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Marco Giusti per Dagospia
"L'intervallo" di Leonardo Di Costanzo.
Lo sappiamo bene che il neorealismo in Italia non morirà mai. Già "Gomorra" di Matteo Garrone, complice Roberto Saviano, riprendeva un certo neorealismo e lo mischiava con un po' di docufiction alla Michele Santoro e una ricca messa in scena visiva che fa tanto cinema d'autore. I figli di "Gomorra" e del neorealismo più o meno garroniano portano avanti lo stesso discorso.
Può essere una strada. Ma per un'ora di film, "L'intervallo"opera prima di Leonardo Di Costanzo, presentato a Orizzonti con un occhio di riguardo in quanto prodotto da Carlo Cresto-Dina, già produttore di "Corpo celeste" di Alice Rohrwacher, ben fatto, ben interpretato, ma un po' estetizzante, non capiamo davvero bene perché i due ragazzi protagonisti del film, Salvatore e Veronica, cioè gli esordienti Alessio Gallo e Francesca Riso, siano rinchiusi in una enorme villa diroccata in quel di Napoli, che altri non è che l'ottocentesco e enorme ex-ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi.
Salvatore, che è un acquaiolo con tanto di punteruolo per spezzare il ghiaccio, deve sorvegliare la bella e aggressiva Veronica per ordine del clan camorristico comandato da un certo Bernardino che controlla la zona. Ma non sappiamo cosa abbia fatto lei di così grave né cosa Bernardino le voglia fare. In questa ora di nulla, sarà questo l'intervallo del titolo?, i due si conoscono e si perdono nella villa abbandonata e nel suo giardino, sorta di Eden possibile circondato dalla violenza. Lei potrebbe scappare ma non lo fa. Lui le racconta delle storie.
Poi arrivano Bernardino e i suoi uomini e tutto si comprende. Ma il film deve tutto alla prima parte costruito sulle paure e le possibilità di incontro e di crescita dei due ragazzi nel giardino incantato.
Accolto come una grande scoperta dalla critica italiana più accigliata, bisognosa di realismi e film da festival riconoscibili, è molto ambizioso, un po' teatrale, ma comunque una buona opera prima diretta da un documentarista nato a Ischia che vive tra Parigi e Napoli (insegna agli "Atelier Varans"), scritta assieme a Maurizio Braucci, già co-sceneggiatore di "Gomorra" e "Reality", fotografata da Luca Bigazzi e assai protetta dalla coproduzione fra Rai, Arte, Radiotelevisione Svizzera, Istituto Luce.
Il rischio del film è un po' di accademismo e una certa noia, ma i giovani inediti attori sono veri e credibili, e le buone intenzioni, cioè farci vedere come si cresce oggi a Napoli oggi in mezzo alla camorra, pure.
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