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Flavio Vanetti per il "Corriere della Sera"
Una corsa-roulette. Un percorso tormentato e pazzo verso il Mondiale, dovendo guidare sull'asciutto, sul semibagnato, sul bagnato, sul semiasciutto. Come un videogioco fatto di botole, mostri che sbucano, trappole che ribaltano scenari.
All'ultimo livello di una sfida davvero totale, nella quale il successo di tappa va a Jenson Button, c'è il titolo di campione della F1. Lo acchiappa di nuovo Sebastian Vettel, da ieri il più giovane pilota da tripla corona della storia. Una laurea stavolta con voti minimi - sesto posto -, ma sufficiente a rintuzzare la seconda piazza di Alonso.
Una laurea ottenuta nella città di Ayrton Senna, il pilota al quale Seb ha levato il primato di precocità nel «triplete», ma anche la stessa di un altro Senna, Bruno, nipote del compianto fuoriclasse, colui che ha centrato il tedesco al primo giro, danneggiandogli la macchina e regalandogli «l'indimenticabile sensazione di ritrovarsi in una direzione mentre tutti gli altri procedevano nell'altra, quella giusta».
Senna: per Vettel, un cognome e un destino. Ora fausto, ma prima da colpo al cuore, andando in salita e contromano. E infine da confusione mediatica, quella che assale il tedesco quando deve districarsi nell'emozione di commentare il piccolo affronto all'immenso Ayrton: «Ci sono ere che cambiano e confronti impossibili tra campioni» butta lì Vettel. Farfuglia, parla lentamente, come se soffrisse, non combina il discorso che forse vorrebbe fare e che ha nel cuore. Ma ci sta, anche perché la festosa confusione monta.
Il neo-ritirato Schumacher, mentore e amico (molto amico: basta vedere come gli ha donato il sesto posto), l'ha appena abbracciato. E tutt'attorno il paddock impazza. La maglietta cult è quella con la scritta «V3ttel-Hat Trick», il colore è il blu Red Bull, al sesto alloro di fila: tre con i piloti e tre con i costruttori, classifica quest'ultima nella quale il Cavallino chiude pure secondo e soffia tanti soldi alla McLaren.
«à stata la gara più dura della mia vita». Può dirlo, Sebastian. Ma forse è pure una delle più fortunate. Quanti, dopo un incidente nel giro di pochi chilometri (sintesi: Raikkonen frena, Senna tocca prima Vettel - rovinandogli l'area dello scarico sinistro - e poi Perez), restano in pista e non finiscono tamponati? E se vogliamo, pure la seconda safety car, dietro la quale si è concluso il campionato, uscita per il «muro» di Di Resta, gli ha dato una mano, sollevandolo da patemi nelle due tornate finali.
Oppure ancora: fortuna è superare indenne una giornata-no del team (ha richiamato Seb per montargli a vanvera le coperture medie e cinque giri dopo non era pronto con quelle da bagnato) e infine vedere che la pioggia, teorica prima alleata della Ferrari, è dalla tua parte. «Vero: a causa di quel danno, sull'asciutto non avrei avuto la velocità per classificarmi».
Vettel ha però avuto il merito di rimontare subito dall'ultimo posto e di rimanere aggrappato alla serie B dei punti, necessaria e sufficiente perché l'aritmetica non gli combinasse scherzi. Davanti a sé ha visto danzare i demoni, ha vissuto da stressato («Eravamo nervosi fin dalla vigilia. Ma se non lo fossimo stati, non avremmo vinto»), ha intuito, più che saputo, causa un guasto alla radio, del patatrac di Hulkenberg (rovinata la potenziale prima vittoria della Force India andando addosso ad Hamilton).
Alla fine Seb è venuto a capo dei nodi: «Il segreto? Rimanere fiducioso in me stesso». Però poi ha lanciato una frecciata ermetica: «Alcuni hanno usato sporchi trucchi contro di noi». Ce l'aveva con la Ferrari per la vicenda del cambio di Massa ad Austin? Forse, però poi ha abbracciato Stefano Domenicali. Era finalmente rilassato, Seb, in quel gesto. Di lì a poco avrebbe ricevuto il messaggio della cancelliera Angela Merkel: «Vettel ha dimostrato nervi d'acciaio: ad appena 25 anni ha un posto nella storia della F1».
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