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Roberto Scafuri per “il Giornale”
Ci sono conti che non tornano, in questo terremoto giudiziario che ha tramortito la Capitale. In queste strade quotidianamente brulicanti di sottobosco politico, di colletti bianchi non inamidati, né tantomeno candidi, eppure indaffaratissimi che oggi, cioè ieri, stranamente erano spariti. Come se gli uffici del malaffare si fossero chiusi in se stessi, atterriti o soltanto attoniti nella lettura dei giornali, nelle pagine e pagine che danno un'idea del marcio, ma decifrabili forse solo per gli iniziati, per i commensali del nuovo sacco dei Vandali.
Sacco che non comincia certo con i mafiosi della banda della Magliana, né con Massimo Carminati. Chi conosce questi anfratti, certi salotti, certo generone degli affari sa che per «muovere qualcosa» nella Capitale bisognava necessariamente «passare» per un entourage di potere i cui nomi sono arcinoti. Talmente forte e strutturato da far ritenere impensabile l'arrivo e l'azione di un gruppo di potere nuovo, avverso, peraltro attorniato da gente con carichi penali pendenti, come si evincerebbe dalle carte dell'inchiesta «Mondo di mezzo».
Il primo conto che non torna sta già, perciò, nella lettura dei quotidiani di ieri. Perché c'è un vizio di forma e di sostanza, trascuratezza e corruzione, in quelle prime pagine scandalizzate. Così come nelle colonne di piombo all'interno. Fior da fiore, stranezza su stranezza. Prendiamo La Stampa, quotidiano con solide tradizioni d'integrità morale, d'intransigenza piemontese. C'è tutto nel titolo d'apertura: 37 arresti, la Cupola, il Campidoglio, le infiltrazioni mafiose, la procura, gli appalti, l'ex sindaco Alemanno. Persino le dimissioni del «presidente dell'Assemblea e un assessore». Un assessore e un'assemblea figli di nessuno.
All'interno, altri titoli: ancora mafia, gli appalti, le tangenti, ancora Alemanno... E nell'inchiesta spunta anche «un assessore di Marino». Marino cosa, il paese dei Castelli noto per il vino? Marino chi, il sindaco scaricato dal Pd? La parolina magica però non compare, non esiste. Né a pagina due, né nelle seguenti. Mai, neppure per sbaglio, neppure per contenere una smentita, una presa di posizione, un distinguo. Sbianchettata, epurata, rimossa. No, per carità, una semplice svista.
Ci si sposta sul quotidiano più vicino alla «Ditta», La Repubblica, dove di sicuro queste cose non accadono. Buco nell'acqua: anche qui in prima pagina l'accostamento delle due letterine, la «p» e la «d», non compare neppure in corpo 8, quello dei testi. All'interno, un «Coinvolti esponenti Pd» in un catenaccio informa timidamente che qualcosa dev'essere accaduto. «La Cupola infiltrò la sinistra» è la terza riga di un titolo in terza. Tutto qui.
Proviamo il Corriere della Sera, per capire se capiamo bene, e qui in prima, per fortuna, c'è un titolino sulle intercettazioni che pare avvertimento di sviluppi clamorosi: «Gli amici nostri del Pd». Fuochino; anzi, fuochino fatuo, perché all'interno la parolina scompare fino a pagina 6, dove parlando di «Scossa nella giunta Marino», s'aggiunge un flebile: «Si apre il caso del Pd». Potrebbe essere qualunque cosa, anche la richiesta di sacrificare l'agnello morente, Ignazio Marino, perché non s'accorgeva di quel che accadeva.
Allora, che succede? Dov'è il terremoto che scuote dalle fondamenta il potere dei Principi del Campidoglio? Ai distratti colleghi dei quotidiani «amici» ci permettiamo solo di rammentare il titolo che l'11 dicembre del 1955 un giornale assai più coraggioso recava in uno dei primi numeri: «Capitale corrotta, nazione infetta». Manlio Cancogli cominciava la serie d'una inchiesta sugli illeciti negli appalti immobiliari di Roma.
D'acqua ne è passata sotto i ponti del Tevere, da allora. Ma sempre acqua putrida.
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