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I GIORNI DELL’IVA (ZANICCHI) - SANREMO “UN PO’ MASCHILISTA”, IL FUNERALE DI TENCO, IL RECORD DI TRE VITTORIE AL FESTIVAL, IL NASO RIFATTO A 45 ANNI, LA CANTANTE SI RACCONTA: “HO FATTO MOLTI ERRORI. L’UNICO DI CUI MI SONO PENTITA SONO LE FOTO PER ''PLAYBOY'' - BERLUSCONI? HO CREDUTO NELL’UOMO.MA FARE L’IMPRENDITORE E’ UNA COSA. GOVERNARE UN’ALTRA” -VIDEO

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Silvia Fumarola per la Repubblica

 

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La provincia è il suo mondo, ma il mondo l’ha conquistato. Da Ligonchio (Reggio Emilia) all’Onu: «Lo sa che ho parlato anche lì? Ho iniziato in inglese poi ho continuato il mio discorso in italiano: non esageriamo». Iva Zanicchi, la donna dei record, vincitrice tre volte al Festival di Sanremo (1967, con Claudio Villa, Non pensare a me; 1969 con Bobby Solo, Zingara, e nel 1974 Ciao cara come stai?), la prima a esibirsi in Unione Sovietica, ha vissuto tante vite.

 

Cantante, conduttrice, attrice, europarlamentare. Seduta sul divano in un albergo a due passi dagli studi Rai di via Teulada, maxipull nocciola, senza trucco, è giovane e meno imponente di come appare in tv. Ha girato un film e l’aspetta un tour americano con i Platters. «Sì, sì», dice con un sorrisone, «quelli di Only you ».

 

Signora Zanicchi, come si parte da Ligonchio e si arriva a Sanremo?

«Da piccola avevo una voce che faceva paura, potentissima. In chiesa il prete mi diceva: canta piano. Sanremo era un evento, in paese c’erano due televisori. Pregavo mia madre di accompagnarmi in saletta... Povera donna, era sfinita, con quattro figli».

 

Poi al Festival c’è andata come cantante.

«Grazie a Gianni Ravera. La prima volta mi mettono in coppia con Gene Pitney, il maestro mi dà l’attacco e non sento la musica. Panico. Mi dissero che ero finita, che potevo cantare solo nelle balere. Avrei mangiato gli alberi dalle radici per dimostrare che valevo».

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E li ha mangiati?

«L’anno successivo porto La notte dell’addio che entra in finale, poi ho vinto con Non pensare a me con il grande Claudio Villa. Sanremo era un po’ maschilista, i discografici erano convinti che non fosse un affare perché le donne non vendevano dischi. Balle, basta prendere i successi di quegli anni. All’Ariston sono nate fior di artiste: Mina, Milva, Patty Pravo, la Caselli».

 

La rivalità tra voi era vera o inventata?

«Funzionava sui giornali. Ma essere rivali era difficile, non c’era il tempo. Se sapesse quanto lavoravamo ».

 

Per le donne c’era la sfida del look, come si organizzava?

«Gli abiti più belli me li ha fatti la Ines Costi, la mia sarta, che cara. Ogni volta che ho vinto, Ines doveva farmi un vestito. Avevo un bel personale e mi vestivo anche dalla Biki, Mila Schon, da Curiel».

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Il successo le avrà cambiato la vita.

«Ho avuto successo ma non era sconvolgente, sono sempre andata a fare la spesa. Deve essere insopportabile se ti condiziona, ricordo nel 1966 quando a Sanremo ho cantato La notte dell’addio e Caterina Caselli Nessuno mi può giudicare. Dopo la prima esibizione Caterina non poteva uscire per strada».

 

Nel 1967 lei vinceva con “Non pensare a me” e Luigi Tenco si suicidava. Che idea si è fatta?

«Sono passati 50 anni esatti. Ricordo le urla: “Si è ammazzato Tenco”, io e Claudio Villa eravamo andati in finale. Avevo un caro amico a Imperia, lo chiamai e gli dissi di venirmi a prendere: “Sospenderanno il Festival, voglio tornare a casa”. Mi spiegano che devo restare: the show must go on. Ma come, cantiamo e c’è un funerale? Penso ancora che avremmo dovuto rifiutarci.

 

Lavoravo con un maestro che aveva collaborato con Luigi, diceva che non poteva aver scritto un biglietto così. Forse voleva fare un atto dimostrativo ed è finito male. Allora una rivista mi avrebbe dato la copertina se io, vincitrice, avessi portato un fascio di rose sulla tomba. Col cavolo che l’ho fatto».

 

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Poi la sua carriera è decollata, è volata a New York.

«Un impresario italoamericano mi porta al Madison Square Garden. Spiego ai miei che non andrò, ho paura di volare. “Ma come?”, mi dicono, “tuo nonno è arrivato a Ellis Island in terza classe, e tu non vai in aereo in prima classe ?”. Ero astemia e per il terrore ho bevuto qualunque cosa...».

 

Perché a un certo punto si è rifatta il naso?

«Da bambina soffrivo, magra magra con il naso importante mia sorella mi chiamava Pinocchio. Ma gli uomini mi corteggiavano lo stesso. Quando ho superato totalmente il complesso, a 45 anni, ho deciso di rifarmelo ».

 

Ha anche posato per Playboy.

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«Ho fatto tantissimi errori nella vita, è l’unico di cui mi sono pentita subito. A Ligonchio l’unica edicola era dentro il bar, feci sparire le copie. Papà non avrebbe capito».

 

Era legata a suo padre?

«Tanto. Nella mia famiglia erano tutti socialisti, lo convinsero a presentarsi nel PSDI: aiutava tutti, pensò che l’avrebbero votato. Finito lo spoglio, un voto: si era votato solo lui. A casa prese per il collo mia madre: “Neanche tu!”. E lei: “Mica posso andare all’inferno per te”. Il prete le aveva detto di votare Dc».

Lo ha vendicato.

«Sono andata con Berlusconi perché ho lavorato nelle sue aziende. Ho creduto nell’uomo Berlusconi, ma fare l’imprenditore è una cosa, governare un’altra».

 

Quando Berlusconi le disse di lasciare lo studio dell’Infedele lei non si alzò.

«Non esiste che mi dia un ordine. Ci fu un pranzo del partito e ci andai. Imbarazzo generale. Mi ero infortunata, lui entrò nella sala e tutti gli andarono incontro. Non mi alzai. Berlusconi a venne al mio tavolo: “Grazie Iva, come mi difendi tu non mi difende nessuno”».

 

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