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Marco Giusti per Dagospia
"Semo in mano a gente che ce capisce poco e pochissimo, vero Ire'?", chiede il fiumarolo alla moglie nelle prime scene del terzo film italiano in concorso, l'attesissimo "Il sacro Gra" di Gianfranco Rosi, leggendo un articolo sulle anguille di "Repubblica". Anche noi, leggendo i giornali italiani, ci facciamo la stessa domanda. Perche' non si capisce molto, da casa, di questo Festival e ancor meno dei suoi film.
Non abbiamo capito, a esempio, se l'attacco frontale in sala a "L'intrepido" di Gianni Amelio abbia provocato l'arroccamento e la reazione da tartaruga ninja dell'Aspesi, quattro palle e mezzo (quanto "Zoran" e "L'arbitro"...) e dei vari difensori a oltranza della Mostra che ci hanno visto uno sgambetto delle brigate mulleriane contro la politica e le scelte della Mostra. Boh!
Magari i fischi a Amelio non erano cosi' giustificati, ma la reazione di difesa e' stata fin troppo risentita. La battaglia si consuma di fronte a una platea di critici stranieri esterrefatti che non capiscono la querelle. Michel Ciment mi dice che gli e' sembrato un buon film, ma non sa granche' delle questioni italiane. E' furioso invece riguardo a "Stray Dogs", cioe' "Cani impagliati" del venerato maestro cinese Tsai Ming Liang. Estetizzante, non racconta nulla.
La pensano in tanti cosi', anche certi mulleriani, che lo bollavano di "impresentabile". Magari perche' sembra un problema di lesa maesta' toccare I film cinesi in assenza di Muller. Ma c'e' chi lo ritiene un capolavoro. Ma non sara' un po' estetizzante e ripetitivo anche "La jalousie" di Philippe Garrel? Ciment non la pensa cosi', Garrel riesce a emozionarlo sempre. In effetti a Garrel, anche se continua a ripetere ogni anno lo stesso film, gli si perdona tutto, perche' crede nelle sue storie, le costruisce con passione, anche se il suo protagonista, il figlio Louis, ha ormai due sole espressioni, come Rod Cameron, col ciuffo o senza.
E dei suoi attori che si incontrano, si tradiscono, si lasciano, ci importa poco e niente. Ma Anna Mouglalis, bella e infedele, che propone al nasuto Louis una casa migliore offerta da un amante facoltoso, e' notevole. E grande e' la sua battuta sugli attori borghesi che giustifica la sua scelta un po' da mantenuta: "Essere al verde va bene, ma essere poveri e' insopportabile".
In pratica lei non puo' dividere la soffitta minuscola ma piena d'amore con tanto di cartina del Lido dove il suo film sicuramente finira', che le offre Louis. Meglio la promiscuita' che produce un po' di agio. Ma lui non ci sta. Si spara al cuore, bum!, ma si salva.
Ah! Come aspettavamo "Il sacro Gra" di Gianfranco Rosi a rimettere le cose a posto. A parlarci di Roma, col suo Grande Raccordo Anulare, come Sorrentino non era riuscito con le serate cafonal de "La grande bellezza". A riscrivere il neorealismo con un occhio da documentarista.
Anche a ricostruire qualcosa che si e' incrinato con la guerra Muller-Baratta, visto che Rosi e soprattutto questo film, sono totalmente creature di area mulleriana, che ha seguito costantemente il progetto ed e' ringraziato nei titoli di coda. Ora, il film racconta delle storie bellissime, ha dei personaggi meravigliosi che Fellini avrebbe adorato, come il principe Pellegrino, che vive nel suo palazzo ultra kitsch come un personaggio di secoli fa.
O l'infermiere che sta sul Gra tutto il giorno inseguendo i romani che si schiantano andando come pazzi "questo annava a du' piotte". O Gaetano, il vecchio attore di fotoromanzi, che parla del suo passato nel cinema: "se mi avrebbero fatto fa un film da protagonista gliel'avrei dato". Indovinate cosa?
O l'incredibile studioso del punteruolo rosso, l'insetto che sta uccidendo le palme romane, "simbolo dell'anima dell'uomo". Tutto questo e' fantastico, ripreso con amore e sincera dedizione, e sviluppa storie per decine e decine di film. Ma e' come se il montaggio, l'aver chiuso dentro una struttura troppo da nuovo cinema italiano l'operazione, imbrigli "Il sacro Gra" in una specie di compitino da grande bellezza felliniana che depotenzia, come il punteruolo rosso le palme, la grande forza romana e realistica che Rosi ha ripreso.
Contaminando il documentario con gli immaginari felliniani, e del resto Fellini era stato il primo a riprendere i negozi di lampadari del Gra sotto la pioggia in "Toby Dammit" (e Rosi li cita proprio), percorre una strada che lo porta un po' fuori pista scontrandosi con una messa in scena, di Fellini, troppo forte per chiunque. Anche Sorrentino e' caduto nella stessa trappola. Fortuna che i personaggi sono cosi' belli che alla fine Roma trionfa. Ma il materiale per fare un capolavoro c'era.
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