UNA QUOTA DI NOME SCHMIDT - IL PRESIDENTE DI GOOGLE ANNUNCIA CHE VENDERÀ IL 42% DELLE SUE AZIONI DI MOUNTAIN VIEW, RINUNCIANDO COSÌ ALL’8,2% DEL POTERE DI VOTO NELL’ASSEMBLEA DEI SOCI - NEL 2012 NE AVEVA VENDUTE ALTRI 1,8 MLN - GLI ANALISTI SI INTERROGANO SUL PERCHÉ: È PROBABILE CHE VOGLIA ENTRARE ANCHE IN ALTRE SOCIETÀ E DIVENTARE UN MAGNATE IN STILE MURDOCH, MA NON SI ESCLUDE NEMMENO CHE VOGLIA ENTRARE IN POLITICA...

Maurizio Molinari per "La Stampa"
Ha in mente di realizzare un'importante acquisizione finanziaria, la sua fiducia in Google si è indebolita o prepara uno spettacolare debutto nella vita pubblica? L'interrogativo che tiene banco a Wall Street nasce dalla decisione di Eric Schmidt di vendere 3,2 milioni delle azioni di Google in suo possesso con un piano finanziario annuale che lo porterà a ottenere una cifra di 2,51 miliardi di dollari. E' stato Schmidt, presidente del più popolare motore di ricerca, a informare la Sec - la Consob d'America dell'intenzione di vendere il 42% dei circa 7,6 milioni di azioni che possiede ed equivalgono al 2,3% del totale delle emissioni di Google nonché all'8,2% del potere di voto nell'assemblea dei soci.

Schmidt, 57 anni, rimane dunque titolare di una quota importante del colosso di Mountain View ma ciò non toglie che qualcosa sta avvenendo perché tale passo segue quello compiuto nel 2012 con la vendita di circa 1,8 milioni di azioni, per un valore stimato di 1,2 miliardi. Ciò significa che nell'arco di 24 mesi Schmidt avrà ridotto di oltre metà la propria partecipazione in Google mentre, fra il 2008 e il 2010, non aveva venduto neanche un'azione.

Da qui gli scenari possibili. Kerry Rice, analista di Needham & Co., vede un collegamento con quanto avvenuto nell'aprile 2011, quando Schmidt dopo un decennio da ceo lasciò le redini di Google al cofondatore Larry Page: «Il suo rapporto con Google si sta evolvendo, vuole diversificare tanto da un punto di vista della carriera che sulle finanze ed ha delle idee su come farlo».

A vendita conclusa gli resterà comunque il controllo dell'1,3% di Google, pari al 5% del potere di voto, e potrebbe affiancarlo a altri investimenti di spicco, ritagliandosi un ruolo da protagonista a Wall Street capace di rivaleggiare con pesi massimi come Warren Buffett e Ruper Murdoch. D'altra parte, secondo il magazine «Forbes», ha un patrimonio di 7,5 miliardi di dollari che lo fa essere il 45° americano più ricco, con una competenza unica sull'«Information Technology» ovvero il settore dell'economia che compone il 37 per cento del pil.

Un comunicato di Google parla di «una diversificazione di routine», sottolineando che «Eric Schmidt rimane completamente impegnato nell'azienda» e James Dix, analista di Wedbush Securities, commenta: «Ci sarebbe da preoccuparsi se ceo o cfo di Google vendessero azioni». Ma negli ambienti finanziari c'è anche chi sospetta un indebolimento del legame, iniziato nel 2001 quando Schmidt divenne ceo arrivando da Novell Inc. E se la sua vendita di azioni dovesse continuare, tale sospetto si rafforzerebbe.

C'è infine una terza e più suggestiva possibilità: che Schmidt abbia deciso di aumentare il proprio profilo nella vita pubblica americana. Basta guardare a quanto avvenuto nelle ultime settimane per comprendere di cosa si tratta. Prima si è recato in Corea del Nord, con l'ex governatore del New Mexico Bill Richardson, per chiedere al regime di Pyongyang di aprirsi a Internet, poco dopo Google ha svelato le inedite mappe del territorio nordcoreano e ha preannunciato l'uscita in libreria in aprile con Random House di «New Digital Age», un libro di strategia scritto con l'ex diplomatico Jared Cohen, nel quale si accusa la Cina di essere il maggior avversario della libertà sul web, fino al punto da prevederne l'implosione. Se a ciò si aggiunge che dalla campagna del presidenziale 2008 è uno dei consiglieri informali più ascoltati da Barack Obama, non è difficile comprendere perché la curiosità sui piani di Schmidt investa anche l'orizzonte della vita pubblica.

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