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Marco Mensurati per "la Repubblica"
La storia della F1 attribuisce la scoperta di Sebastian Vettel ad Helmut Marko, ex pilota austriaco, amico intimo del re del "nulla in lattina", Dieter Mateschitz nonché eminenza grigia - e pagatissima - della Red Bull Racing.
Era il 2004 quando decise di puntare tutto su quel ragazzino che rideva sempre. In realtà non ci voleva proprio un rabdomante del talento: tra una risata e un'altra, quel ragazzino aveva cannibalizzato tutte le categorie in cui aveva corso (sui kart l'unico che gli teneva testa era un pilotino di colore "raccomandato" dalla McLaren, tale Lewis Hamilton) e, proprio in quell'anno aveva vinto 18 gare su 20.
IL TALENT SCOUT
Il primo ad accorgersi del talento di Sebastian è stato però tale Gerhard Noack, uno che di mestiere metteva marmocchi di sette-otto anni su un kart, li lasciava girare una mezz'oretta e poi diceva ai genitori se ce l'avrebbero potuta fare o no. Una specie di sibilla del volante. Al tempo era già famoso perché il suo primo ok lo dette a Michael Schumacher. L'aneddoto vuole che Sebastian stesse partecipando a una gara "categoria bambini", d'improvviso arrivò la pioggia e lui con le gomme da asciutto continuò a guidare senza problemi. Aveva otto anni.
«Seb - racconta - era straordinario per tre motivi: 1) sapeva guidare bene, 2) era veloce di natura, 3) era amichevole, diceva sempre grazie, sorrideva». Una simpatia che gli è rimasta appiccicata addosso, come un marchio. «à un tedesco con il senso dell'umorismo britannico, conosce anche Monthy Python», dicono oggi dal team che avendo base a Milton Keynes a certe cose sta molto attento.
E lui fa di tutto per assecondare questa immagine: quando invitò a cena la porno star Jenna Jameson, prendendo per altro una buca colossale, divenne l'idolo dei meccanici. Meccanici che si sbellicano dalle risate ogni anno, quando Lui comunica ufficialmente il nome di donna che ha deciso di dare alla macchina per quella stagione (si va da Luscious Liz a Kate, fino a Kate's dirty sister, la macchina che usò dopo aver sfasciato Kate).
IL MAESTRO
Ma i nomi delle macchine, la porno star, le imitazioni - perché Vettel (come Alonso) fa anche le imitazioni, pare siano memorabili quelle di Beckenbauer e Becker - sono solo rumore di fondo. Una manciata di polvere di stelle lanciata negli occhi dei media per costruire un personaggio intorno alla struttura di un grande pilota.
Perché di questo stiamo parlando, come giura Giorgio Ascanelli, testa e cuore della Toro Rosso, uno degli uomini più brillanti del Circus. Alle sue cure Marko e Mateschitz affidarono il loro diamante nuovo. «Quando salì in macchina la prima volta - racconta Ascanelli - fece subito una cosa che giudicai strana. Commise un piccolo errore, e invece di fare finta di niente o dare la colpa alla macchina ci chiese scusa. Via radio.
"Sorry". Sembra un dettaglio ma in tanti anni di carriera non avevo mai visto nessuno fare così». Era il segno, secondo Ascanelli, del tipo di relazione che il pilota aveva con la macchina e con il team. Un flusso di informazioni costante e trasparente, che permette al team di operare nella più totale efficienza.
«Che si trattasse di un campione l'ho capito qualche gara dopo quando distrusse la macchina contro quella di Webber (era una Red Bull, ndr) causando un danno economico a Mateschitz mostruoso. Stava cercando il suo limite». Limite che trovò a Valencia, nel 2008, ancora prima di vincere a Monza. «Nelle prove del venerdì si trovò a girare con le gomme usate e molta benzina. Fece un paio di giri incredibili. E non se ne accorse. Lo raggiunsi a cena con il foglio dei tempi in mano, gli dissi: "Studiateli, cerca di capire cosa hai fatto di particolare in quei due giri: se lo capisci diventi un campione".
Credo che non dormì quella notte. La mattina a colazione mi disse: "Ho capito". E cominciò ad andare come un fulmine». Della successiva vittoria di Monza, quello che lo ha consacrato come il più giovane pilota di sempre a vincere un mondiale, tutti sanno tutto: «Pioveva e Seb con la pioggia è il numero uno».
Chiedere ad Ascanelli l'elenco delle caratteristiche di Vettel significa mettere la testa sotto una cascata. «à intelligentissimo, ha un fisico particolare tutto nervi e pochi muscoli, i nervi sono reattività e velocità a costo zero, così il cervello può sempre essere lucido e concentrato sulla gara. Ha una sensibilità soprannaturale per gli pneumatici e frena da dio, come facevano i grandi, Piquè, Senna, Schumacher. Il tratto distintivo di un campione è quello».
IL MITO E I CAMPIONI TRA DI LORO SI RICONOSCONO
Non solo, si attraggono, si intrecciano in relazioni intense, a volte di odio reciproco, a volte di stima e affinità se non addirittura di amore. Di qualcosa di più di una semplice affinità è fatto il rapporto con Michael Schumacher, da sempre sponsor e testimone del giovane Sebastian, conosciuto nel 1995, il giorno famoso della gara di kart, "categoria bambini".
«Oggi - racconta Schumi - siamo molto amici». Per questo l'ex campione del mondo è forse il soggetto migliore per spiegare il fenomeno Vettel. «Talento ne ha da vendere, ma quello in F1 ce l'hanno quasi tutti. Quello che Sebastian ha in più è la capacità di migliorarsi». à questo che lo ha portato, nel giro dei tre anni successivi all'esperienza in Toro Rosso a vincere due mondiali (2010 e 2011).
«La cosa particolare è che ad oggi è impossibile quantificare il suo miglioramento reale. Oggi è un pilota che sa calibrare il rischio, e mettere a frutto ogni occasione. à cresciuto talmente tanto che adesso lo guardo e con un po' di vanità mi dico: certo che gli ho dato proprio degli ottimi consigli. Quali? Beh, principalmente quello di rimanere sempre concentrato alla ricerca di quello che gli serve per andare più forte, da ogni punto di vista, sulla macchina, con il team, con se stesso. Alla fine è questo che fa la differenza tra un talento e un campione».
Il rapporto tra i due negli ultimi anni si è un po' modificato: «Adesso di consigli non gliene do più da un bel po' di tempo. Adesso per lo più parliamo,e qualche volta sono io a imparare da lui».
IL RIVALE
Imparare sembra essere la parola chiave della storia di Vettel. Qualche giorno fa, a mondiale già deciso, Stefano Domenicali, il team principal della Ferrari - conversando durante una pausa di lavoro - osservava proprio questo, come fosse ripida la "curva d'apprendimento di Vettel".
«Sono due stagioni che Sebastian ha la macchina migliore. Però nel 2010 ha vinto per un pelo. Anzi, a dire la verità a un certo punto l'aveva addirittura perso, il mondiale. Quest'anno invece non c'è stata storia. E questo perché il pilota è riuscito a crescere esattamente nei punti critici, quelli in cui era stato più carente nella stagione precedente, è stato più preciso, più logico nelle scelte, più costante». «E la cosa bella - ride Bernie Ecclestone, il padrone del vapore estimatore della prima ora del tedesco - è che questa curva di apprendimento sembra che non abbia fine, sembra che Sebastian possa continuare a imparare e imparare: la sua forza è quella di non farsi minimamente intaccare dai successi. La mia impressione, insomma, è che il più bello debba ancora venire».
Una impressione che Ecclestone condivide con Flavio Briatore. L'ex manager della Renault dichiarò concluso il mondiale 2011 ancora prima dell'inizio della prima gara, a Melbourne. Dopo un paio di giri di Vettel, davanti al cronometro che misurava in due secondi il vantaggio della sua Red Bull, scandì l'epitaffio: «Gli altri comincino a pensare al 2012».
«Mi accorsi- spiega oggi Briatore - che Sebastian era riuscito a creare quella simbiosi con la propria macchina che è tipica dei fuoriclasse e che quando si crea diventa un'arma atomica». Capacità che avvicina di molto Vettel a Fernando Alonso, quello che secondo molti, nel paddock, sarà il suo vero rivale nei prossimi cinque-sei anni, sia che i due continuino a correre in scuderie diverse sia che i due finiscano per ritrovarsi entrambi in Ferrari. «à il sogno di ogni pilota», dice sempre Vettel un po' perché è vero un po' perché non si sa mai.
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