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“BELCANTO” STONATISSIMO! – ALBERTO MATTIOLI STRONCA LA FICTION DI RAI1: “CHI HA SCRITTO LA SCENEGGIATURA NON HA LA MINIMA IDEA DI COSA SI STIA PARLANDO. SI TENGONO AUDIZIONI IN STILE 'X FACTOR' NEL TEATRO DEL PALAZZO REALE DI NAPOLI, INSOMMA A CASA BORBONE LA RICOSTRUZIONE D'AMBIENTE È UNA BARZELLETTA. LE CANZONI POPOLARI VENGONO CANTATE IN PERFETTO STILE SANREMO" - ALDO GRASSO PARLA DI "FEUILLETON CON MOLTE CADUTE DI STILE" - VIDEO
1 - «BELCANTO», PUCCINI IN UN FEUILLETON CON MOLTE CADUTE DI STILE
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” - Estratti
Non è facile dare qualche giudizio su questa fiction. Metterne in luce i difetti è un gioco facile ma che non porta da nessuna parte; trovarne dei meriti è fatica non da poco. Sto scrivendo di «Belcanto», una miniserie su soggetto di Federico Fava, Antonio Manca, Mariano Di Nardo, per la regia di Carmine Elia (Rai1).
È la storia di Maria (Vittoria Puccini) e delle sue figlie, Antonia (Caterina Ferioli) e Carolina (Adriana Savarese), in fuga da Napoli per liberarsi dall’oppressione del violento marito di Maria, Iginio (Antonio Gerardi), e per inseguire il sogno di calcare i palcoscenici dei grandi teatri di Milano.
L’impianto narrativo è quello del feuilleton, un genere su cui spesso si travisa.
(...)
Il problema è sempre il solito: se si alza l’asticella della scrittura si teme di perdere il pubblico, ma se la si abbassa (come in questo caso) si va inevitabilmente incontro a cadute di stile (recitazione approssimativa, racconto stancamente lineare…) che impoveriscono il prodotto e ci relegano in un’eterna provincia culturale: il viaggio verso Milano, l’incontro casuale con Domenico Bernasca, il proprietario della locanda «La mano di ferro», i salotti musicali della Milano operistica sfiorano sempre la caricatura.
P.S. Non aver fatto incontrare alle due ragazze, Antonia e Carolina, Piero Maranghi e Leonardo Piccinini è un grave errore di prospettiva: in futuro avrebbero potuto esibirsi su Sky Classica!
2 - BELCANTO, COSÌ LA FICTION TRADISCE PUCCINI
Alberto Mattioli per “la Stampa” - Estratti
D'accordo, è una fiction, quindi un certo margine di fantasia e magari di libertà e perfino di errore è tollerabile. Ma qui si esagera, perché se si tocca la storia un minimo di autenticità ci vuole. Se metto in scena gli antichi romani mettendo loro l'orologio al polso, allora vengono superati i limiti non del vero, ma del verosimile: e si approda al ridicolo. È quel che succede con Belcanto, incredibile sceneggiato di Raiuno che dovrebbe raccontare il magico mondo dell'opera italiana ottocentesca.
Siamo nel 1847, a Napoli, dove mamma Vittoria Puccini ha un marito violento e due figlie, una carina cui ha insegnato a leggere, scrivere e cantare e l'altra lasciata allo stato di selvaggia nemmeno tanto buona. Dopo aver ucciso il padre padrone per non essere uccise da lui, le tre donne traslocano a Milano a cercare fortuna a teatro, e già qui non tornano i conti perché negli anni Quaranta dell'Ottocento Napoli era una «piazza» operistica più importante di Milano, e il San Carlo più prestigioso della Scala.
Il problema è che chi ha scritto la sceneggiatura non ha la minima idea di cosa stia parlando. Come se il soprascritto scrivesse un libretto su un ingegnere nucleare: possibile, ma a patto di documentarsi un minimo.
Qui invece si tengono audizioni in perfetto stile X Factor nel teatro del Palazzo Reale di Napoli, insomma a casa Borbone; come se si facessero le prove di un musical del West End nella Ballroom di Buckingham Palace. Le lezioni di canto vengono impartite senza il pianoforte (che poi all'epoca sarebbe stato più un fortepiano) e consistono nel muovere a caso le braccia.
(...)
La ricostruzione d'ambiente è una barzelletta a parte. Nel 1847, Puccini (intesa come Vittoria) apostrofa la figlia dicendole «datti una mossa», a Napoli si parla napoletano stretto con tanto di sottotitoli ma appena si passa a Milano i popolani misteriosamente si esprimono in italiano, chissà, avranno tutti letto I promessi sposi, e niente sottotitoli nemmeno quando i soldati austriaci sbraitano in tedesco. Le canzoni popolari vengono cantate in perfetto stile Sanremo, il teatro della Canobbiana, attuale Gaber ed ex Lirico, sembra proprio il Fraschini di Pavia, eccetera.
E dire che basterebbe mettere in scena le vite, chessò, di Domenico Barbaja o di Maria Malibran o di Giovanni Matteo de Candia in arte Mario (magari recitando un po' meglio, però). Sarebbero delle fiction movimentate e istruttive, divertenti e appassionanti, molto più piene di colpi di scena di questa spremuta di luoghi comuni.
Certo, prima bisognerebbe conoscerle. Studiare non sempre risolve, ma spesso aiuta.
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