioni e Armani jeans saranno riportate in Emporio Armani) può rivelarsi adeguata e flessibile il giusto. Ma la navigazione sarà comunque agitata.

 

Non è un segreto che Bernard Arnault, patron di Lvmh, ha corteggiato per almeno dieci anni Armani perché confluisse nell' impero Louis Vuitton con la massima garanzia di autonomia. E non sarà certo lo schermo di una Fondazione a dissuadere l' uomo più potente dell' industria del lusso a rinunciare al suo sogno. Come ha dimostrato il tentativo, peraltro fallito, di conquistare Hermès altro oggetto del desiderio.

 

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Non c' è peraltro al mondo private equity o fondo sovrano che non aspiri a prendere una quota o stabilire un collegamento con il brand Armani, magari partendo da qualche nuova iniziativa. Armani, che ne è consapevole, afferma di aver già preso le decisioni più opportune per difendere un marchio globale, del resto ormai così forte da sfidare i vincoli della moda: «Non ho mai pensato che se qualcosa è nuovo, è anche automaticamente giusto».

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