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Vasco Rossi, in copertina sul numero di Vanity Fair in edicola da domani mercoledì 25 giugno, torna per parlare del suo tour Live Kom 014. A 62 anni compiuti, e a un mese dalla nascita del primo nipotino – Romeo, figlio di Davide – dal 25 giugno torna sul palco per questa maratona degli stadi da Guinness. Sette concerti, tre nella capitale e quattro (un record) a Milano, 400 mila spettatori, a distanza di 24 anni dalla sua prima volta in uno stadio: San Siro, 10 luglio 1990, e poi il Flaminio a Roma, quattro giorni dopo.
All’epoca, una mezza follia
«A quei tempi, gli stadi li facevano solo gli stranieri, noi italiani suonavamo nelle grandi discoteche o alle feste dell’Unità. Alla fine degli anni Ottanta ricordo che feci 15 mila persone a Reggio Emilia. Pensavo di aver raggiunto il massimo».
L’ultima volta che Vanity Fair gli aveva dedicato una copertina, tre anni fa, era ancora in convalescenza. Aveva rischiato di morire per un’infezione, due anni tra malattia e recupero prima del ritorno sul palco, la scorsa estate. In mezzo il matrimonio con Laura Schmidt, due anni fa.
«L’ho fatto per metterla tranquilla, per motivi burocratici, perché bisogna far così. La fede non la porto, ma solo perché ho il terrore degli anelli».
L’anellofobia?
«È vero. Colpa di un racconto che mi fece mio padre quando ero piccolo. Mi disse che un tizio si era strappato un dito saltando giù da un camion perché l’anello era rimasto impigliato da qualche parte. Ma, comunque, la fede la porto sempre con me in una borsina, è il mio portafortuna».
Più di 3 milioni e 800 mila fan su Facebook e oltre 518 mila su Twitter. Lo sa che lei ha i numeri per fondare un movimento, il partito del Komandante?
«Ah, per l’amor di Dio».
Proviamo a mettere giù il programma.
«In Italia bisognerebbe cambiare praticamente tutto. Intanto la burocrazia: farraginosa, costosa e inefficiente».
Matteo Renzi ci sta già lavorando su.
«Si muove bene, sa comunicare, ha portato in politica una generazione di giovani. Sono contento che stia cercando di dare una sterzata, anche se ho il dubbio che siamo al punto in cui la macchina va fuori strada comunque».
Altre cose da cambiare?
«I processi sono troppo lenti. Un Paese dove la giustizia non funziona è nelle mani della malavita. Sa che c’è? Che la politica o la fai o stai zitto, perché è lo stesso che discutere di calcio davanti alla Tv: non serve a niente, visto che l’allenatore non siamo né io né lei. E poi meglio cambiar discorso sennò finisco nei guai. Già l’estrema sinistra mi odia».
Perché?
«Perché non ho mai cantato “Bandiera rossa la trionferà”. Ma io non sono un militante, sono un artista libero e indipendente. Quando ho partecipato al concerto del 1° maggio nel 2009, venni a sapere che stavano organizzando una contestazione contro di me, contro Vasco venduto al potere, stronzate del genere. È finita che non li ha sentiti nessuno, perché erano solo quattro deficienti. Il genere che su internet, siccome c’è l’anonimato, crede di poter scrivere quello che gli pare. Se uno mi incontra non è che mi dice: “Mi fai schifo, sei una merda, muori”, però lo scrive».
Succede spesso?
matteo renzi e agnese landini e nardella all'inaugurazione di pitti
matteo renzi e agnese landini all'inaugurazione di pitti
«Fino a due o tre anni fa non mi ero mica accorto che sotto i video di YouTube c’erano i commenti. Un giorno, leggo: “Spero che ti venga un ictus vecchio drogato di merda”. Non c’ho dormito una notte. Poi mi sono detto: “Vecchio, be’, non posso certo dire di essere giovane. Drogato lo ero vent’anni fa, se lo ero, perché sono sempre stato un tossico indipendente, nel senso che l’eroina non l’ho mai toccata. Diciamo che ho fatto le mie esperienze, non me ne vanto, ma neanche me ne vergogno. Quanto all’ictus, anch’io spero che mi venga”».
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