DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Gianluca Veneziani per “Libero Quotidiano”
Se pubblichi immagini di nudo artistico o scrivi «zingaro», su Facebook vieni censurato. Ma se neghi l' Olocausto, minimizzi il numero delle vittime e la gravità della tragedia, e magari ti pronunci in un elogio di Hitler e dei suoi accoliti, va tutto bene, il tuo post resterà in bacheca e potrà ricevere like, condivisioni e commenti di supporto.
Che la politica aziendale di mister Zuckerberg si prestasse a contraddizioni ce ne eravamo accorti da un bel po', col suo voler assicurare a tutti la libertà di espressione e allo stesso tempo porre restrizioni ridicole su contenuti ritenuti non appropriati; e insieme col suo voler combinare, senza riuscirci, la tutela della privacy con il principio che comunità volesse dire disponibilità di ogni aspetto della propria vita.
Ma finora il social network, da molti ribattezzato FakeBook per la quantità di balle che vi circolano, non si era mai spinto a tanto, cioè lasciare spazio, diritto di argomentazione e di proselitismo a chi dice che le camere a gas furono un' invenzione.
In un' intervista a Recode il patron di Facebook ha dichiarato infatti che «il social network difende il diritto degli utenti di sbagliare, anche quando si tratta di negare l' Olocausto».
Capiamo che Fb sia diventata una fogna dove chiunque può riversare i suoi umori neri, però un conto è affermare che la Terra è piatta ed esistono le scie chimiche. Altro è pronunciarsi su una questione che ha toccato direttamente non le opinioni o le visioni del mondo, ma le vite di milioni di persone trucidate per il semplice fatto di essere ebree.
Negare che quello sia accaduto significa non solo fare un torto alla Verità, ma offendere la sensibilità, la memoria e quindi ferire la carne viva dei sopravvissuti, dei discendenti delle vittime, di un popolo, e oseremmo dire dell'intera umanità.
Non è un caso infatti che in alcuni Paesi, come Austria e Belgio, la negazione dell' Olocausto sia considerata un reato, che in Germania sia punita con la reclusione fino a cinque anni, e in altri, come Israele, sia sanzionata la negazione di qualsiasi genocidio.
mark zuckerberg vignetta suddeutsche zeitung
Dopo il liberi tutti di Zuckerberg, si rischia invece il paradosso per cui si potrà impunemente, cioè senza la rimozione del post, inneggiare allo sterminio su Fb, ma quella mancata censura sarà ragione di una possibile condanna penale.
Né vale il criterio di Zuckerberg, secondo cui l' essenziale è che quelle idee sbagliate non vengano condivise e non si traducano in danni fisici alle persone. Perché è impossibile stabilire quanto una frase sia o meno un incitamento all' odio e non generi poi un atto di violenza.
Così come non basta porre una stretta sulla diffusione delle bufale, non mettendole in risalto nella homepage. Perché poi basterà un clic su quel profilo «maledetto» o la pura intenzione di sfidare le regole, per riprendere quell' affermazione, farla circolare e darle credito.
Ché la bufala è come la calunnia, un venticello sottile che comincia a sussurrar, fino a diventare bufera.
L' impressione è che Mark Zuckerberg sia un novello Frankenstein che ha prodotto un mostro di cui non riesce ad avere più il controllo.
Per carità, le intenzioni erano nobili - far comunicare le persone, eliminare le distanze - ma gli esiti sono stati l' esatto inverso: dalla promozione dell' amicizia globale si è generato solo odio. Riversato anche su chi, dalla storia, ne ha già subito troppo.
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