DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
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JAY ADAMS
- http://www.youtube.com/watch?v=L00yro9NvsQ
- http://www.youtube.com/watch?v=ihD9OAlhXVE
- http://www.youtube.com/watch?v=I58hoEgHK5g
- http://www.youtube.com/watch?v=mB6Hfxaj6pQ
- http://www.youtube.com/watch?v=E0K6lUm5ynw
Alessandro Sala per Corriere della Sera
Degli Z-Boys di Dogtown, il gruppo di giovani californiani che a metà degli anni Settanta rivoluzionarono l’arte dello skateboard introducendo nuove figure ed evoluzioni mozzafiato e trasformandola in una disciplina di fama mondiale e capace di muovere l’interesse dei mass media e contratti milionari, era il «duro e puro», il meno incline a mettere la propria passione, la propria tecnica e la propria immagine al servizio degli sponsor.
Era il più promettente, ma anche quello meno disposto a scendere a compromessi e per questo si era arricchito meno degli altri. Non aveva tagliato i ponti con la gente del quartiere popolare in cui era cresciuto e anche per questo si era ritrovato nei guai ricominciando a frequentare le gang di cui già aveva fatto parte negli anni dell’adolescenza.
Avrebbe potuto fare una brutta fine nella sua vita di strada, negli anni trascorsi in carcere o piegato dall’uso di droghe. Ad uccidere Jay Adams è stato invece un attacco cardiaco durante una vacanza in Messico con l’amico di sempre Allen Sarlo.
Aveva 53 anni. A dare la notizia della sua morte al mondo degli skater, l’altra notte, è stato Stacy Peralta, il volto pulito degli Z-Boys, quello che assieme a Tony Alva ha ottenuto il maggiore successo sportivo e commerciale, oggi regista e produttore cinematografico che ha firmato tra l’altro Lords of Dogtown, il film con Heath Ledger che ha raccontato le loro gesta, la loro amicizia, il loro allontanamento e il loro ritrovarsi il giorno della morte di un amico in comune.
Lo ha fatto postando su Instagram una foto di Adams in azione negli anni gloriosi della gioventù, quelli in cui insieme si allenavano e frequentavano lo Zephyr, il negozio di tavole da surf e da skate che li aveva messi insieme e instradati alle competizioni: capelli lunghi e biondi, perfetta padronanza della tavola, tecnica, fantasia, velocità, coraggio e audacia da vendere.
In quegli anni nel giro lo chiamavano «The Original Seed», il seme originale, l’inventore del nuovo modo di fare skate, il freestyle più estremo, sviluppato per la strada, sulle scalinate, sulle balaustre, nelle piscine di Beverly Hills che un’ordinanza del sindaco di Los Angeles aveva imposto di tenere vuote a causa della siccità e della penuria d’acqua.
Difficile riconoscere Jay Adams nelle immagini degli ultimi anni: testa rasata, tatuaggi sul volto, sulle braccia e sul corpo, fisico appesantito, un’immagine più vicina nell’immaginario comune a quella di chi ha fatto dentro e fuori dal carcere, il bad boy che ha avuto la sua occasione ma non se l’è saputa giocare.
Ma Peralta non ha dubbi: «Forse non è stato il miglior skater del mondo — ha scritto in un articolo per Trasher Magazine , la rivista-bibbia degli appassionati americani della disciplina —. Ma è stato il primo, l’originale. È stato l’archetipo dello skateboarding moderno. Jay era skateboard al 100%, dentro e fuori».
Adams aveva ricominciato a fare skate dopo essere uscito dal carcere, ma le sue erano perlopiù partecipazioni a singoli eventi a titolo promozionale, in cui mostrava di avere mantenuto la classe del tempo, malgrado la forma condizionata dal peso degli anni.
E la droga? Era ormai solo un ricordo, ha sottolineato la sua manager Susan Ferris ai media americani, prevenendo possibili ipotesi sulle cause dell’attacco cardiaco. «Siamo scioccati, è stata una grande perdita — si è limitata a sottolineare —. Con lui se ne va una leggenda».
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