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Paolo Mauri per “la Repubblica”
Gianluigi Melega, Gigi per i molti amici, avrebbe compiuto 80 anni a gennaio: è scivolato via nel sonno l’altra sera in un ospedale di Venezia: da qualche tempo i reni lo costringevano alla dialisi più volte la settimana, spesso doveva ricorrere a trasfusioni di sangue. Non si sentiva malato, accettava i malanni come un disguido, li liquidava spesso con un sorriso.
L’editore Marsilio sta per pubblicare in un volume di oltre mille pagine il romanzo-memoriale che scrisse quando aveva vent’anni e che solo in parte Baldini & Castoldi aveva mandato in libreria negli anni Novanta.
«Mi sembra il libro di un altro e in qualche modo lo è», mi diceva pochi giorni fa al telefono. Quel libro, che racconta la sua storia e un po’ anche la storia della sua famiglia, era stato scritto quando Gigi lavorava al Giorno, negli anni Cinquanta. Si chiamava Tempo Lungo . Il giovane Melega stava per andare a Londra come corrispondente del giornale, ma quando si seppe che nel libro si raccontava anche del Giorno, fu licenziato su due piedi. La proprietà non gradiva.
In realtà Il Giorno era finanziato dall’Eni di Mattei, ma non volevano si sapesse. L’editore Parenti che si apprestava a pubblicarlo, chiuse. Melega andò in America. «Mi sono abituato a non temere i cambiamenti improvvisi», commentò una volta. Avrebbe poi lavorato da protagonista in molti giornali e specialmente all’ Espresso e, fin dalla fondazione, a Repubblica.
Era stato anche a Panorama e per un periodo aveva diretto L’Europeo. Era un maestro nel giornalismo d’inchiesta e nell’analisi delle vicende politiche. Per molti anni, nel nostro Gruppo, era infine stato un collaboratore di primissimo piano di Carlo Caracciolo. Dal 1979 al 1986 era stato deputato con la piccola pattuglia radicale.
In ogni cosa, magari senza parere, metteva tutto se stesso, anche nel gioco degli scacchi. Ma era la scrittura la sua passione profonda e Tempo Lungo, che ora si chiamerà Autobiografia del boom, questo straordinario esempio di opera omnia scritta da ragazzo, sta lì a dimostrarlo. Era stato Oreste Del Buono a ripescare il libro per Baldini & Castoldi e c’era stato Cesare Garboli tra i suoi lettori (lo aveva definito «uno scacchista dell’immaginazione»).
Proprio a un incontro con Garboli è dedicata l’apertura di un suo romanzo Il maggiore Aebi uscito da Feltrinelli nel ‘96. Garboli è nel suo giardino a Vado di Camaiore e Melega conversa con lui. Parlano di letteratura e ad un certo punto Cesare alza le braccia e grida: «Si scrive perché si è malati!». La testimonianza vale ad introdurre la storia di Aebi, maggiore dell’esercito ed erotomane, ma vale anche più in generale: la scrittura è la via alla guarigione, diciamo così, dal male di vivere.
oreste del buono FOTO ADRIANO ALECCHI
Il romanzo più recente di Gigi Melega si intitola Viceversa ( Gaffi, 2013) ed è una storia borgesiana che ha come oggetto proprio la scrittura: come vita, ma anche come vendetta in una sorta di castello dei destini incrociati dove appunto la letteratura gioca il ruolo di enorme deposito- testimonianza delle vite umane e anche di quella dell’autore che qui torna a parlare degli anni di Milano e di Vistarino come nel Tempo Lungo scritto sessant’anni prima.
Dovremmo a questo punto dire ancora del Melega librettista, collaboratore del compositore Luca Mosca con cui ha firmato diverse opere, del Melega poeta e infine del Melega viaggiatore. Nel ’93 Scheiwiller pubblicò un suo libretto intitolato L’isola più isola, resoconto di un viaggio a Sant’Elena, dove è difficile andare e anche tornare.
Mi preme però lasciare un piccolo spazio per un ricordo personale.
L’anno scorso alla libreria Fahrenheit di Campo de’ Fiori, a Roma, con Gigi e monsignor Vincenzo Paglia organizzammo una conversazione a tre sull’Aldilà. Fu una serata leggera, un po’ surreale in cui ciascuno disse la sua e naturalmente si parlò molto di letteratura. Non posso fare a meno di ripensarci in questo momento di grande tristezza, non posso non rivedere il bellissimo sorriso di Melega mentre da laico ragionava del Paradiso.
A Irene Bignardi le condoglianze della direzione e della redazione di Repubblica
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