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da www.newyorker.com
di Lawrence M. Krauss
Dopo che Matthew McConaughey ha preso l'Oscar come miglior attore protagonista per "Dallas Buyer's Club", ha iniziato il suo discorso ringraziando Dio e le opportunità che Egli gli ha dato. I conservatori religiosi hanno goduto delle sue parole, considerandole un atto coraggioso in quella Hollywood licenziosa.
La destra credente americana continua a dire che siamo nel mezzo di una guerra religiosa (laddove per religione s'intende cristianità , non altro) sebbene la realtà provi il contrario. Questa difesa a oltranza della fede ha condotto alla proposta di legge in Arizona che avrebbe legalizzato la discriminazione delle coppie gay in nome della "libertà religiosa". Il Religious Freedom Bill prevedeva la possibilità , per i commercianti dello stato, di rifiutare prestazioni e servizi commerciali che in qualche modo violavano il loro credo religioso.
Nelle menti di questi difensori di Dio, incombe l'influenza funesta di Hollywood. La cerimonia degli Oscar, presentata da una donna apertamente gay, vinta da due attori di un film sull'Aids, sembrerebbe confermare la reputazione di liberalismo e libertinismo dell'industria cinematografica. Ma le parole di gratitudine a Dio di Matthew McConaughey non sono l'unico segno che dimostra che invece a Hollywood Dio è vivo e vegeto.
Questo mese sono in uscita due blockbuster biblici. "Noè" di Darren Aronofsky e con Russell Crowe, e "Son of God" di Christopher Spencer, tratto dalla mini-serie "The Bible", ovvero la vita di Gesù di Nazareth interpretata dal modello portoghese Diogo Morgado. Ad aprile esce "Heaven is for Real," la storia di chi ha davvero visto il paradiso ed è tornato fra di noi per raccontarcelo.
Quando un non religioso (comunità in crescita negli Stati Uniti e nel resto del mondo sviluppato) fa notare che queste storie sono superficiali, se non addirittura umilianti, rischia di essere tacciato per uno che non ha alcun rispetto per l'altrui sensibilità .
La pietà è redditizia e i produttori esecutivi guardano al loro pubblico cristiano, soprattutto dopo il successo de "La Passione di Cristo" di Mel Gibson nel 2004. L'impulso è comprensibile, ma cozza con la convenzionale libertà anti-cristiana riconosciuta all'industria cinematografica americana.
Ho fatto un mio film-documentario dal titolo "The Unbelievers", una serie di dibattiti in giro per il mondo con il noto ateo Richard Dawkins, dove si parla di scienza, ragione, mito e superstizione. Tutti nel mondo cinematografico ci avevano avvisato che un film sull'ateismo non avrebbe trovato sale disponibili a mostrarlo. E questo è accaduto, nonostante 400.000 persone abbiano scaricato il trailer e il 90% dei credenti che lo hanno visto lo abbiano consigliato ad un amico.
La religione, così come la violenza, a Hollywood dà profitto. Il problema però è che marginalizza chi invece considera la religione un mito. Un recente studio condotto da un gruppo di psicologi in Canada e Stati Uniti, ha rilevato che gli atei, in una lista di categorie, sono considerati tipi di cui non fidarsi, al pari degli stupratori. Porsi domande sull'esistenza di Dio equivale ad essere una cattiva persona. Da un altro studio emerge che molti si definiscono "cristiani" per evitare che venga messa in dubbio la loro fibra morale.
Per lo stesso motivo il discorso di McConaughey agli Oscar è stato letto da molti come un atto di umiltà e un segno di virtù. Mi permetto di dissentire. Credo sarebbe stato molto più umile e virtuoso ringraziare chi ha supportato e reso possibile una tale trasformazione fisica per il suo ruolo nel film. Avrebbe dovuto ringraziare il suo gruppo di lavoro, invece di sentirsi scelto da Dio per questo privilegio.
Russell Crowe diventa Noe nel film in sala
Il film Son Of God
dallas buyers club best actor nominee matthew mcconaughey with wife camila alves and mom mary kathlene mccabe
Poster di Son Of God
matthew mcconaughey e cate blanchett
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