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Carlo Bordoni per “la Lettura - Corriere della Sera”
La seduzione è uno stato emotivo, un' esperienza che fa parte della natura umana. Il sociologo francese Gilles Lipovetsky, nel saggio Piacere e colpire. La società della seduzione (Raffaello Cortina) ne riabilita la funzione come fabbrica del desiderio. Una pratica libera, non più ostacolata; anzi divenuta ormai una sorta di imperativo nella ricerca del piacere.
Per Cicerone l' arte della retorica, anch' essa arma della seduzione, aveva tre obiettivi: delectare (piacere), movere (colpire) e docere (insegnare). Eppure oggi docere è stato sostituito da relinquere (lasciare), nel senso che non si vuol più insegnare nulla e, dopo aver raggiunto l' obiettivo della seduzione, si abbandona subito il campo.
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Si seduce per dimostrare qualcosa a sé stessi, per sentirsi realizzati, per provare il brivido della propria potenza. Perché «la seduzione è sempre stata una forma di potere». Ora tuttavia si fa autoreferenziale, nel senso che basta per sé, si esaurisce già nel momento in cui carpisce il consenso dell' altro. Come nel caso del consumismo. Seduzione e consumismo hanno la stessa matrice di fondo, muovono dalla stessa esigenza di creare il desiderio e indirizzarlo verso l' appropriazione.
Nella società dell'apparenza non è necessario conquistare, ma è sufficiente guadagnare il piacere della conquista, toccare l' oggetto del desiderio e ritrarsi. Si è «accorciata» la finalità della seduzione, che trova quindi nel semplice manifestarsi la sua ragion d' essere. Così come il compito della pubblicità non è realizzare materialmente lo smercio, ma attrarre il consumatore, rendere piacevole l' oggetto, mostrarglielo nel suo aspetto affascinante, per poi lasciarlo solo di fronte alla scelta dell' acquisto.
La nostra è «una società del dover piacere in perpetua trasformazione», dove regna l' impero dei like e il successo (anche economico) si misura sulla base del numero dei contatti e dei clic. Un successo basato sul nulla, o meglio sul saper sedurre, per riuscire a portarsi dietro schiere di follower che apprezzino le nostre qualità. Dietro a questo seductor interruptus troviamo una società che premia l' apparenza e si limita a «piacere e colpire», senza andare in profondità, accontentandosi di trofei virtuali da condividere.
Il saggio di Lipovetsky, così attuale, così attento ai mutamenti del nostro tempo, rappresenta una sorta di doveroso aggiornamento del lavoro di Jean Baudrillard Della seduzione (1979), pubblicato in Italia da Cappelli nel 1980 a cura di Pina Lalli. Perfettamente in linea con la cultura dell' individualismo, dove tutto si misura in termini di soddisfazione del sé, nell' indifferenza dell' altro. Dove il sociale si coniuga solo in termini economici e commerciali.
Anche Baudrillard aveva colto appieno la relazione tra seduzione e consumismo nei suoi studi Il sistema degli oggetti (Bompiani, 1972) e La società dei consumi (il Mulino, 1976). Ma Lipovetsky lo traduce in una società che ha superato le contraddizioni della postmodernità, in quella che ha definito «ipermodernità», cioè un tempo nuovo che ha esasperato le caratteristiche del moderno, pur continuando a mantenerne il fascino e l' influenza.
L' idea dell' iperconsumismo di Lipovetsky, analizzata nel precedente libro , Una felicità paradossale (Raffaello Cortina, 2007), è centrale anche in quest' ultimo saggio, dove la seduzione si è adeguata alla società dei consumi, ne ha assunto il linguaggio e si muove nei confronti dell' oggetto del desiderio con le stesse modalità tipiche dello shopping compulsivo: ottenere un piacere provvisorio che stanca presto, si spegne e ha bisogno di essere rinnovato.
Così Lipovetsky si riconosce tra gli apocalittici, i creatori di nuove distopie che, a partire da Günther Anders in poi, hanno lasciato le pagine dei romanzi (George Orwell, Aldous Huxley, Margaret Atwood) per approdare a una saggistica filosofica, sociologica e antropologica che denuncia l' inaffidabilità di un oscuro futuro.
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Per questo egli riconosce l' esistenza di una contraddizione insanabile: da una parte «pullulano le offerte attraenti, proliferano le incitazioni al piacere e gli inviti alla felicità», mentre dall' altra «il nostro quotidiano è sempre più difficile da vivere, inospitale, carico di gravi rischi per l' avvenire», sicché «la nostra epoca sembra senz' anima, avida, intenta a orientarsi ciecamente verso il baratro».
Il nuovo pensiero critico è un pensiero pessimista che, a differenza delle distopie del passato, convince le coscienze, si fa pensiero unico, ma lascia inalterata la realtà dei fatti. Come se tutti sapessero che cosa ci aspetta, ma si lasciassero andare senza opporre resistenza.
Non ha importanza se dietro l' angolo vi sia il baratro o la felicità inattesa: questa straordinaria incoscienza collettiva è ciò che caratterizza il presente.
Così Lipovetsky non crede che si possa andare incontro a una scelta ecologica di sobrietà nei consumi, poiché «il regresso del potere d' acquisto provoca un' insoddisfazione e un' insicurezza persistenti».
Per il momento l' iperconsumismo resta protagonista assoluto dl nostro tempo.
Consolatorio e seduttivo, come un male necessario.
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