DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Silvia Truzzi per il “Fatto Quotidiano”
Il dibattito, molto acceso, che seguì l’uscita di Scrittori e popolo avvenne all ’interno di quella che Alberto Asor Rosa definisce “società letteraria”: una comunità dove le proposte di poetica, le riflessioni sul senso e gli orizzonti della letteratura acquistano cittadinanza.
Che oggi – spiega il professore – è pressoché scomparsa. “Molta arte del Novecento non avrebbe funzionato senza società letteraria”, racconta Emanuele Trevi. “Penso a un grande poeta come Andrea Zanzotto: quante copie avrebbe venduto senza società letteraria?
La società letteraria attribuisce valori e interpretazioni indipendentemente dal mercato o dalla fortuna mondana di un autore. Quando la società letteraria muore, rimangono solo i titoli che vincono il premio Strega, o quelli che vanno in classifica: diciamolo, nove su dieci sono libri di merda”.
La critica è una parte importante della società letteraria, contribuisce a un miglioramento della produzione. Perché ha abdicato alla sua funzione?
La critica è il tessuto connettivo. Nella prefazione a La guerra contro i cliché, Martin Amis spiega bene come la critica un tempo garantisse la leggibilità delle opere, al tempo stesso spronando la creatività degli scrittori.
Siamo cresciuti con la presenza degli ultimi maestri dell’età della critica: Harold Bloom, Roland Barthes, George Steiner. Oggi non esistono più personalità così influenti: è venuta a mancare una prosa che univa una ricerca filosoficamente fondata, piena di idee collaborative rispetto alla tradizione e nello stesso tempo capace di comunicare le proprie scoperte in forme suggestive.
Nessun esempio italiano.
Gli scritti di Gianfranco Contini sono addirittura più complessi di quelli di Gadda e Montale, ai quali dedicò due libri dal titolo emblematico, Quarant’anni di amicizia e Una lunga fedeltà. Ma lo stile di Contini oggi è inconcepibile. È subentrato un giornalismo stupido, pettegolo, unicamente orientato al successo commerciale. Soprattutto poco disposto a concedere “durata ” ai libri.
Il massimo della competizione tra le pagine culturali dei giornali è dare un’anticipazione di questo o quell’autore. La ricerca è ristretta agli ambiti accademici e l’informazione è diventata una cassa di risonanza delle strategie editoriali.
In “Scrittori e massa” Asor Rosa la cita: concorda con lei sul fatto che lo scrittore è ormai solo uno storyteller.
Sono cresciuto nell’idea che chi era nato nel Novecento fosse erede di una tradizione che durava dai tempi di Diderot: il valore consisteva sempre nel tentare l’intentato, nell’alzare l’asticella.
Capisco la delusione di Asor Rosa: nonostante una certa differenza di età, proviamo la stessa sensazione di impoverimento. Ma non bisogna mai essere nemici del proprio tempo. Più che deprecare, bisogna affinare l’udito, non stancarsi di riconoscere e descrivere forme autentiche di originalità e follia che gli individui possono sempre produrre, perché in fondo l’individuo è sempre più forte e imprevedibile del clima storico.
I libri non durano.
Viviamo in un’identificazione esagerata della letteratura con un prodotto narrativo standard, che anche se diventa un best seller vive una vita cortissima. La cognizione del dolore di Gadda o Sotto il vulcano di Malcolm Lowry hanno goduto di una durata di decenni.
Ora il meccanismo commerciale produce la sparizione di un libro nel giro di pochi mesi. Ma la letteratura si è sempre servita di tempo: agli americani sono stati necessari settant’anni per rendersi conto che Moby Dick era un grande romanzo.
Asor Rosa parla anche di una omologazione che nasce dalle operazioni di editing: troppo conformismo, dice.
La strategia dominante delle grandi case editrici ha come scopo l’appiattimento delle asperità, in nome di ciò che rende vendibile il libro, vale a dire una profonda somiglianza psicologica e ideologica tra chi legge e chi scrive. Nel passato lo scrittore era qualcuno che non la pensava come nessuno e illuminava un orizzonte sconosciuto.
L’arte moderna è sempre stata la ricerca di uno scarto. Era possibile che un antisemita come Céline fosse riconosciuto come un grande scrittore dalla stessa gente che aveva orrore dei suoi deliri politici. Oggi lo scrittore di successo deve pensare e dire cose molto corrette: lo scarto non produce profitti.
Obietterei che il commercio di libri è sempre esistito.
Io dico viva il commercio, ma questo è un commercio cieco, senza prospettive. Perché i cosiddetti manager che hanno preso possesso del nostro mondo non sono veri commercianti, sono persone attaccate a modelli astratti, preventivi.
Ne ho conosciuto uno, a capo di un marchio italiano grande e prestigioso, che con l’aria di enunciare una verità indiscutibile, mi ha detto che la parola “morte” nel titolo rende invendibile un libro. Dunque oggi Thomas Mann sarebbe stato costretto a cambiare il titolo di Morte a Venezia.
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