simona atzori

“NESSUNO È PERFETTO: SIAMO TUTTI DIVERSAMENTE ABILI”: PARLA SIMONA ATZORI, LA DANZATRICE NATA SENZA BRACCIA: “HO RINUNCIATO ALLE PROTESI, ERANO UN CORPO ESTRANEO. I MIEI PIEDI FANNO MAGIE - CAPISCO CHE CI SIA  IMBARAZZO A AFFRONTARE IL TEMA DELLA SESSUALITÀ DAVANTI AL MIO CORPO, MA SONO UNA DONNA, NON VOGLIO ESSERE VISTA COME ANGELICATA - VOLEVO UN FIGLIO MA NON E’ VENUTO" – VIDEO

 

Antonello Piroso per la Verità

Simona Atzori

 

 

Stasera alle 20.15 su Rai 3 va in onda #InviatiSpeciali. Ci sarà una coppia, Sonia e Francesco, genitori di una bambina di pochi mesi, intervistati da Simona Atzori, 43 anni, pittrice e ballerina.

Nulla di che. Se non fosse che Sonia è su una sedia a rotelle. E che Simona... Be', lascio che sia lei a spiegarvelo, non senza ironia e autoironia.

 

Io posso solo dire che l' ho scoperta nel 2005: era in plastica posa sulla copertina del libro E li chiamano disabili di un grande giornalista, Candido Cannavò.

«E così m' invitasti a Niente di personale, la tua trasmissione su La7, insieme con Ileana Argentin, costretta su una carrozzina (per una amiotrofia spinale, ndr), e cogliesti l' attimo in cui lei guardava le mie gambe e io le sue mani», ricorda gentilmente.

 

Da dove cominciamo, Simona? Dal tuo essere «diversamente abile»?

«Dal fatto che sono senza braccia, vuoi dire?».

Non è un linguaggio politicamente corretto.

«Ma è la realtà: non dobbiamo avere paura delle parole, ma dei comportamenti. È la sostanza che va coltivata, più della forma».

Sottoscrivo in toto.

«È l' avverbio "diversamente" a rimarcare la distanza, non riducendola. Siamo tutti diversamente abili in qualcosa, perché nessuno è perfetto. Quindi, se usi quell' espressione, non mi stai dicendo nulla di più di una formula vuota. Chiamiamo, con rispetto e sensibilità, le cose con il loro nome».

 

Daniel Ezralow, grande coreografo internazionale che ha immaginato per te un balletto con cui hai aperto una serata del Festival di Sanremo nel 2012, ha detto: «Simona è una bravissima ballerina. Ed è grande anche perché non le interessa quello che non ha, ma quello che ha».

simona atzori

«Ha colto l' aspetto fondamentale del mio carattere, la positività che ho ereditato dalla mia famiglia, in particolare da mia madre. Per questo il mio primo libro, che s' intitola Ma cosa ti manca per essere felice?, voleva essere un invito a cercare di dare il giusto peso alle cose che abbiamo, qui e ora, senza corse forsennate a inseguire, in un altrove sempre diverso, quello che non possediamo. Non è forse vero che quando si è piccoli si è felici con un nonnulla? Quando cresciamo, le cose non dovrebbero cambiare, non serve molto per stare bene, soprattutto non è necessario riempire la nostra vita di quei beni materiali di cui crediamo di aver bisogno».

 

Lettura scorrevole, coinvolgente, emozionante il tuo libro.

«Non scritto con i piedi, intendi?». (Ride).

Li usi come mani, in effetti. Ti sistemi i capelli, sfogli le pagine di un libro, dipingi, guidi l' auto, prendi il caffè al bar, suoni una scala musicale al pianoforte.

«Sono vissuta in Canada, e lì mi dicevano che ero proprio un' italiana da quanto gesticolavo... con le gambe. I miei piedi sono preziosi, fanno magie.

Su Instagram ho lanciato l' hashtag #soloconpiedioriginali.

 

Sdrammatizzo e condivido perché voglio propormi non come esempio virtuoso, sarebbe arrogante, ma come occasione di stimolo a non mollare. Papa Giovanni Paolo II esortava: "Prendete la vita nelle vostre mani e fatene un capolavoro". È ovvio che però bisogna crederci, in questo fantastico spettacolo che è la vita.

 

Poi lo so che quando parlo della mia, di storia, sembra che racconti una favola, ma perché, appunto, alla fine ci credo fino in fondo. Non è stato facile. Ma cosa è facile, nella vita?».

 

simona atzori

Partiamo dal tuo venire al mondo così come sei. In Dopo di te, il tuo secondo libro, scritto dopo la morte di tua madre, hai scritto: «Ti ricordi, mamma, quando il giorno della mia nascita hai avuto la sensazione che l' ospedale e tutta Milano ti crollassero addosso?»

 

«Per i miei, di origine sarde, sono stata senza dubbio una sorpresa. Allora non c' era l' ecografia, e per mia mamma i primi due parti erano stati sfortunati. Per questo mia sorella si chiama Gioia: perché la terza gravidanza andò a buon fine. Poi sono arrivata io, e negli anni mio padre, scherzando, visto il mio carattere ha cominciato a ribattezzarmi Disperazione in contrapposizione a Gioia. Mia madre aveva il terrore di perdere anche me, e quando si è risvegliata dall' anestesia per il cesareo, con il personale medico incupito, che non le mostrava la sua bambina, è stata malissimo.

Poi ha saputo che invece ero sana e salva».

 

E ha tirato un sospiro di sollievo.

«Mi rendo conto che non è di agevole e immediata comprensione, ma sì, certo, perché la vita è un dono. Mamma e papà non hanno avuto dubbi: si sono abbracciati e hanno stabilito che mi avrebbero insegnato a prendere il ciuccio con i piedini. Già prima che io nascessi, mia madre mi "vedeva" volare sul palcoscenico».

 

Ti hanno accettato o ti hanno accolto?

simona atzori

«No, non c' è stata alcuna supina rassegnazione, mi hanno scelto due volte, prima e dopo la nascita, accogliendomi e crescendomi con tenerezza e amore infiniti, ed è questo che fa la differenza, sempre: sapersi, sentirsi amati per quello che si è».

 

Quanto è stata importante la fede in questo cammino?

«La fede mi aiuta a dare un senso alle cose. Quando 5 anni fa è venuta a mancare mia madre per un tumore fulmineo, un evento traumatico che lascia un vuoto con cui tutti dobbiamo fare i conti, mi è stato detto: "È andata in cielo ad accompagnare la Vergine nella nascita di suo Figlio". Anche per il fatto di essere nata così, mi è stato chiesto spesso se mi fossi mai domandata perché Dio avesse voluto questo per me. Io posso dire che Dio, in questo modo, mi ha dato tante modalità di comunicare con gli altri. Io lo ringrazio per avermi disegnata esattamente così».

 

Come una Jessica Rabbit speciale e più buona.

«E con meno curve, direi.Ma per la danza è perfetto».

Cannavò scrisse di aver visto la tua performance davanti a Papa Wojtyla per il Giubileo, definendoti una libellula senza ali perché «le sue braccia sono rimaste in cielo, ma nessuno ha fatto tragedie».

simona atzori

«A 18 anni ho deciso che avrei fatto a meno delle protesi. Quelle sì erano davvero un corpo estraneo. Quella con le braccia non ero io. Io sono quella che non indossa né braccia né bottoni. Anche perché con le protesi uno degli esercizi era di pescare bottoni da una scatola di latta. Ho sviluppato il rigetto, come se avessi la koumpounophobia».

 

La che?

«La paura per i bottoni, la sindrome di una persona su 75.000. Così un' azione semplice, come appunto il vestirsi abbottonandosi jeans o camicia, può diventare particolarmente complessa».

Sempre Cannavò, davanti a un tuo quadro, scrisse di un intreccio che s' intuiva «passionale», due mani e due piedi avvinti in perfetta armonia, e tu: «Sto abbracciando il mio fidanzato» Cannavò concluse: sono due giovani che si amano, con il cuore «e tutto il resto».

«Capisco che ci sia pudore o imbarazzo a affrontare il tema della sessualità davanti al mio corpo, ma è tutto molto naturale. Il sesso è un elemento vitale dell' amore. Sono una donna, con i desideri e le pulsioni di ogni altra donna, non voglio essere vista come angelicata».

Le donne, anche se non tutte, pensano alla maternità.

«Io con Andrea, con cui sono stata fidanzata 13 anni (Simona non lo dice, ma trattasi di prestante pilota di elicotteri di pronto soccorso, ndr), ho provato ad avere un figlio ma non è venuto. Adesso mi considero la sua assistente con i suoi tre figli, e poi sono la zia di tre meravigliosi nipotini».

 

simona atzori

Sono sempre stato attratto, forse perché ho la flessuosità di uno stoccafisso, dalla fisicità espressa da ballerini e ballerine. In te, nel tuo equilibrio dinamico, è come se carnalità e femminilità abbiano trovato la loro sublimazione. La passione per la danza quando l' hai scoperta?

«A 6 anni, ma a 4 anni avevo iniziato a dipingere. A 9 ero già nell' associazione degli artisti che dipingono con la bocca o con il piede. Nel 1992 siamo stati ricevuti in udienza dal Papa, al quale ho donato il ritratto che gli avevo fatto. Lo stesso ho fatto con Papa Francesco nel 2014. Per la danza, a Saronno (non lontano da Gerenzano, provincia di Varese, dove abitavamo) c' era una scuola collegata alla Royal Academy di Londra. Stavo inseguendo un sogno, ma non la ritenevo un' utopia irrealizzabile. Invece subii uno stop perché il regolamento non prevedeva un caso come il mio. Non potevo sostenere gli esami.

 

Mia madre non si perse d' animo e scrisse alla regina Elisabetta, da cui dipende la Royal Academy, che rispose: sia ammessa solo agli esami orali. Ma non aveva senso andare avanti solo con la teoria. A quel punto, con i miei ci trasferimmo oltre Atlantico, dove viveva già mia sorella, sposata con un canadese, e trovai apertura e comprensione per il mio amore per la danza, laureandomi anche alla University Western Ontario in visual arts».

 

Non ti sei più fermata: hai ballato anche nella cerimonia di apertura delle Paralimpiadi invernali di Torino e con l' etoile Roberto Bolle, infine hai creato la tua compagnia Simonarte dance company. Il 10 gennaio sei al teatro Manzoni di Milano per uno spettacolo, Una stanza viola, calato in un contesto particolare.

«Il ricavato sarà interamente devoluto all' associazione Wondy sono io, voluta da Alessandro Milan in memoria della moglie Francesca Del Rosso, giornalista e blogger, morta nel 2016 per un tumore al seno. Parleremo anche di resilienza, la capacità di affrontare gli ostacoli e le barriere che la vita può presentarci».

Simona Atzori

Grazie per questa bella conversazione, Simona.

«Grazie a te, con un augurio a tutti per il 2018: di ricordarci sempre che quello che ci rende uguali è proprio il fatto di essere tutti diversi gli uni dagli altri, tutti pezzi unici».

antonello pirosoPIROSO