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Marco Giusti per Dagospia
Ora. Che ci fai in un volo spaziale che dura 120 anni verso il ridente pianeta di Homestaed II assieme a altri 5000 ibernati se ti svegli, diciamo, dopo una ventina d’anni per una falla nell’ibernazione e ti rendi conto che hai altri 89 anni da passare in solitudine? Ti ripigli, ti fai un giretto su questa nave a cinque stelle, bevi un whiskey offerto dal robot Arthur. E poi? Passi un anno così. Che palle!
Per fortuna (non diciamo come) si sveglia anche la bella Jennifer Lawrence che non voleva essere svegliata. E scopri pure che a bordo c’è qualche problemuccio e il viaggio non sarà proprio una passeggiata. Difficile raccontare questo Passengers, lussuoso filmone di space-opera da 110 milioni di dollari diretto dal norvegese Morten Tyldum, quello di The Imitation Game, con la sceneggiatura dell’ormai dilagante Jon Spaihts (Prometheus, Doctor Strange), senza spoilerare qua e là.
Diciamo solo che per due ore, più o meno, abbiamo la coppia Jim Preston (10 milioni di dollari), interpretato dall’aitante Chris Pratt, e Aurora Lane, interpretata dall’altrettanto aitante Jennifer Lawrence (20 milioni di dollari), che cercano di capire sia cosa fare a bordo dell’Avalon, una sorta di Titanic di lusso, e che non vorrebbero passare 89 anni lì. Anche perché, se lui è un ingegnere meccanico, lei è una sorta di scrittrice alla moda, una Selvaggia Lucarelli senza Marco Travaglio, che ha visto questo viaggio secolare come l’occasione della sua vita.
E non le va proprio di rimanere intrappolata lì. Tydlum e i suoi scenografi ce la mettono tutta per renderci un po’ di effetto Shining e Titanic. Michael Sheen è perfetto come robot barista. Purtroppo, malgrado tutto questo dispiego di forze, il film, piacevolissimo, non va oltre a una bella pagina patinata e il regista lo porta a casa con dignità, ma senza nessuna invenzione.
Pensato una decina d’anni fa con Keanu Reeves anche produttore, e Emily Blunt, e la regia prima di Brian Kirk, poi di Gabriele Muccino e di Marc Forster, un po’ come Prometheus, mostra una sorta di involuzione nei film di fantascienza, diciamo, tradizionali. Come se ci aspettasse un futuro solitario.
Ma, solo per fare un titolo, senza ricorrere ancora una volta al Kubrick di 2001: odissea nello spazio, basterebbe ricordare come era vivo e scatenato il vecchio Robinson Crusoe on Mars di Byron Haskin prodotto da George Pal, per spiegarci come la space-opera potrebbe e dovrebbe essere vitale anche nella solitudine dei grandi viaggi spaziali. Curiosamente qui, però, si fondono assieme le idee di nave spaziale e di albergo a cinque stelle per naufraghi come era un po’ nella parte “umana” di Walle. Detto questo, si vede con estremo piacere. In sala dal 30 dicembre.
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