LIBÉ-RACI DALLA CRISI - DOPO LA RIVOLTA CONTRO L’EDITORE, SI DIMETTE IL DIRETTORE DI LIBÉRATION, NICOLAS DEMORAND - IL QUOTIDIANO DELLA GAUCHE RISCHIA DI DOVER PORTARE I LIBRI IN TRIBUNALE

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Alberto Mattioli per "la Stampa"

Fondato da Sartre e affondato da Internet? Nuova stazione nella via crucis di «Libération», il quotidiano che da 40 anni è l'anima di carta della gauche francese. Con un'intervista a «Le Monde», si è dimesso il direttore, Nicolas Demorand. Per la redazione, è un'autentica libération: al comando dal maggio 2011, Demorand era già stato impallinato da quattro voti di sfiducia, l'ultimo con una percentuale record di sconsensi, l'89,9%.

Brillante giornalista radiofonico, ma senza esperienza nella carta stampata ed estraneo alla tradizione di «Libé», era stato chiamato dalla proprietà come uomo immagine, ma ha funzionato poco anche qui. La redazione l'accusa di stare poco al giornale, di non capirne il funzionamento e di circondarsi di una guardia pretoriana che è diventata una specie di giornale nel giornale. Lui ribatte che il suo vero compito era quello «di cercare soldi tutti i giorni».

Di certo, non c'è riuscito troppo bene. Nel 2013, «Libé» ha perso un milione di euro e il 15 per cento delle copie vendute, che adesso ufficialmente sono circa 100 mila e in realtà, dicono in redazione, 70 o magari 50 mila. Pesano le incertezze sulla linea politica (appoggiare Hollande o criticarlo da sinistra?) e qualche errore, come la sciagurata prima che accusava senza prove il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, di avere un inesistente conto in Svizzera. E di certo 290 dipendenti, di cui 200 giornalisti, sono troppi. Così, l'ipotesi di dover portare i libri in tribunale sta diventando drammaticamente concreta. Però oggi tutti i giornali, insidiati dal web, sono nei guai e non è che quelli di «Libé» siano peggiori di altri.

Quel che non funziona è il rapporto con gli azionisti. La proprietà è una e trina: i finanzieri Bruno Ledoux ed Edouard de Rothschild e il gruppo italiano Ersel (gli editori Caracciolo e Perrone). Finora hanno ripianato i buchi, ma i giornalisti li accusano di non aver mai avuto un vero progetto. E, quando infine è arrivato, ha fatto scoppiare la rivoluzione francese. L'idea di Ledoux, finanziere assai discusso, è quella di trasformare il giornale in un «centro culturale», dotato di bar e ristorante, «una rete - parole sue - creatrice di contenuti vendibili su molti supporti multimediali: carta, video, tivù, digitale, forum, avvenimenti, radio eccetera».

Va detto che la sede del giornale si presta. Occupa gli ultimi tre piani di un ex parcheggio in rue Béranger, a due passi da place de la République, zona che sta diventando modaiola. I locali non sono lussuosi (i mobili e la moquette sono probabilmente ancora quelli di Sartre e non c'è l'aria condizionata), ma l'enorme terrazza è la più bella di Parigi: hai tutta la città ai tuoi piedi.

I giornalisti non ci stanno. La reazione ha saldato la redazione, da sempre divisa fra i vecchi sessantottini, «gruppettari» (parola di un collega che conosce bene l'Italia) che odiano il padrone a prescindere e chi si è reso conto di vivere nel XXI secolo. Dopo il solito inutile sciopero, hanno rispolverato la loro arma migliore: la fantasia. E sono usciti con una prima pagina subito diventata da collezione. Titolo cubitale: «Nous sommes un journal», noi siamo un giornale, e sotto: non un ristorante, non una rete, non uno spazio culturale, non uno studio tivù, non un bar eccetera. A questo punto a Demorand non è restato che andarsene.

E adesso? Per ora il giornale lo farà il condirettore, Fabrice Rousselot. Girano già dei nomi, come quello di Pierre Haski o di Bernard Guetta, fratellastro del dj star. Chissà. Ma resta il problema di salvare «Libé». I giornalisti hanno vinto una battaglia, non hanno vinto la guerra.

 

 

LIBERATIONLA PRIMA DI LIBERATION DOPO LA SPARATORIA LIBERATION DemorandNICOLAS DEMORAND ANGELA MERKEL E FRANCOIS HOLLANDE NICOLAS DEMORAND