LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA È INDUBBIAMENTE UN GRANDE SUCCESSO DELLA TRIADE MELONI- MANTOVANO-…
1 - È MORTO DARIO FO, IL GIULLARE SOMMO «MISTERO BUFFO» IL SUO CAPOLAVORO
Giuseppina Manin per www.corriere.it
Se n’è andato. L’attore sommo e il sommo drammaturgo. Il regista, lo scenografo, l’impresario. Lo scrittore e il pittore. L’uomo di sinistra fuori dal coro, il militante senza bandiere. Il giullare che si fa beffe del potere, il Nobel che fa infuriare gli intellettuali scornati. Dario Fo. Morto a 90 anni e sette mesi per problemi polmonari. Era ricoverato da 12 giorni all’ospedale sacco di Milano. Un’esistenza lunga e fortunata.
«Esageratamente fortunata», ripeteva lui che a differenza di quelli mai contenti sapeva dire grazie alla sorte. Quando mai il figlio di un capostazione, nato il 24 marzo del 1926 in un paesino del lago Maggiore, poteva sognare quel destino buffo che le stelle avevano in serbo per lui?
Tutte quelle vite, una più straordinaria dell’altra, una dentro l’altra, riflesse come in un gioco di specchi capace di moltiplicare il tempo e le storie. Dagli anni dell’Accademia di Brera, così ricchi di stimoli culturali, ai brutti mesi con la divisa della Repubblica di Salò «per non finire deportato in Germania». Dai testi radiofonici del Poer nano all’esordio con Parenti e Durano al Piccolo Teatro con Il dito nell’occhio, all’unica esperienza cinematografica, con Carlo Lizzani che gli cuce su misura il film Lo svitato.
Ma fatale è l’incontro con Franca, la donna della sua vita, la compagna di scorribande d’arte e d’amore. Di bellezza folgorante, corteggiata da tutti, manda in tilt Dario inchiodandolo senza preamboli con un bacio, visto che lui non osa avvicinarla. Amore a prima vista, matrimonio borghese, in chiesa a Sant’Ambrogio, la nascita di un figlio, Jacopo, che erediterà la loro passione per la scena. Un’unione salda anche se inquieta e fuori da ogni schema. Fo e Rame uniti nonostante tutto dentro e fuori scena.
LA MESSA AL BANDO DALLA RAI DEMOCRISTIANA
Insieme danno vita agli scombinati titoli degli anni ‘50-’60, Gli Arcangeli non giocano a flipper, Chi ruba un piede è fortunato in amore, La signora è da buttare. Insieme debuttano in tv nella scandalosa Canzonissima del ‘62 che gli costò la messa al bando per 14 anni dalla Rai democristiana. E poi il grande successo di Mistero Buffo nel ‘69, dove Fo riprende a modo suo la lezione dei fabulatori e dei cantastorie, raccontando tra sacro e profano, sberleffi e commozione, le storie della Bibbia e dei Vangeli, di papi tronfi e di villani sagaci.
Ma il ‘69 è anche l’anno della strage di piazza Fontana, inizio della strategia della tensione. Storia e cronaca entrano prepotenti nel teatro di Dario, che sera dopo sera scrive e riscrive le pièce modificandole in diretta sugli eventi. Così è per Morte accidentale di un anarchico, sulla morte di Pinelli; così per Il Fanfani rapito, Non si paga non si paga, Pum pum! Chi è? La polizia, Tutta casa, letto, chiesa, Clacson, trombette e pernacchi. Sono gli anni ruggenti della Palazzina Liberty. Un teatro che, come scrisse Roberto De Monticelli, aveva dentro «il nero dei titoli dei giornali».
E difatti la polizia trovava ogni pretesto per fermare gli spettacoli, irrompendo talora anche in teatro. Con grande divertimento di Dario pronto a trasformare quell’imprevisto in una nuova farsa. Un susseguirsi di satire al vetriolo, sulle quali Dario spandeva a piene mani il suo grammelot, folle assemblaggio di suoni di parlate diverse, nonsense linguistici accessibile a tutti. Una magnifica invenzione che, insieme con l’imponente corpus drammaturgico, quasi un centinaio di testi teatrali, gli valse nel 1997 il Nobel per la letteratura.
dario fo gianroberto casaleggio
GRAZIE A RUZZANTE E MOLIÈRE
Accolto con entusiasmo all’estero, un po’ meno in patria, dove molti scrittori e poeti digrignarono i denti, stupefatti e biliosi per esser stati scavalcati in tanta gloria da un buffone irriverente. Che, come diceva la motivazione degli Accademici svedesi, «seguendo la tradizione dei giullari medioevali dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi».
Laudatio a cui Dario rispose ringraziando quegli anonimi maestri, ma anche Ruzzante e Molière, e soprattutto Franca. Con cui volle spartire la medaglia riconoscendole pubblicamente il ruolo di coautrice di tante commedie e consigliera impareggiabile. Impossibile pensare l’uno senza l’altra. Ma poi ecco che Franca muore, il 29 maggio del 2013, e Dario per la prima volta deve andare avanti da solo.
Azzoppato, gli occhi celesti stanchi e dolenti, eppure sempre curiosi e beffardi. Consapevoli che la vita, come l’amore, come il teatro, spesso fa male. Al lutto di Franca si aggiungono quelli di Enzo Jannacci, amico e complice di canzoni irriverenti, da «Ho visto un re» a «El purtava i scarp del tennis» e quello recente di Gianroberto Casaleggio, amico e alleato su nuovi fronti politici. Ma è Franca a mancargli sempre di più, la perdita non è sanabile, il lavoro è il miglior analgesico.
SCRIVE E DIPINGE, SEMPRE VITALE
Con disperato furore e rinnovata vitalità Fo non si dà tregua. Scrive un libro dopo l’altro, dipinge con l’energia e la gioia di un ragazzo quadri di colori vivacissimi esposti in mostre in Italia e all’estero. Sempre attentissimo alla vita pubblica, non si perde una polemica, tiene banco a incontri, continua ad andare in scena con il testo più amato, Mistero Buffo, nonostante il parere contrario del medico, nonostante il fiato gli manchi sempre più spesso. L’estate nella casa di Cesenatico, così cara anche a Franca, non riesce a frenare tanta smania di vivere e di fare.
Di morire Dario non ha nessuna intenzione. «Non temo la morte ma neanche la corteggio. Se hai campato bene è la giusta conclusione della vita». Anche sul letto d’ospedale, nonostante la maschera d’ossigeno, ha trovato la forza di scherzare sul suo stato di salute: «È come una sfida a ramino. Puoi vincere o perdere, ma quel che conta è la partita».
Certo, ingannare la morte lo divertirebbe. Sarebbe pronto anche a barare... Mesi fa, nel cortile della sua casa milanese di Porta Romana, era rimasto incantato davanti a una rosa sbocciata all’improvviso, fuori stagione. Si era convinto che fosse stata Franca a fargli quel dono, come segno di una sua presenza costante. «Lei è sempre accanto a me, ogni volta che non so come trarmi di impaccio, la chiamo e mi risponde». Quella rosa ne era la prova provante. Chissà se adesso lì accanto ne crescerà un’altra.
2 - RAME CHE VALEVA ORO - DARIO FO: “FRANCA ERA BELLISSIMA. AVEVA UN SACCO DI PRETENDENTI E IO POCHE POSSIBILITÀ. L'UNICA COSA CHE POTEVO FARE ERA IGNORARLA. E FUNZIONÒ. UNA SERA MI BUTTÒ SUL MURO E MI BACIÒ. IL SENSO ERA: COME TI PERMETTI DI NON VEDERMI?”
Simonetta Fiori a Dario Fo per “la Repubblica”
A teatro si conobbero, grazie al teatro si sono sposati e ritrovati. E al teatro lui ha affidato il saluto estremo, quello più difficile. Dario Fo e Franca Rame, tutto nella loro storia sembra evocare il teatro, ribalta di ogni magia. Anche questa casa delle vacanze a metà strada tra Cesena e Cesenatico, una sorta di wunderkammer zeppa di cavalletti, modelli di scena e sculture lignee. Porte che si aprono e si chiudono, un via vai di ragazzi.
E al centro del proscenio naturalmente Fo, impegnato in mille cose: mostre di pittura a Pavia e Verona, il lavoro sulla Callas che andrà in onda su Raiuno e un libro in uscita - Nuovo manuale minimo dell'attore (Chiarelettere) - che racconta molto anche di Franca, compagna di vita e di battaglie. «Franca è in tutto quello che faccio», dice Fo con un tono di voce più basso.
Quando parla di lei, sembra deporre gli attrezzi di scena. Non più il giullare che ha rivoluzionato il teatro, il premio Nobel studiato nelle principali università del mondo. Soltanto un uomo dimezzato. «Lavoro esageratamente, ma Franca è il grande buco della mia vita. Anche nel sogno mi tormenta la sua assenza, il suo sparire ».
Se ne innamorò guardandola in una fotografia in bianco e nero.
«Sì, la prima volta la vidi in una foto a casa di sua madre. "Che bella", dissi. "È mia sorella", spiegò la Pia. "La vedrai presto". Avevo firmato un contratto per la compagnia del marito. Ci saremmo trovati nello stesso spettacolo ».
Era di una bellezza sfolgorante.
«Soprattutto era diversa dalle ragazze che incontravo a teatro. Leggeva molto, autori italiani ma anche angloamericani. E sapeva di teatro più lei di tutti i registi che avevo conosciuto».
Era nata a teatro.
«Mi colpì un gesto della mano, che le avrei visto fare tante volte sulla scena. In trenta secondi coglieva l' umore del pubblico. E alzando il braccio ci diceva: date ritmo, incidete. Capiva quando gli spettatori andavano incalzati».
Le dava il ritmo anche nella vita?
«Ah, sì. Era molto diretta. Se doveva fare una critica la faceva senza chiedere il permesso».
Come l'ha corteggiata?
«Avevo capito che c' erano un sacco di pretendenti, ma io avevo poche possibilità. Ero stato appena licenziato, quindi fuori registro. L' unica cosa che potevo fare era mettermi da parte. Quando lei mi guardava sulla scena, anche a venti metri di distanza, io facevo il gioco di andare oltre con lo sguardo».
Fingeva di ignorarla. E funzionò.
«Una sera mi buttò sul muro e mi baciò. Il senso era: come ti permetti di non vedermi? Era libera da ogni convenzione, non si rifaceva ad alcun modello ».
Quanto ha contato l' ironia?
«Moltissimo. Tendeva a distruggere tutti i luoghi comuni, il banale, il risaputo. Naturalmente esercitava la satira anche con me. E se mi sfuggiva qualcosa di ovvio era rapida nell' infilzarmi».
Però dopo qualche tempo le vostre strade si separarono. E lei, Fo, pianse.
«No, non ho mai detto di aver pianto. Soffro ma non piango. Non mi ricordo di aver pianto da quando ero ragazzino ».
Come lo spiega?
«Mi sono trovato davanti a cose molto dure, durante gli anni della guerra.
La Repubblica Sociale, la minaccia di portarmi in Germania, le ritorsioni su mio padre e mio fratello, le violenze, le stragi. Ho visto cose tremende».
Quanto l'ha aiutata Franca a sciogliere questo nodo?
«Mi ha trovato che il carattere era già fatto. Lei evitava soprattutto che io mi arrabbiassi. Non ne val la pena, mi diceva. Devi risolvere le cose con distacco, non con la forza della tua rabbia».
Quando succedeva?
«Abbiamo avuto una vita felice, ma anche molti problemi: aggressioni, ingiustizie, cattiverie fini a se stesse. E tanta censura. Ci facevano saltare le piazze, come si dice in gergo. Allora Franca era straordinaria».
Come reagiva?
«Lei era la saggezza. Avendo studiato architettura, mi vengono in mente i principi della dinamica: Franca riusciva a spostare i centri d' equilibrio. L'espressione tecnica è: fuori chiave. Una sua battuta fulminante, in un momento di tempesta: Dario, ma cosa stai a prendertela? Dopotutto è solo teatro».
Il teatro era la vostra vita.
«Appunto. Lei distruggeva l' enfasi, la retorica, come se ci fosse un bambino da salvare. Eh no, un bambino da salvare non ha pari. E allora vieni giù dal pero».
La faceva cadere spesso dal pero?
«Sì, il pero è un momento di giocosità infantile, non è il mondo».
È stata importante per contenere il narcisismo?
«No, non c' entra il narcisismo. Sono sempre stato umile».
Comunque una personalità forte con cui confrontarsi.
«Ma abbiamo fatto tutto in due. È una gran forza, vivere in due le difficoltà. E guadagnare in due, vincere in due».
Come avete vissuto in due la violenza sessuale subita da Franca?
«S' è salvata da sola, grazie al consiglio di un grande medico: tu devi raccontarla. Ora devi far capire cos' è il tuo mestiere, la sua forza. Perché tu hai pagato per la forza che ha il teatro. E ti hanno mortificata nel modo più infame. Puoi solo raccontarlo. Franca però faceva resistenza. Una sera ero con lei sulla scena, finito l' atto. E lei disse: "voglio raccontare qualcosa che con fatica ho rimandato indietro. Voi aiutatemi ascoltando". Il pezzo durò venti minuti, il pubblico pietrificato».
E lei Fo come l' aiutò?
«Me ne andai via dalla scena, perché non potevo ascoltare».
E nel rapporto personale?
«Ho vissuto la disperazione come lei. No, non come lei, questo è impossibile. Posso solo dire: ho agito da essere umano, non da fantoccio».
Ai suoi funerali, lei ha recitato un pezzo bellissimo scritto da Franca. "Dinanzi alla scelta posta dal Signore tra una vita eterna e una vita di amore e conoscenza, Eva sceglie senza esitazione amore e conoscenza. E un Adamo al principio titubante decide di seguirla". È stato così anche nella vita: era Franca a indicare la strada?
«Abbiamo discusso sempre di ogni cosa. E il nostro contrasto era fondamentale per tutto quello che facevamo. Purtroppo quasi sempre avevo torto io. Franca intuiva le cose da lontano. Ascoltava, guardava. E difficilmente si sbagliava sulle persone».
In un libro-intervista lei ha detto: "Non siamo una coppia da manuale. Forse ci siamo fatti un po' di male ma non possiamo fare a meno l' uno dell' altro". A cosa si riferiva?
«Mi riferivo alla difficoltà di sotterrare certi interessi. Quando si deve sacrificare qualcosa, fai male all' altro se non accetti di farlo, fai male a te per il bene dello stare insieme. E allora bisogna mandare giù il magone».
Fu memorabile una satira televisiva di Franca su Dario e le sue ragazze innamorate. Alla fine annunciò di volerla lasciare.
«L' appresi anche io dalla tv. Era già un mese che non ci si vedeva. Ricevetti una telefonata, lei mi parlò a lungo. Ma queste sono cose difficili da raccontare ».
Ebbe paura di perderla?
«Sì, certo. Ma tutto s' è risolto».
Venne fuori il suo carattere straordinario.
«Sì quello di Franca sì. L' intelligenza che ti impedisce di bruciare le cose in un rogo di vendetta e risentimento, che ti costringe ad analizzarle e a farle analizzare anche a me. Che mi fece dire: ma val la pena quello che sto facendo? La cosa meravigliosa è che siamo riusciti a superare momenti disastrosi, talvolta molto crudeli. La disperazione ci ha salvato».
Continua a sognarla ogni notte?
«Sì, sogni sempre diversi. La sogno da ragazza. O che uno spettacolo è saltato e studiamo una soluzione alternativa. Oppure mentre facciamo bellissimi viaggi, però poi non la trovo più. La cerco e Franca non c' è. Purtroppo funziona sempre così: Franca compare e poi nel finale sparisce. Un tormentone tragico che mi fa svegliare con dolore: già, Franca è morta».
Come le chiese di sposarla?
«Era un momento difficile a teatro. Franco Parenti non voleva tra i piedi la sua compagna, così cercava di allontanare dalla compagnia anche Franca. La portai in un bar vicino a Porta Romana, dove poi avremmo vissuto. "Dai, facciamo il punto", dissi a Franca. "Loro vogliono farti fuori. E io ti sposo"».
E lei?
«Ha dovuto forzare molto per non piangere. Ci stavamo inventando la nostra vita insieme».
«Dario è un monumento, io il suo basamento »: era un suo modo di scherzare.
«Senza il basamento la statua resta a terra».
3 - MISTERO BUFFO FA 90 – DARIO FO COMPIE GLI ANNI E CONFESSA: “SOGNO FRANCA VIVA TUTTE LE NOTTI” – “MI MERAVIGLIO DI NON ESSERE RINCOGLIONITO. MI INDIGNO ANCORA, E’ UN MONDO PIENO DI MORTI CHE CAMMINANO. CI SONO GIOVANI CHE TIRANO A CAMPARE, UNA SOCIETA’ CHE NON DA’ PIU’ STIMOLI”
Mauretta Capuano per ANSA
Scrive, recita, dipinge. Dario Fo vive con un'eccezionale energia i suoi novant'anni. "Mi sembra un'età pazza, folle. Ho ancora delle idee da portare avanti e mi indigno" dice all'ANSA il Premio Nobel che il 24 marzo spegnerà 90 candeline, festeggiato, al Piccolo Teatro di Milano, dagli amici di una vita, dai collaboratori, dai giornalisti. La festa, alla cui organizzazione sta lavorando il figlio Jacopo, vedrà forse salire sul palco i nipoti e bisnipoti.
Ci sarà Carlo Petrini, l'inventore di Slow Food e di Terra Madre, detto Carlìn, che racconterà aneddoti e storie legate a Dario. Non potrà essere presente, ma ci sarà, la sua Franca, morta nel 2013: "E' un guaio terribile averla perduta e vivere senza di lei. Era parte della mia vita. Non basta la memoria. Sogno tutte le notti Franca e sogno che è viva. Ecco, ho anche delle emozioni. Ne ho scoperto l'importanza" dice Dario e non può più continuare a parlare.
Non era nei suoi programmi "arrivare fino a questo punto e mi meraviglia non essere rincoglionito. Ho qualche mancanza di memoria per certi fatti, situazioni, non ricordo i nomi, ma non ho mai prodotto così tante cose e non mi sono mai appassionato e divertito come in questi tempi", racconta Fo che il 17 marzo vedrà arrivare in libreria 'Dario e Dio' (Guanda) in cui, sollecitato da Giuseppina Manin, tira le somme della sua lunga esplorazione dei misteri più o meno buffi della fede e della religiosità.
E' l'ultimo titolo della ricchissima produzione editoriale di questi ultimi anni, accompagnata spesso da sue illustrazioni, che lo hanno visto anche tornare in prima serata su Rai1 dopo circa quarant'anni e continuare a recitare in teatro con spettacoli ispirati in alcuni casi ai suoi romanzi. Basti pensare a quello tratto da 'La figlia del Papa', tra i cinque titoli - l'ultimo è 'Razza di zingaro' - pubblicati negli ultimi due anni da Chiarelettere fra cui spicca anche il 'Nuovo Manuale Minimo dell'Attore', pensato da Dario Fo con la moglie Franca Rame.
Una storia di vita e di passione in cui troviamo il teatro insieme, l'Italia del dopoguerra, degli anni Settanta, la prima di Mistero Buffo a Parigi, il viaggio in Cina, censure e storie incredibili. Tra i libri usciti negli ultimi due anni anche 'Storia proibita dell'America' (Guanda), 'C'è un re pazzo in Danimarca' (Chiarelettere) e 'Ciulla, il grande malfattore'.
"Rispetto a quando avevo 70 anni ho perso energia, ma me la cavo ancora bene: lavoro, disegno, scrivo e recito che è la cosa più pesante. Dopo due ore di rappresentazione qualsiasi essere umano è molto stanco ma è il mestiere, la conoscenza del palcoscenico che mi permette di recitare ancora oggi", afferma Fo, che dopo essersi diplomato all'Accademia di Brera e aver frequentato il Politecnico, ha scoperto presto la vocazione per il teatro debuttando in scena negli anni Cinquanta con Franco Parenti e Giustino Durano.
Questa grande vitalità si muove però in uno scenario piuttosto nero. In un "mondo pieno di morti che camminano. Un uomo - dice Fo - che non partecipa alla vita della comunità, che si estranea, è un morto che cammina. Ci sono tante persone, anche giovani, che tirano a campare. Questa è una società che non ti dà più stimoli. Vedere persone che si lasciano comprare, che leccano i piedi e accettano mortificazioni pur di stare a galla. E' così che uno muore perché ha sposato l'ovvio, il banale".
Figlio di un capostazione, nato a Sangiano, in provincia di Varese, il 24 marzo 1926, Premio Nobel per la Letteratura nel 1997 tra critiche e consensi, Fo non fa sconti al nostro presente: "Abbiamo perso l'indignazione, la dignità, la coscienza, l'orgoglio di essere persone che hanno inventato la civiltà". "Siamo degli ingiusti che se ne fregano della giustizia. Cosa lasciamo ai nostri figli?" sottolinea il Nobel che ha dedicato tutta la vita all'arte e all'impegno insieme alla sua Franca.
dario fo 10dario fo 1PAOLA CORTELLESI E DARIO FO IN CALLAS DARIO FO E FRANCA RAME DARIO FO E FRANCA RAME dario fo 12
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