LA ROMA DEI GIUSTI – “40 SECONDI” SULLA TERRIBILE MORTE DI WILLY MONTEIRO DUARTE, UCCISO NEL 2020 A COLLEFERRO MENTRE CERCAVA DI PORRE FINE A UNA RISSA DA UNA SERIE DI COLPI MICIDIALI DAI FRATELLI BIANCHI, È TRA I MIGLIORI FILM ITALIANI CHE HO VISTO IN QUESTI GIORNI A ROME FILM FEST – UN FILM SERIO, COMPATTO, BEN RECITATO, CREDIBILE, CONTEMPORANEO CHE RACCONTA UN EPISODIO CLAMOROSO DI VIOLENZA, RAZZISMO E IGNORANZA... - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

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“Almeno da giovano ce semo divertiti”. E’ tra i migliori film italiani che ho visto in questi giorni a Rome Film Fest questo serio, compatto, ben recitato, credibile, contemporaneo “40 secondi”, diretto da Vincenzo Alfieri, tratto dal libro di Federica Angeli, ricostruzione della terribile morte di un ragazzo di Capo Verde di 21 anni, Willy Monteiro Duarte, ucciso nel 2020 a Colleferro mentre cercava di porre fine a una rissa da una serie di colpi micidiali di due fratelli gemelli di Artena, i gemelli Bianchi.

 

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I 40 secondi sono appunto il tempo che ci ha messo Willy a morire. Un episodio clamoroso di violenza, razzismo e ignoranza. Il tutto è raccontato da Vincenzo Alfieri, regista di più generi (“I peggiori”, “Gli uomini d’oro”), e dal suo cosceneggiatore Giuseppe Stasi (“The Bad Guy”), che non riusciamo ancora a definire, ma qui in grado di tenere in mano un film non facile, con la stessa struttura narrativa che vediamo ormai in tanti film e tante serie di Netflix e delle altre  piattaforme. Cito per tutti “A House of Dynamite”.

 

Cioè, devi raccontare un evento? Lo racconti prima con un personaggio, poi una seconda volta seguendone un altro, fino ad arrivare a quello più importante che chiuderà il ciclo. Nel corso del racconto si ripeteranno delle piccole situazioni che hai già visto, ma imparerai di più sull’accaduto, fino ad avere un quadro completo della storia.

 

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Come tutti i meccanismi narrativi alla fine stufano, ma in questo caso mi sembra che funzioni perfettamente, anche perché deve spiegare non tanto il fatto in sé, quanto una serie di personaggi, dal ragazzo nerd, Francesco Gheghi, che si fa trascinare alla discoteca di Colleferro dove avverrà il fattaccio da un amico più balordo di lui, Enrico Borello, legato ai gemelli, alla ragazza, Beatrice Puccilli, di uno di loro, per giunta incinta, figlia di un vecchio professore di filosofia, Sergio Rubini, ai gemelli picchiatori che vivono con la mamma grossa e il padre infame. Mettiamoci anche i gemelli, Giordano Giansanti e Luca Petrini, inquietanti, Willy, interpretato da Justin De Vivo, il maresciallo, Francesco Di leva, il nostro Stephen Graham.

 

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Alfieri riesce a darci un quadro perfetto non solo della provincia burina laziale e dei suoi abitanti, che ci dice molto più dell’Italia di oggi di tanti programmi televisivi e di tanti film, ma scatena i suoi attori più giovani, molti per me del tutto sconosciuti, in un teatrino dove tutti si parlano addosso e tutti parlano fittissimo, in maniera quasi incomprensibile come parlano i ragazzi di provincia. La violenza è sia fisica che verbale, ma soprattutto è continua.

 

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L’omicidio di Willy matura da quest’ambiente e da questi personaggi di un’Italia che non conosciamo più. Se i mostri di “Avetrana” facevano parte di un profondo sud ancora ancestrale, questi fanno parte di un mondo ancora diverso, la suburbia laziale indecisa tra rimanere al paese o scappare in città, ma sempre pronta a esplodere. In mano ai fratelli D’Innocenzo o a un sotto-Garrone sarebbe diventato un ottimo film d’autore, ma non avrebbe potuto avere questa costruzione narrativa con i capitoli dei personaggi prima del fattaccio.

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In mano a Alfieri diventa un ottimo film da grande pubblico di Netflix con la sua giusta costruzione narrativa. Gli attori, probabilmente, non sarebbero cambiati. La violenza sarebbe esplosa in tutti i casi. Certo, tra questo e "Familia" abbiamo un bel quadretto della realtà italiana da far vedere all'estero. In sala dal 19 novembre. 

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