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PARMA LETALE: VENI, VIDI, VERDI! – I LOGGIONISTI DEL TEATRO REGIO, LA CASSAZIONE DELLA LIRICA, RICORDANO QUANDO IL TENORE BERGONZI NEL 1959 IN AIDA SCIVOLÒ IN UNA NOTA IN FALSETTO, E QUELLI GLI GRIDARONO: “BRAVO TAJOLI”. UN'ONTA: DA TENORE VERDIANO AL PARAGONE CON UN CANTANTE DI SANREMO, LUCIANO TAJOLI - A UN’AIDA C’ERA UN TENORE PICCOLETTO, QUANDO ATTACCÒ “SE QUEL GUERRIER IO FOSSI”, DAL LOGGIONE GLI GRIDARONO: “AVRESTI PERSO LA GUERRA” – I LOGGIONISTI A PARMA SONO POLEMICI CON I REGISTI E IN POLEMICA CON GLI ESPONENTI DEL "CLUB DEI 27" (IN CUI OGNI ADERENTE PORTA PER TUTTA LA VITA IL NOME DI UN’OPERA DELLE 27 SCRITTE DA VERDI) – CECILIA BARTOLI: “L’OPERA A PARMA? SEMBRA DI STARE NELL’OTTOCENTO…”

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Valerio Cappelli per corriere.it - Estratti

 

giuseppe verdi

A fine spettacolo, ti aspetti di salire sulla carrozza nel calpestio degli zoccoli, e non sul taxi; uscendo dal Teatro Regio ti sembra di stare dentro un’inquadratura di «Senso», il film di Visconti che nel nome di Verdi insegue il significato primigenio della parola patria; hai l’illusione notturna di sorseggiare il lambrusco delle osterie, mentre in un ribollire di umori popolari si parla di arie e acuti, e ti sembra di respirare, in questo orizzonte breve, nella vita semplice della campagna, l’odore dei fienili e delle stalle.

 

La fisicità del paesaggio fu stigmatizzata dal parmigiano Bernardo Bertolucci che disse: «Quando sono in piazza del Duomo, alzo la testa e sento l’odore della campagna». Invece l’iconografia verdiana ci ha consegnato il maestro con lo sguardo intenso e accigliato verso il basso, la fronte corrugata.

 

Giuseppe Verdi nella sua terra, dove nacque e dove non si volle mai muovere (tanto che di sé disse «sono e sarò sempre un paesano delle Roncole»), è un prepotente ritorno al passato, sotto il cielo della pianura padana, alle radici profonde della melodia corale.

 

cecilia bartoli

Nel pittoresco mondo dei loggionisti, ovvero la Cassazione della lirica

Ma come si vive, oggi, l’opera a Parma? «È un modo di viverla unico, io poi ho mia mamma che è emiliana, nata a pochi chilometri da qui. Sembra di stare nell’Ottocento, come se il tempo si fosse fermato — ci dice Cecilia Bartoli che a Parma ha seguito La Bohème in jeans, tutta di giovani»:

 

«Questo è un bell’esempio di tradizione e innovazione». Ma Puccini da queste parti è un estraneo? «È un figlio di buona donna, perché crea onde emotive che ti travolgono. Verdi è un’altra cosa», rispondono i loggionisti, un fenomeno sanguigno, spontaneo e pittoresco. In passato ci voleva una passione feroce per trascorrere una notte al freddo con i falò accesi allo scopo di assicurarsi il biglietto (oggi però esiste la prelazione). Gli chiedi i cantanti ideali nei vari registri vocali, citano solo voci che non ci sono più: Cappuccilli baritono e Siepi basso, Tebaldi soprano, Cossotto mezzosoprano e come tenore Bergonzi, che qui nacque e spopolò.

 

club dei 27

Però i loggionisti, che sono la Cassazione della lirica, ricordano quando Bergonzi nel 1959 in Aida scivolò in una nota in falsetto, nell’aria Il ciel dei nostri amori, e quelli gli gridarono: «Bravo Tajoli». Massima onta, da tenore verdiano a cantante di Sanremo. «Bergonzi si offese a morte. Due sere dopo ebbe un’ovazione nella Forza del destino, lui ringraziò ma a Parma non tornò più».

 

Nel Club dei 27, dove ognuno ha il nome di un’opera verdiana

Per spiegare l’interazione tra pubblico e protagonisti, più larga di un fischio e di un applauso che si allarga allo sberleffo, a un’Aida c’era un tenore piccoletto, quando attaccò Se quel guerrier io fossi, dal loggione gli gridarono: avresti perso la guerra; a un Trovatore, Manrico deve tirarsi su la visiera ma era a capo scoperto, il Conte di Luna gli dice «discopriti», e dal loggione urlarono: ora che fai, ti tiri giù i pantaloni?

GIUSEPPE VERDI IN VERSIONE TRANS PER IL POSTER AL FESTIVAL PARMA

 

E dopo una Tosca degli Anni 60 il pubblico non voleva saperne di andarsene, il teatro fu costretto a tirar fuori il pianoforte, Corelli dopo venti minuti di applausi cantò Core ‘ngrato. E ancora quando a un soprano ritenuto scadente nel Macbeth, alla battuta «è morta la regina», da lassù gridarono: Meno male. Si potrebbe riempire un libro, con gli aneddoti parmigiani.

 

Gli chiediamo la differenza tra loro e i loggionisti della Scala. «Noi siamo più competenti», rispondono pronti. Fischiate o gridate? «Se uno canta bene applaudiamo fino a romperci le mani», dice Maria Grazia Brozzi.

 

la boheme

La lirica a Parma è consapevolezza di sé e della propria storia, è partecipazione, identità. I loggionisti sono tutti avanti con gli anni, tutti polemici con i registi, si riuniscono nel quartiere Oltretorrente, che significa al di là dei ponti (e dei benestanti). Sono il popolo.

 

giuseppe verdi 3

Con una punta di dissapore definiscono borghesi gli esponenti del Club dei 27. Si tratta dell’associazione nata nel 1958, socialmente interclassista, in cui ogni aderente, dopo un’estrazione a sorte, porta per tutta la vita il nome di un’opera delle 27 scritte da Giuseppe Verdi. Le donne sono out: «Non è maschilismo, stiamo bene così, loro hanno una associazione che si chiama Le Verdissime».

 

cibo e chiacchiere durante un intervallo della boheme al teatro regio di parma 1

 

Ci viene incontro un signore con la barba: «Piacere, io sono Luisa Miller». Superato un attimo di sbigottimento, il rito prevede che cantino Va’ pensiero, dove scrutano che l’ospite lo sappia a memoria, seguito dal grido unanime: «Viva Verdi». La sede è un seminterrato pieno di cimeli.

 

Le foto, come quella con l’ex leader birmana arrestata dal regime, Aung San Suu Kyi, cui donarono 27 rose bianche; le firme (Riccardo Muti scrive: (Difensori di Verdi); la lista dei cavalieri (Pavarotti, Domingo…); il flauto e il metronomo dell’800…

 

teatro regio parma

 

 

 

Il Club, come racconta il presidente Enzo Petrolini, impiegato bancario in pensione (lui è Un giorno di regno, la seconda opera) oggi non sono più carbonari col dito puntato sugli allestimenti ma una Fondazione che tiene alta la figura del Maestro, organizzando laboratori teatrali, eventi di solidarietà o un concorso nelle scuole elementari (gli alunni vengono istruiti prima), intitolato Tu conosci Verdi? Nessuno, sia al Club dei 27 che i loggionisti, è musicista: «Comanda il cuore. Noi siamo il pubblico». E hanno ragione. Sono accomunati dalla propensione per la tradizione e la diffidenza verso i registi innovatori e il politically correct che non vuole più Aida nera: «Bisogna contestualizzare, collocare Verdi nel suo tempo».

 

L’evoluzione del gusto, nel rispetto della drammaturgia

carlo bergonzi

Questa sensazione che il tempo si sia fermato si rispecchia nelle prove degli allestimenti, che qui durano, come nella gloriosa era di Strehler, un mese. Tempi larghi, aiutati dal lento fluire del paesaggio padano. «Una necessità di prassi musicale – dice Alessio Vlad che è il direttore artistico del Regio, dopo aver girovagato fra tanti festival, teatri e Fondazioni – a Parma ho ritrovato un’atmosfera che mi ricorda Spoleto degli Anni 70, la stessa capacità produttiva, lo stesso clima di fiducia, e giovani motivati.

 

La lirica qui è un genere condiviso. La passione ha portato a un’evoluzione del gusto. Si parla soprattutto di salvaguardia dell’esecuzione musicale». Non è questo il teatro della «rivoluzione», benché, secondo Vlad, il pubblico sia in parte disposto al nuovo: «Purchè una regia coincida col rispetto della drammaturgia, senza raccontare un’altra storia».

 

festival verdi parma 2

Al Regio resistono alcuni proprietari di palchi. In passato era prassi comune, l’impresario Barbaja al tempo di Rossini vinse l’appalto del gioco d’azzardo alla Scala. Francesca Micheli, avvocato, la passione ereditata in famiglia, col fratello notaio è proprietaria nel prim’ordine dei palchi 12 e 13, con relativi retropalchi dove all’intervallo si degustano le eccellenze culinarie del territorio, salumi e tortelli: «In passato nei palchi avveniva di tutto, vi si passava una giornata intera, si mangiava, si stipulavano contratti, si faceva l’amore».

 

cibo e chiacchiere durante un intervallo della boheme al teatro regio di parma

Nell’archivio storico del Regio abbiamo letto di una multa a una ballerina che era scappata con un ufficiale. Al terz’ordine c’è il palco di Parma Lirica (in tutto si contano cinque associazioni), di cui è presidente la musicologa Cristina Bersanelli. A Roma, le diciamo, il pubblico agli intervalli parla di dove andare a cena, voi invece mangiate parlando di musica. «Beh, parliamo anche di cibo, che è convivialità e cultura, e come la lirica il cibo viene vissuto in modo naturale».

 

L’omaggio di Vlad a Bertolucci: «Novecento, la nostra Tetralogia»

Parma, come c’è scritto sul cartello all’ingresso della città, è patrimonio creativo Unesco per la gastronomia. Molti piatti, a cominciare dal risotto verdiano, portano il nome del compositore, e nei retropalchi si sorseggia col vino «Callas».

alessio vlad foto di bacco

 

Bruno Barili nel suo celebre saggio Il paese del melodramma definì questo popolo «travagliato e con una sinistra inclinazione per la musica». I difetti di Verdi e le sue qualità, scrive, «hanno radici profonde nella nostra terra». I parmigiani si offrono al forestiero con un misto di ritrosia e comprensione di sé, e definiscono arcigni i vicini bussetani.

 

corte degli angeli a roncole verdi dove fu girato novecento di bernardo bertolucci

 

 

 

 

Ora siamo a ridosso della casa natale di Verdi, che è di fronte a quella di Guareschi. A tre km, nella Corte degli Angeli, Bernardo Bertolucci girò «Novecento», il film disteso su 50 anni, dal 1900 al ’45. Alessio Vlad definisce quel film la nostra Tetralogia, scandito come un grande melodramma verdiano: l’alba con la morte di Verdi, l’autunno con la Prima guerra mondiale, l’inverno del fascismo, la primavera della Liberazione.

BERTOLUCCI NOVECENTO

 

 

 

Alla Corte degli Angeli nell’800 lavoravano cento braccianti agricoli. Sembra di toccare con mano la fatica e il sudore. Oggi è un agriturismo di 70 ettari dagli ambienti intatti. E’ un monumento alla civiltà contadina; il regista volle coprire i capitelli del ’400 per restare nella povertà, evitando fuorvianti rimandi ad antichi lussi.

 

casa giuseppe verdi a busseto

Durante il set, che nel 1976 attraversa un anno intero, nella fattoria (oggi dismessa) si continuò a lavorare. Subito alla vista si impone il prato dove si girò la scena dell’uccisione dei partigiani, poi l’allevamento dei suini dove il fascista Attila (Donald Sutherland) fu catturato, la casa natale di Olmo (Gèrard Depardieu) nella palazzina del casaro, e poi il solaio dalla cui finestra Olmo con Alfredo (Robert De Niro) guardava la campagna, o ancora il viale del transito dei socialisti con le bandiere rosse, all’epoca costeggiato dai gelsi. «Il modello del melodramma verdiano – disse Bertolucci – è presente in ogni mio film. In Novecento ho cercato le stesse facce di contadini».

 

Bertolucci

Verdi nel suo cinema è presente in quattro film: Prima della Rivoluzione, La strategia del ragno, Novecento, La Luna. «Oltre ad essere una figura della memoria – dice Vlad che scrisse la musica per L’assedio e al regista era legato da una forte amicizia – diventa presenza viva con una funzionalità precisa: dare corpo a processi interiori che sciolgono in modo simbolico nodi narrativi».

 

Il regista oggi rivive nella mostra «Il sogno delle cose» (fino al 10 giugno all’ex Palazzo della Provincia), a cura di Maria Vittoria Baravelli, e della Fondazione Bertolucci di cui è presidente sua nipote Valentina Ricciardelli. Contiene oggetti (ognuno dei quali associato a una frase che egli amava) della casa romana del regista, in via della Lungara.

Attilio Bertolucci

 

Sono una porta aperta sul suo mondo, i due Oscar e il Leone d’oro alla carriera, il cappello, i piedi indiani di cui disse, con passo poetico, «non potendo più camminare alla fine sono un presagio di quello che sarebbe successo».

 

(…)

valerio cappelli con la moglieconservatorio arrigo boito di parma 3PARMA 11

bernardo bertoluccistefania sandrelli e bernardo bertolucci 1

giuseppe verdi 3giuseppe verdi 2busseto statua di verdi