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Andrea Nicastro per il "Corriere della Sera"
Cinque anni fa in Catalogna, gli indipendentisti non arrivavano al 25%. Ieri sera, a contare le schede depositate nelle urne delle elezioni amministrative, hanno superato il 45%. Eppure la corsa separatista ha subito una frenata. I partiti catalanisti presi nel loro complesso perdono seggi: da 76 a 74. Quelli spagnolisti, favorevoli allo status quo, guadagnano: da 21 a 28.
La maggioranza ha ascoltato slogan come «Espanya ans roba», «la Spagna ci ruba» ricalcato dal bossiano «Roma ladrona», e il ragionamento secondo cui la ricca Barcellona non ha interesse a restare in una Spagna che affoga nei debiti. Da indipendenti, si è sentito spesso nei comizi, avremmo i soldi per mantenere ospedali, scuole, infrastrutture e incentivi alle imprese ai livelli precrisi. Nella realtà le cose sarebbero più complicate, ma quasi la metà dei catalani ha scommesso sull'indipendentismo.
Ora dovrebbe cominciare la seconda tappa del viaggio di allontanamento da Madrid e in un paio d'anni dovrebbe essere convocato un referendum sull'indipendenza della Regione per dare ulteriore forza negoziale nei confronti del governo centrale spagnolo.
Referendum consultivo, illegale, senza altro valore se non quello morale che la maggioranza ha in democrazia. Quindi tanto, tantissimo. Ma che cosa succederà da quel giorno in avanti, è un'incognita. E in più, converrà arrivare alla conta quando si sa di non avere la maggioranza assoluta?
Ieri sera lo scenario si è di fatto ingarbugliato. La politica catalana si è radicalizzata. Cala il centro crescono le ali estreme. Hanno vinto gli indipendentisti, ma tra loro hanno perso consensi proprio chi ha voluto questo voto anticipato e che sperava in un'investitura plebiscitaria. E' stato il governatore Artur Mas di Convergència i Unió (CiU) a convocare le elezioni con due anni d'anticipo.
Un mese fa i sondaggi lo davano vicino alla maggioranza assoluta. Ieri invece la sua formazione è crollata perdendo, al 95% dello scrutinio, 12 seggi, quasi un consigliere su cinque. Il governatore Mas ha incolpato i «tagli e l'austerity economica». Visto che il confronto frontale con Madrid gli aliena una buona parte del proprio elettorato a favore di formazioni più radicali, continuerà a seguire la «volontà del popolo catalano»? Nel suo primo discorso notturno, Mas non l'ha chiarito.
Dal ritorno della democrazia in Spagna, oltre trent'anni fa, il centrodestra catalano ha avuto l'egemonia regionale. Il «seny», il buon senso, scaltro e astuto, dei mercanti e industriali della Regione, si è sentito rappresentato dall'opportunismo del leader storico Jordi Pujol. L'accelerazione degli ultimi mesi, incarnata dalla metamorfosi del linguaggio di Mas, ha spiazzato l'elettorato dando spazio alla formazione storica della sinistra catalana (Erc) che ha raddoppiato i propri rappresentanti.
«Sarà molto difficile per Mas governare senza restare ostaggio della sinistra» dice Manuel Milian Mestre, uno dei tre fondatori del centrodestra spagnolo. «CiU rischia di perdere la sua funzione di governo dovendosi alleare con formazioni iperindipendentiste ed ecologiste che di sicuro non apprezzeranno il rigore di bilancio che la CiU ha sempre portato avanti. Indipendenza a parte, il governo giorno per giorno potrebbe diventare impossibile».
I due principali partiti nazionali ottengono risultati differenti. I socialisti perdono 4 seggi a favore delle forze alla loro sinistra. Un calo doloroso, ma non quanto temessero. La leadership nazionale di Alfredo Rubalcaba non riesce a guidare il partito fuori dall'ombra di discredito nella quale è caduto durante l'era Zapatero. Il Partido Popular, invece, mantiene la propria dimensione confermando la virata centrista voluta dal premier Rajoy perché non intercetta i voti degli «spagnolisti» arrabbiati che scelgono partiti xenofobi o iper centralisti.
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