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LA VENEZIA DEI GIUSTI - MI È PIACIUTA MOLTO “PORTOBELLO”, LA MINISERIE DIRETTA DA MARCO BELLOCCHIO CON FABRIZIO GIFUNI CHE DIVENTA ENZO TORTORA - VANTA LA MIGLIORE RICOSTRUZIONE STORICA MAI VISTA DELLA TV, DELLA RAI E DELLE PRIVATE DEL SECOLO PASSATO, DEGLI STUDI DEI BACKSTAGE, DI COME ERANO COSTRUITI I PROGRAMMI. DIFFICILE RACCONTARE MEGLIO L'ITALIA - È UN PIACERE VEDER TRATTATA UNA STORIA CELEBRE DI MALA-GIUSTIZIA, MA ANCHE DI GRANDE TV POPOLARE, CON QUELLA STREPITOSA ALCHIMIA DI AUTORIALITÀ, INTELLIGENZA NARRATIVA E ARTIGIANATO D’ALTA CLASSE CHE POSSIEDE IL CINEMA DI BELLOCCHIO DEL 2000… - VIDEO
fabrizio gifuni in portobello 2
Marco Giusti per Dagospia
“Cosa c’è che non va nei buoni sentimenti?”. Vi dico subito che “Portobello”, miniserie diretta da Marco Bellocchio, prodotta dai fuggiaschi di Fremantle Mieli e Gianani per Our Film, Simone Gattoni per Kavac Film, Arte, HBO e non so più quanti altri, interpretata da un Fabrizio Gifuni che dopo essere stato Moro, Comencini, e vari padri della patria, diventa qui Enzo Tortora con tanto di calata genovese e aria da vecchio attore della Baistrocchi, cosa che solo i genovesi possono capire, mi è molto piaciuta.
portobello di marco bellocchio 2
E vanta, inoltre, la migliore ricostruzione storica mai vista della tv, della Rai e delle private (Antenna 3!) del secolo passato, degli studi, dei backstage, di come erano costruiti i programmi. Anche se ne abbiamo viste a Venezia solo due puntate, che coprono gli anni dal 1977 al 1983, la serie andrà in onda su una nuova piattaforma, Max-HBO, l’anno prossimo, abbiamo già capito che la macchina cinema che sostiene tutta l’ultima produzione di Bellocchio, la fotografia di Francesco Di Giacomo, il montaggio di Francesca Calvelli, scenografia e arredamento, adattata a una storia di ormai oltre 40 anni fa, funziona perfettamente.
Difficile raccontare meglio l'Italia. E è un piacere veder trattata una storia celebre di mala-giustizia, ma anche di grande tv popolare del secolo scorso, “Portobello” di Tortora era arrivato a 27 milioni di spettatori, con quella strepitosa alchimia di autorialità, intelligenza narrativa e artigianato d’alta classe che il cinema di Bellocchio del 2000 possiede.
fabrizio gifuni in portobello 5
Perfino il favoloso coro finale di Jesahel dei Delirium, che lì per lì pensavamo sbagliato come tempi, è un brano del 1971, cosa ci fa a chiudere la puntata dell’arresto di Tortora dieci anni dopo?, è giustificato dalla totale genovesità del gruppo, che comprendeva Oscar Prudente e Ivano Fossati. E la ricostruzione della scena, di tv stracultistica, di Paola Borboni, interpretata da Francesca Benedetti, a lei - nel frattempo scomparsa - è dedicata la seconda puntata, che fa dire Portobello al pappagallo Manuel, è precisa.
Magari meno il simil Giucas Casella, che stava a Domenica In e non a Portobello, che fa “intrecciare le dita” come diceva Villaggio al pubblico a casa. Ma è una variazione che possiamo accettare. Anche perché vediamo rimesse in scena, con rigore, la sigla di Sandro Lodolo con la canzoncina dei Ricchi e poveri, il lancio del programma della annunciatrice, il passaggio dal bianco e nero al colore. Raramente, proprio dalle serie e miniserie televisive la stessa tv è stata così rispettata.
Bellocchio e i suoi sceneggiatori iniziano la storia da lontano, dal grande successo di “Portobello” nel ’77 e dal fastidio che questo provoca ai primi hater dei personaggi popolari della tv. Tortora è preso di mira dallo svitatissimo Giovanni ‘o pazzo, un ottimo Lino Musella, affiliato della famiglia camorrista di don Raffaele Cutolo, interpretato da Gianfranco Gallo, come sempre bravissimo, che in galera, tra l’Isola d’Elba e Poggioreale, fa lo scribacchino del Professore.
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Giovanni ’o pazzo ha preso di mira Tortora. Gli scrive lettere minatorie col nome di un ndranghetista, Domenico Barbaro, ma solo quando si dissocerà da Cutolo e da infame farà i nomi di tutti gli affiliati, legherà alla camorra e al traffico di droga per puro sfregio l’innocente Tortora, che verrà travolto da uno scandalo che nei primi anni ’80 dividerà l’opinione pubblica.
In un’Italia ancora colpita dagli anni di piombo e da una lotta armata ormai allo sbando dove, per salvarsi la pelle, il modo più facile era fare nomi su nomi che avrebbero inguaiato gente anche innocente, Tortora, coi suoi toni da bravo borghese di destra (“ma si può essere liberale? O sei comunista o sei democristiano!”), precipita dal successo della prima tv a colori della Rai e dalla frenesia delle private, era tra i fondatori di Antenna 3, nell’inferno della galera, dei delatori, dei brigatisti traditi, dei pentiti di camorra fin troppo canterini.
E’ lì che Bellocchio trasforma, e penso che le prossime puntate ce lo mostrino meglio, il suo protagonista della tv degli anni ’80 in un martire di un’Italia sommersa e pericolosa che proprio quella tv così popolare aveva provocato per uscire allo scoperto. Sono gli stessi spettatori di “Portobello” a rivoltarsi contro Tortora, a farne un angelo caduto.
Per raccontare tutto questo, l’Italia dei pentiti di camorra e di lotta armata, del sogno non solo berlusconiano della tv degli anni ’80, della coca e dei grandi ascolti populisti, l’Italia del terremoto e delle faide per la ricostruzione, dove Tortora tocca con mano la fragilità del successo ottenuto con la tv alla “Portobello” e la poca fedeltà del grande pubblico, non ci poteva essere miglior regista di Bellocchio, che negli anni del caso Tortora era alle prese con le contraddizioni della borghesia di “Salto nel vuoto”.
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Le contraddizioni qui portano alla distruzione di un personaggio pubblico, che da un giorno all’altro passa dallo schermo della tv alla prigione. Ma sono quelle contraddizioni che porteranno all’infedeltà del pubblico verso i partiti, la politica, allo scoppio di Mani pulite, alla fine di Craxi, al populismo di Berlusconi, all’Italia di oggi. Che non è tanto diversa dall’Italia di Portobello.
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