GRANDE GROSSO E VERDONE: “LA CRISI DEL CINEMA ITALIANO? 400 FILM AL GIORNO IN TV E UN GOVERNO CHE NON COMBATTE LA PIRATERIA PER GLI INTERESSI IN GIOCO DELLE COMPAGNIE TELEFONICHE”

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Valerio Cappelli per "Corriere della Sera"

Alla cerimonia finale, Carlo Verdone ha consegnato il premio «Luigi De Laurentiis» dedicato alla migliore opera prima.

Mentre al festival l'Italia ha fatto incetta di premi, gli spettatori diminuiscono e in dieci anni hanno chiuso 800 sale.
«E invece in Spagna - esordisce Verdone -, che sta in crisi più di noi, sono riusciti ad aprirne delle nuove. La cosa più grave è la chiusura dei cinema dei centri storici, così si è perso per sempre il pubblico di mezza età e gli anziani, che certo non prendono l'autobus per andare nei multiplex. I Comuni dovrebbero intervenire. Ma il primo problema è un altro».

Quale?
«La pirateria. Che il governo non combatte per gli interessi in gioco delle compagnie telefoniche. Molti danno la colpa ai giovani, e invece sono i padri che scaricano. Il secondo problema è che sono troppo vicine le uscite dei film sui canali satellitari. All'estero i tempi sono più lunghi, e poi c'è la cultura del cinema nelle fasce popolari. Avere 400 film al giorno in tv non fa bene. A me lo disse nel 1981 Sergio Leone: i magazzini delle tv si stanno riempiendo di film, sarà la fine del cinema. Per il mio nuovo film, Sotto una buona stella , con Paola Cortellesi, girerò a Cinecittà: i lavoratori mi hanno detto grazie, saremo l'unico film nel simbolo del cinema italiano. Il governo ha stanziato 75 milioni per lo spettacolo? È una piccola mancia».

Riflettendo sui premi a Venezia: i documentari e i film sono la stessa cosa?
«No, ma si è avviato un sincretismo tra il cinema del reale e il cinema di finzione».

Premi ne hanno avuti la Grecia e la Germania, il Paese più povero e più ricco d'Europa, affrontando lo stesso tema: le violenze e le turpitudini familiari.
«Io fuggo da questi film, leggo tante notizie amare sui giornali e mi bastano quelle. La commedia all'italiana è importante, io con Posti in piedi in Paradiso parlo di disoccupazione».

Il direttore della Mostra, Alberto Barbera, ha detto che avrebbe voluto una bella commedia in gara ma non l'ha trovata.
«Al tempo del mio Al lupo al lupo Mario Cecchi Gori fu sconsigliato di portarlo a Venezia, era il tempo della sacralità autoriale. Con Io e mia sorella andai a Toronto e in Francia, ho portato Maledetto il giorno che t'ho incontrata in Svizzera. Se Venezia aprisse alle commedie, gli autori sarebbero costretti a rimboccarsi le maniche e la qualità salirebbe, è come un esame all'università. Andare in concorso a Venezia non mi manca, mi salterebbe subito al collo qualche blogger cinefilo... Mi accontento del consenso del pubblico».

Lei però è stato giurato.
«Sì, nel 1995, un'esperienza faticosa. C'era una supergiuria. Uma Thurman, David Lynch, Oshima, lo scrittore Vargas Llosa e io con Margherita Buy. Si impone il giurato che parla meglio. Vargas Llosa aveva una tale abilità oratoria che alla fine ti convinceva; con la Buy provammo a far vincere Lamerica di Amelio, ma lui niente, cominciò a dire che era il film di un autore che vive il mondo come pieno di insetti, alla fine non eravamo quasi più sicuri delle nostre idee».

 

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