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FINALE DI PARTITA - QUANDO BECKETT DISSE “NO!” A POLANSKI: NELL’EPISTOLARIO DEL DRAMMATURGO IL RIFIUTO DI CONCEDERE I DIRITTI DI "ASPETTANDO GODOT" AL REGISTA CHE LO STIMAVA, GLI ATTACCHI AI FAN E IL FORFAIT AL NOBEL “PER COLPA DELLA DENTIERA CHE RISCHIA DI CROLLARE..."

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Davide Brullo per “Libero quotidiano”

 

SAMUEL BECKETTSAMUEL BECKETT

Sappiamo quali sono le sue ultime parole, ora. Il biglietto è del 19 novembre 1989. Un regista vuole cavare qualcosa da Murphy, il primo romanzo di Samuel Beckett, pubblicato 50 anni prima.

 

«Sono malato e non posso aiutarvi. Perdonate. Perciò, andate avanti senza di me. I migliori auguri a lei e a tutti i suoi collaboratori». Firmato, Sam Beckett. «Andate avanti senza di me», e «Perdonate». Le ultime parole dell' ultimo dei classici - segretario di Joyce, esegeta di Proust, interprete di Kafka - crocefisso dalla malattia.

 

Nel 1987 cade per strada, perde il dominio dell' equilibrio, si aggrava; l' anno dopo cade ancora, nel suo appartamento. Lo confinano in una casa di cura. Il 6 dicembre del 1989 lo trovano riverso, in bagno. Il 22 dicembre muore. Il giorno di Santo Stefano, in privato, i funerali.

 

Le ultime parole riferite alla letteratura sono un' interrogazione muta. «Qual è la parola». Comment dire. Questo il titolo in francese. Un testamento limpido e grave, composto tra le vertigini, nel 1988. Nell' estate del 1989 ne compila con analfabetica sofferenza la traduzione inglese, What Is The Word.

 

POLANSKIPOLANSKI

«Credere d' intravedere - volere credere d' intravedere»: il volto di Beckett sembra un cratere preistorico, la sua voce l' ancestrale profezia di un tizio venuto dal prossimo millennio. Con Beckett funziona così: ogni minimo verbo sembra una rivelazione; shakerando la manciata delle sue parole ultime, intime, quale destino ci verrà svelato?

 

«Non mi piace pubblicare le lettere». «Mi disgusta sventagliare documenti privati. Non gettano alcuna luce sul mio lavoro». Nelle lettere al suo editore americano, Beckett è piuttosto chiaro riguardo alla pubblicazione delle sue epistole.

 

Eppure, si sa, l' unica fede, in letteratura, è nel tradimento, e per fortuna di noi lettori - notoriamente guardoni - la Cambridge University Press, per festeggiare i 110 anni di "Sam", compie con il quarto volume l' edizione titanica delle Letters of Samuel Beckett, roba da Himalaya editoriale, 9mila pagine in tutto e «20mila lettere, che sconfiggono del tutto il mito di un Beckett eremita, tagliato fuori da un mondo che ripudiava» (così Dan Gunn, uno dei curatori).

 

BECKETT COVERBECKETT COVER

L' ultimo volume riguarda gli anni della fama mondiale di Beckett, dal 1966 al 1989, che culminano, nel 1969, con il Nobel (premio che, «con dispiacere dell' Accademia Svedese», Beckett non andrà a ritirare, inviando al suo posto Jérome Lindon, quello che con le Editions de Minuit ha creduto per primo nel genio di Beckett). Da allora, è l' era del successo. Massacrante.

 

Beckett, lavoratore instancabile («duro lavoro e nient' altro conforto - mi rode il pensiero, ma devo andare avanti, devo»), si dà da fare per tenere fan, giornalisti e beoti devoti fuori dalla porta della sua casa e della sua mente. Rifiuta di far sfoggio di sé ad Harvard, declina l' invito, fattogli da Esquire, di scrivere un pezzo sulla convention democratica, dissuade Roman Polanski (che lo considerava un maestro) dal fare un film su Aspettando Godot, è armato nel «combattere gli imbecilli della tivù - per ora ci riesco, con un certo successo».

 

Non ammette che i critici interferiscano nel suo lavoro: Raymond Federman gli chiede un' intervista e Beckett è radicale: «Non mi permetto incontri - perdona»; è cinico, invece, con James Knowlson, autore della Vita di Beckett (Einaudi): «del mio lavoro ne so quanto un idraulico ne sa di storia dei sistemi idraulici».

BeckettBeckett

 

A un terzo, che gli chiede lumi sull' influenza di Strindberg nella sua opera, Beckett invia un biglietto intinto nell' acido: «Grazie per la lettera. Conosco poco il teatro di Strindberg e non penso possa avermi influenzato». Poi c' è il Nobel. Che lo sorprende in Tunisia. Dove Beckett più che con i massimi sistemi della letteratura universale è alle prese con la dentiera, «rischia di crollare da un momento all' altro, il che renderebbe grottesca la fine del mio discorso...». Menzogne di un uomo che sa che ogni parola fomenta il fraintendimento?

 

Torna l' amata-odiata Irlanda, nelle lettere della vecchiaia («Ho capito meglio di prima la necessità di abitarvi, la necessità di ritornare - e sono felice di ripartire»), e si staglia, metallico, il profilo di uno scrittore che ha scoperchiato la letteratura occidentale portandola sulla soglia del nulla.

 

ASPETTANDO GODOT 3ASPETTANDO GODOT 3

Dopo Beckett, è soltanto reazione. «La trilogia di Beckett (Molloy, Malone muore e L' Innominabile) rappresenta un vero passo oltre e nulla di ciò che è stato impropriamente chiamato postmodernismo ha raggiunto il suo livello», scrive Harold Bloom.

 

In questo Paese editorialmente da trogloditi, dove nessuno s' imbarca, chessò, nella pubblicazione dell' epistolario completo di Pirandello, Luzi o Montale (e figuriamoci chi avrà il coraggio di tradurre le lettere di Beckett), è irreperibile da troppi anni il volume Einaudi che raccoglie tutti - perentori, pericolosi - i romanzi della trilogia.

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