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QUEL BRAVO RAGAZZO – MARTIN SCORSESE RACCONTA LA SUA INFANZIA, TRA MUSICA E MALAVITA, A LITTLE ITALY NEL DOCUFILM “THE ORATORIO”, CHE NARRA DEL PRIMO CONCERTO D’OPERA A NEW YORK, AVVENUTO NELLA “SAINT PATRICK’S OLD CATHEDRAL” NEL 1826: “IL QUARTIERE VIVEVA CONTINUI MOMENTI DI TENSIONE E DI PAURA. L’ELEMENTO CRIMINALE ERA SEMPRE PRESENTE E SI INTRECCIAVA CON LE ABITUDINI DI TUTTI I GIORNI. QUELLA CONTRADDIZIONE, TRA VITA TRANQUILLA E 'LA VITA', COME VENIVA CHIAMATO IL MONDO DEL CRIMINE, È LA BASE DEL MIO FARE FILM”
Estratto dell’articolo di Paola Jacobbi per www.repubblica.it
Martin Scorsese è la prova vivente che i premi non contano nulla e che la gloria e il prestigio si esprimono secondo diverse sfumature. Per essere il cineasta influente che è, per esempio, ha vinto poco: un solo Oscar (per la regia di The Departed, nel 2007), una sola Palma d’oro (per Taxi Driver, nel 1976) e un solo Leone d’oro (ma alla carriera, nel 1995). In compenso, con la sua dottissima cinefilia che, tra l’altro, lo rende il più grande tifoso vivente della tradizione cinematografica italiana, è un punto di riferimento assoluto.
Sei anni fa a lui si sono rivolti Mary Anne Rothberg, Alex Bayer e Jonathan Mann per il progetto di un documentario intitolato The Oratorio, che poi è uscito nel 2020, l’anno del Covid, e quindi è passato quasi inosservato, ma per fortuna è ora disponibile su History Channel, canali 118 e 409 di Sky, e su Now.
Gli autori sono riusciti a coinvolgere Scorsese come testimone e voce narrante di una storia poco nota ma cruciale per la cultura a New York: l’esecuzione di un oratorio nel 1826 in una chiesa di Little Italy, la Saint Patrick’s Old Cathedral. Quell’evento segnò l’arrivo dell’opera italiana in città. A portarcela fu nientemeno che Lorenzo Da Ponte, librettista di Mozart, esiliato negli Stati Uniti dopo mille fughe in giro per l’Europa e diventato, per campare, insegnante di italiano. A cantare, poi, quella sera, c’era una stella: la grande Maria Malibran. Fine della prima parte.
Ce n’è una seconda, ambientata ai giorni nostri. Il programma dell’oratorio è rimasto nel dimenticatoio per quasi due secoli fino a quando l’attuale organista della Saint Patrick’s Old Cathedral lo riscopre per caso e decide di riportarlo in scena nel 2018, nello stesso luogo, con l’aiuto del musicologo Francesco Zimei, del Teatro Lirico di Cagliari e del direttore Donato Renzetti. […] Più di un mese fa, in vista della messa in onda di The Oratorio, il Venerdì ha chiesto un’intervista al regista. […]
Com’era la vita nel quartiere quando lei era bambino?
«Il legame con il Paese d’origine era molto forte: era ancora vivo il mondo che i miei nonni avevano portato con sé quando arrivarono dall’Italia all’inizio del ventesimo secolo, ma al tempo stesso tutto era anche già immerso nel nuovo mondo, nel mondo moderno. Le due realtà si sovrapponevano, come una lenta dissolvenza in un film, uno stile di vita cedeva il passo all’altro.
Inoltre, il quartiere viveva continui momenti di tensione e di paura. L’elemento criminale era sempre presente e si intrecciava con le abitudini normali di tutti i giorni. In molti casi, c’erano persone attratte dalla “Vita”, come veniva chiamato il mondo del crimine. Quella contraddizione, se così posso chiamarla, tra vita tranquilla e “la Vita”, è la base, il centro del mio fare film. Perché l’umanità non può essere categorizzata: il bene qui, il male là. Ed è per questo che la possibilità di redenzione è così importante per ciò che siamo. L’ho imparato per strada».
Nella Saint Patrick’s Old Cathedral lei ha fatto il chierichetto. Le piaceva?
«Non ero un bravo chierichetto. Arrivavo sempre in ritardo. Però ho servito spesso alla Messa solenne del sabato per i defunti e ho visto spegnersi la vecchia generazione degli abitanti del quartiere. Erano gli italiani e i siciliani che erano arrivati tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. I loro figli, cioè quelli della generazione dei miei genitori, erano italoamericani. Io stesso mi consideravo un italoamericano.
martin scorsese orso d'oro alla carriera
Quanto ai miei figli, suppongo che siano americani. Ho iniziato a vedere queste trasformazioni proprio durante quelle funzioni in chiesa. La gente ama dire “Tutto cambia”. Il che è vero. Il cambiamento è costante. Ma questo non rende l’idea di quanto possa essere doloroso il cambiamento. Un intero stile di vita che sembra destinato a durare per sempre svanisce a poco a poco, finché all’improvviso non c’è più. Riconoscere questa transizione quando ero giovane ha avuto un effetto forte e duraturo su di me».
martin scorsese foto di bacco (2)
Come descriverebbe la sua formazione musicale?
«Nel quartiere si ascoltava sempre l’opera. Faceva parte della colonna sonora del quartiere, insieme alla musica delle big band, al rock’n’roll e al doo wop degli esordi che uscivano dalle radio delle auto di passaggio e dalle finestre aperte degli appartamenti, ma anche insieme alla musicalità del modo di parlare della gente. Tutto era musica in quelle strade. L’interesse per la musica classica è arrivato a poco a poco per me. Prima dalla musica in chiesa e poi dalle colonne sonore dei film che vedevo».
Come descriverebbe il legame tra l’opera e la cultura italoamericana?
«È una grande eredità portata dall’Italia e dalla Sicilia. La musica di Puccini, Mascagni e Verdi, soprattutto. Del resto, in Italia è nell’aria che si respira. Come le parole di Dante o Manzoni!».
leonardo dicaprio matt damon martin scorsese jack nicholson set di the departed
Come si trasferisce la musica, soprattutto l’opera, al cinema? Mi riferisco ai suoi film, ma anche, in generale, ai film di altri registi?
«Cito subito alcuni esempi eccellenti come Il flauto magico di Ingmar Bergman o il Don Giovanni di Joseph Losey. O Parsifal di Hans-Jurgen Syberberg. Jean-Marie Straub e Danièle Huillet hanno tratto due film affascinanti dalle opere di Schoenberg, La Paloma e Il bacio di Tosca. E poi ci sono Les parapluies de Cherbourg di Jacques Demy, Il castello di Barbablù di Michael Powell e uno dei miei film preferiti, I racconti di Hoffmann di Powell e Pressburger. Tutti film straordinari.
martin scorsese sul set di toro scastenato
Ma quando penso all’opera nel cinema, il primo regista che mi viene in mente è Luchino Visconti. In Senso, fin dalle prime inquadrature, si capisce il suo profondo legame con la musica e con il suo significato nelle vite dei diversi popoli d’Italia, è come seguire un processo di formazione. Ma anche nei suoi film in cui l’opera non è presente, se ne percepisce la presenza, la grandiosità, la portata, l’impatto emotivo. Anche Franco Zeffirelli, che fu assistente di Visconti, ha messo in scena innumerevoli opere e ha tratto splendidi film da La Traviata e da Otello.
E naturalmente, l’opera gioca un ruolo molto importante nei film di Francis Ford Coppola. Un altro nome che mi viene in mente è quello di Alain Resnais. La musica è fondamentale nel suo lavoro, in particolare la musica moderna. Penso a Muriel, dove ha lavorato con il compositore tedesco Hans Werner Henze. La colonna sonora di quel film è una specie di cantata. E ha realizzato altri film, come L’anno scorso a Marienbad, che hanno un sapore operistico nel senso che sono composti in movimenti.
Nel caso dei miei film, ci sono momenti in cui sentiamo l’opera in Mean Streets e Quei bravi ragazzi perché fa parte della vita dei personaggi. Ma il film in cui l’opera gioca un ruolo cruciale è Toro scatenato. E questo ci riporta alle mie precedenti risposte sul quartiere, su quel mondo in cui bellezza, amore, brutalità e terrore erano così strettamente intrecciati». […]
martin scorsese the oratorio
martin scorsese sul set di the irishman
martin scorsese foto di bacco
martin scorsese mean streets
mean streets di martin scorsese
martin scorsese robert de niro toro scatenato
isabella rossellini martin scorsese
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