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Marco Giusti per Dagospia
erri de luca nel documentario lotta continua
Più che con i premi dell’edizione del quarantennale, ai pur notevoli “Palm Trees and Power Lines” di Jamie Dack come Miglior Film e Miglior Sceneggiatura, a “Rodeo” di Lola Quivoron il Premio Speciale della Giuria e la Miglior attrice, Julie Ledrou, a “War Pony” di Riley Keough i migliori attori, i giovani Jojo Bateise Whiting e Ladainian Crazy Thunder, mi sembra che il Torino Film Festival ideato da Steve Della Casa, che torna dopo anni alla direzione e che 40 anni fa fu con Gianni Rondolino, Alberto Barbera, Roberto Turigliatto, Sergio Toffetti una delle anime della rassegna, si sia concluso piuttosto con la proiezione del documentario molto onesto e essenziale “Lotta Continua” di Tony Saccucci, con il premio al bellissimo documentario “Corpo dei giorni” del collettivo Santabelva dedicato a Mario Tuti, irriducibile terrorista di estrema destra oggi in semilibertà e con tutta la sezione “fedeli alla linea” che riporta finalmente la politica al centro del discorso.
E in qualche modo, lo scioglimento di Lotta continua alla fine degli anni’70, la fine della militanza politica, diciamo, e l’inizio di una pratica militante cinematografica, nel caso di Steve, ma non solo nel suo caso, furono un momento fondamentale del superamento di un periodo difficile e pericoloso. Come se nel cinema o nel giornalismo o nella televisione si potesse più facilmente riportare un discorso, appunto, di fedeltà alla linea e di rivoluzione almeno culturale.
gad lerner nel documentario lotta continua
E capisco, da parte di Steve, l’aver messo sullo stesso piano, nel recupero di un filo mai tagliato con le proprie origini, altro che Tuti, e parlo anche per me, che negli anni ’70 era anche il figlio del Questore di Torino, la militanza politica, l’amore per i film western e per i film horror. Sono proprio queste tre sezioni, a quaranta anni di distanza, a riportarci a galla quel che eravamo.
E proprio vedendo in sala un bellissimo piccolo western che non avevo mai visto, “I desperados della frontiera” (“Four Guns to the Border” con il pessimo Rory Calhoun, il grande Walter Brennan e una splendida e supersexy Colleen Miller, massimo punto di piacere cinefilo che mi potessi concedere, mi sono ricordato cosa legava la purezza di certi western, cioè il fatto di essere solo cinema, alla militanza politica del tempo. Per chi ci credeva, ovvio.
Al punto che trovo più fedeltà alla linea nella rilettura del western operata da Steve, che nel documentario un po’ troppo descrittivo su “Lotta continua”, forse perché cerca di non entrare in conflitto su nulla (vedi l’omicidio Calabresi, non proprio trattato…). E già così, credo, non sarà stato facile, oggi tornare a parlare di Lotta continua e di militanza politica e per farlo si possono digerire anche gli orrori dei fratelli Sgarbi.
Eppure. Vi sembrerà strano. E certo sono passati tanti anni. Ma per chi è cresciuto negli anni ’70 associare la lotta politica al cinema di genere, passando ovvio attraverso Godard e Glauber e il primo Bertolucci, attraverso tutto Nicholas Ray a cominciare da “Johnny Guitar”, per non parlare di Joseph H. Lewis o dei tortilla western di Petroni e Corbucci era una pratica abituale. Qualcuno ricorderà il momento magico delle Brigate Rossellini. Un gioco facile, come quello delle Brigate Bombolo. Meno nobili.
aldo cazzullo i ragazzi che volevano cambiare il mondo
Ma qualcuno ricorderà quanto i movimenti più estremisti adorassero nei primi anni ’70 i film di Sartana o i “Vamos a matar companeros” rispetto al cinema comunista di papà del tempo. “Come mai come mai / spari sempre agli operai? / D’ora in poi d’or in poi /spareremo pure noi”. Il documentario di Tony Saccucci riporta alla luce una serie di filmati che non conoscevo. E una storia, con interviste a Gad Lerner, Erri De Luca, Giampiero Mughini, Paolo Liguori, Marco Boato, Vicki Franzinetti, Marino Sinibaldi, che non mi ricordavo più bene. Ma che fa parte, bene o male, non solo della nostra storia, ma anche della nostra cultura.
A cominciare proprio dal logo di Lotta continua col pugno rosso alzato (chi era il grafico?). E se torno indietro nel tempo, ricordo bene che il festival di Torino già allora aveva cercato da subito di mostrare i film politici, i cinegiornali di controinformazione, le pratiche cinematografiche militanti. In un momento, i primissimi anni ’80, dove sembrava di uscire da un incubo che ci aveva avvolti davvero tutti. Soprattutto in una città come Torino.
Al di là di premi e della riuscita del festival, mi sembra che Steve, confermato alla guida del Festival per un altro anno, abbia puntato a quello che davvero eravamo. Quarant’anni fa.
adriano sofri - lotta continuaadriano sofri nella redazione di lotta continualotta continua pisalotta continua calabresiGAD LERNER AI TEMPI DI LOTTA CONTINUA
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