“MANIFESTO” SCRITTO E PARLATO - VALENTINO PARLATO S’INDIGNA CONTRO LA CHIUSURA DEL GIORNALE COMUNISTA DECISA DAI COMMISSARI LIQUIDATORI: “GLI ACCORDI ERANO ALTRI. ANDARE AVANTI FINO A SETTEMBRE E POI VALUTARE. RISCHIAMO IL PARADOSSO DI ESSERE SOPRAVVISSUTI ALL´ERA BERLUSCONI E DI MORIRE AL TEMPO DEI PROFESSORI” - “I CONTI VANNO MALE, VENDIAMO 18 MILA COPIE E SIAMO IN 70, FRA GIORNALISTI E POLIGRAFICI. UN PO´ TROPPI EFFETTIVAMENTE, MA LA RIDUZIONE È GIÀ PREVISTA”…

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U.R. per "la Repubblica"

«Ma come si fa a chiudere il manifesto via fax? Un atto assurdo, irricevibile. Di dubbio valore legale. E infatti noi non lo riconosciamo».

Valentino Parlato, lotta dura senza paura ai tre commissari liquidatori?
«Gli accordi era altri. Andare avanti fino a settembre, e poi valutare insieme lo stato dell´arte. Invece ecco senza alcun preavviso materializzarsi il fogliettino, pochissime parole: dichiariamo cessata la vostra attività aziendale. Perfino su carta intestata del manifesto l´hanno confezionato, il fax tombale».

Il giornale che chiude se stesso. E voi?
«Mica ci arrendiamo. Ne abbiamo viste e superate di crisi, in quarantuno anni di esistenza, anche se questa è più brutta. Ci vogliono morti e invece il giornale continuerà a vivere. E´ la risposta alla serrata dichiarata dai tre liquidatori: il manifesto sarà regolarmente in edicola».

Rischiate che in via Bargoni si presenti qualcuno con i sigilli in mano?
«Sarebbe grottesco, ma certo tutto è possibile. Pure le guardie in redazione per chiuderci a forza».

Un piano pensato per mettervi a tacere?
«Non dico questo. Però è strana la spallata improvvisa. O quei tre semplicemente non sanno quel che fanno oppure è una prova di forza per costringerci a mettere mano ai licenziamenti. A questo punto, dobbiamo saltarli».

E in che modo?
«Rivolgendoci direttamente al ministero dell´Economia, al ministro Passera. Già domani forse avremo degli incontri. Rischiamo il paradosso di essere sopravvissuti all´era Berlusconi, al quale certo non dobbiamo dire grazie, e di morire al tempi dei Professori».

Però i vostri conti vanno male.
«Sì ma siamo in ripresa. 18 mila copie vendute, gli abbonamenti crescono, la rete di solidarietà resiste. L´altra sera a Perugia in poche ore abbiamo raccolto 3 mila euro. Lanceremo presto una sottoscrizione speciale».

E il finanziamento pubblico al vostro giornale, che è una cooperativa?
«Spero che finalmente qualcosa si muova, che il governo non tagli l´ossigeno, ma noi non possiamo toccare un euro. La gestione della cassa passa tutta quanta dai liquidatori, dalle penne agli stipendi».

Tagli?
«Siamo in 70, fra giornalisti e poligrafici. Un po´ troppi effettivamente, ma la riduzione è già prevista. Però valutando le singole situazioni personali, su base concordata, e con la cassa integrazione a rotazione per tutti. La crisi non è certo solo nostra, ma di tutta la stampa, e di quella di sinistra in particolare».

Non sarà colpa anche, come aveva suggerito pure la Rossanda, della vecchia etichetta "quotidiano comunista"?
«Rossana veramente non lo ha mai detto. La parola comunista non è un reperto archeologico, per me vale ancora come visione del mondo. Rimane uno strumento utile per tutta la sinistra. E Rossana, così come Luciana Castellina e tutto il gruppo dei fondatori del giornali, combatte strenuamente per la sopravvivenza del giornale».

Insomma il logo "quotidiano comunista" resta al posto suo, non si tocca.
«Esatto. Non mi pare del resto che la sinistra riformista se la passi tanto bene. Da noi le amministrative consegnano un quadro piuttosto cupo, anche se Bersani dice il contrario. Certo, il Pdl è crollato ma il Pd non è mica andato tanto bene. In Francia, vince Hollande ma la sinistra complessivamente non va avanti e c´è il boom Le Pen. Clima simile in Germania».

C´è ancora più spazio per un giornale radical?
«Ora più che mai, in questa stagione del governissimo, con pochissime voci fuori dal coro. E se spengono anche quella del manifesto...».

 

 

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