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CAPODANNO BY ABRAMOVICH: ARIANNA HUFFINGTON
Dagoreport
L'impennata di fusioni tra società di telecomunicazioni sta avendo grosse ripercussioni sulle redazioni americane (e non solo). Tutto è partito con un articolo del New York Times che si interroga sul futuro dell'Huffington Post ora che Aol, che lo controlla, è stato acquistato da Verizon per 4,4 miliardi di dollari (http://nyti.ms/1GjEjD8). Secondo molti analisti, il sito creato dalla zarina Arianna è in vendita.
Il NY Times sostiene che il sito avrebbe ricavi per "centinaia di milioni", e una valutazione arrivata a circa "un miliardo", dopo che nel 2011 Aol lo aveva comprato per 315 milioni. Le cifre sono piuttosto vaghe, ma sembrano voler dare l'idea di una certa solidità e appetibilità finanziaria, tanto che oggi Politico sbertuccia l'articolo definendolo un "sales pitch", cioè la presentazione di un prodotto da parte di un venditore.
ARIANNA APPLAUDE IL MARITO REPUBBLICANO MICHAEL HUFFINGTON
Perché uno spin-off? Ci sono ragioni politiche: Verizon è conservatrice e contro la net neutrality, mentre il sito è liberal e a favore di banda libera per tutti. Verizon ha consegnato alla NSA tonnellate di dati privati dei cittadini, mentre il sito faceva campagna contro i programmi rivelati da Snowden.
L'anno scorso Verizon ha chiuso il suo sito di tecnologia, SugarString, dopo che il Daily Dot rivelò come un caporedattore avesse impedito ai giornalisti di scrivere di 'spionaggio o net neutrality'.
In ogni caso, si tratterebbe di un padrone molto più ingombrante di Aol, e secondo fonti interne, la Huffington non crede di poter "portare a termine i suoi piani" con la nuova proprietà. Che è come dire: comprate il sito prima che io me ne vada, azzerandone il valore (quanto vale l'HuffPo senza Huff? Poco).
Negli ultimi tempi, molti gruppi hanno annusato l'idea di acquisirne una quota: la tedesca Axel Springer, la francese Le Monde, il fondatore di Napster Sean Parker, e il fondo di private equity General Atlantic.
Arianna Huffington e il Ceo di Aol Tim Armstrong
Con le voci di un'acquisizione, tornano a galla i racconti-horror dalla newsroom. Su Gawker è apparsa oggi la testimonianza di un (anonimo) ex redattore (http://tktk.gawker.com/hell-is-working-at-the-huffington-post-1707724052) intitolato "L'inferno è lavorare all'Huffington Post", in cui si racconta di un luogo di lavoro pieno di gente depressa e maltrattata, con una cultura "così tossica e brutale che sarebbe apprezzata da sociopatici di professione".
L'autore si stupisce che il Washington Post parli di "redazione demoralizzata" in vista di una vendita. "Se le cose stanno andando peggio del solito, vuol dire che vanno davvero molto, molto male".
L'articolo racconta di come i giornalisti siano frustrati dal non scrivere abbastanza pezzi originali, di come la fumantina Arianna protegga i suoi amici e impedisca agli editor di scrivere liberamente, di quanta gente sia scappata, e sia continuando a scappare, verso altre testate. "Portati alla pazzia a forza di sfornare freneticamente contenuti di scarsa qualità, i giornalisti fuggono. L'unica priorità è far fare bella figura alla dittatrice".
MONICA MONDARDINI ARIANNA HUFFINGTON CARLO DE BENEDETTI LUCIA ANNUNZIATA
Racconti su quanto sia tossico l'ambiente dell'Huffington si sprecano, ma perfino l'articolo-soffietto del NY Times riconosce che "alcuni dei giornalisti più apprezzati se ne sono andati, mentre fioccano i racconti su una redazione demoralizzata e sulle richieste umorali della signora Huffington".
Secondo Gawker, "ogni due anni i manager si rendono conto che la reputazione del marchio Huffington è in caduta libera, e corrono ad assumere giornalisti di qualità, ai quali offrono stipendi che le centinaia di persone che producono la gran parte dei contenuti non vedrà neanche tra un milione di anni". L'articolo si chiude così: "E' un posto di lavoro orribile, e probabilmente non si può fare nulla per salvarlo".
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