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LE VIE EN ROSE (SHOCKING) DI ELSA SCHIAPARELLI - EGOCENTRICA, CATTIVA, POLITICAMENTE SCORRETTA LA STILISTA HA USATO LA MODA PER CREARE OPERE D’ARTE - HA INVENTATO IL ROSA SHOCKING. “LO DEFINIRONO ROSA DA NEGRI. E ALLORA? I NEGRI A VOLTE SONO INCREDIBILMENTE ELEGANTI” - VIDEO

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Alba Solaro per “Il Venerdì - la Repubblica”

 

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È rosa ma non è una fiaba la vita di Elsa Schiaparelli, piuttosto un' esplosione. Come quella che secondo la leggenda fece tremare Roma il 10 settembre del 1890, giorno in cui la stilista nacque.

 

Come lei stessa racconta in Shocking Life, autobiografia che ora Donzelli (pp. 280, euro 25) riporta in libreria, uno scoppio c' era effettivamente stato, quello della polveriera di Vigna Pia che aveva mandato in frantumi le finestre di molte strade, solo che era accaduto giorni dopo.

 

Ma cosa importa: la vita di Schiaparelli, grande visionaria della moda, è ancora adesso una fragorosa lezione di anticonformismo e di libertà personale ottenuta con ogni mezzo necessario («Il fatto di essere viva non è mai stato sufficiente ad appagarmi», ha scritto). Faceva fatica a sottostare alle regole già da bambina. Una sera per punizione i genitori l' avevano mandata a letto mentre in casa c' era un ricevimento con molti ospiti; lei si era ben guardata dall' obbedire e si era nascosta sotto il tavolo con un barattolo pieno di pulci. Potete immaginare come andò a finire.

 

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Schiap, come amava chiamarsi, è stata una donna straordinaria, indipendente, ironica, eccentrica ed egocentrica, uno spirito libero che pubblica un libro di poesie erotiche quando ancora va a scuola, a 18 anni si sposa, rimane incinta e segue il marito fino negli Stati Uniti. Ma poi, abbandonata, non vorrà mai più sposarsi né legarsi a un solo uomo. Si inventa stilista senza mai aver studiato («Due parole sono sempre state bandite da casa mia: creazione, che mi sembra il massimo del pretenzioso, e impossibile») e forse anche per questo gli schemi rigidi della haute couture le stanno stretti.

 

Quando pubblica l' autobiografia è il 1954 ed ha appena liquidato la maison e il leggendario atelier di Place Vendôme 21 (rilanciati pochi anni fa da Diego Della Valle). A quel punto tutte le convenzioni della moda che aveva gioiosamente demolito dagli anni Venti in poi, a colpi di zip in vista, spalline imbottite, costumi da bagno scollati sulla schiena, cestini come borsetta e insetti gioiello, sono già storia.

 

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Più di tutte, ovviamente, l' invenzione del rosa shocking (nel 1937). Fu un' illuminazione, un lampo «brillante, impossibile, impudente, gradevole, energico, come tutta la luce, come tutti gli uccelli e tutti i pesci del mondo messi insieme, un colore proveniente dalla Cina e dal Perù, non occidentale; un colore shocking, puro e non diluito». Schiap era entusiasta, amici e collaboratori erano terrorizzati.

 

Cercarono disperatamente di farle cambiare idea, sicuri che nessuno avrebbe voluto quel «rosa da negri» così spudorato. Lei aveva replicato: «E allora? I negri a volte sono incredibilmente eleganti» (chiedo scusa per la "g" ma all' epoca il politically correct non esisteva, Schiap aveva tanti difetti ma non era razzista).

 

Figlia di un' aristocratica napoletana discendente dei Medici e di un intellettuale piemontese, arabista e direttore dell' Accademia dei Lincei, era nata a Roma nel cuore di Trastevere, a Palazzo Corsini, il manicomio da un lato, la prigione di Regina Coeli dall' altro, e il profumo degli alberi di magnolia che entrava dalle finestre.

 

Una lunga sfilza di pittoresche balie si erano occupate di lei, una di loro la parcheggiava sempre in una bettola di Trastevere per andare a farsi un cicchetto. La scoprirono, ma l' idea che avesse allattato la piccola con tutto quell' alcol in corpo gettò nel panico papà Schiaparelli. La misero a dieta stretta di latte di capra: «Sarà per questo che sono diventata al contempo testarda e rivoluzionaria» annota lei.

 

Una rivoluzionaria che scappa a Parigi e si avvolge in metri di seta blu e arancio per andare alla sua prima festa, perché non aveva i soldi per un vero abito da sera.

Ballando erano saltati tutti gli spilli che tenevano la stoffa, e sarebbe stata davvero una serata indimenticabile per tutti se il suo cavaliere non l' avesse tenuta stretta fra le braccia. Qualche anno dopo metterà le zip ovunque, anche sugli abiti da sera, sconvolgendo il fashion establishment.

 

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La vita di Schiap si potrebbe riassumere con uno slogan del '68: la fantasia al potere. Ogni cosa, anche il più stupido oggetto quotidiano, poteva ispirarla. Negli anni dell' amicizia e complicità con Man Ray, Marcel Duchamp, Jean Cocteau e tutto il jet set del Surrealismo («l' artista che fa vestiti» la bollerà sprezzante la rivale Coco Chanel), insieme a Salvador Dalì ha disegnato cappelli a forma di scarpa, cappotti con cassetti che si aprono ovunque, porta cipria a forma di telefono, berretti che sembrano «una costoletta di agnello con rouche bianca sull' osso» e il mitico disegno di aragoste giganti che lei si divertì a mettere su un abito di organza da gran sera, poi indossato in pubblico da Wallis Simpson, duchessa di Windsor.

 

Durante una vacanza, al mercato del pesce di Copenhagen, vede le donne ai banchi con giornali attorcigliati in testa, bizzarri copricapi per proteggere i capelli dalla puzza. Tornata a Parigi, commissiona un tessuto stampato come fogli di giornale, con articoli su di lei, comprese le stroncature.

 

Non aveva paura di niente. Fece avanti indietro per giorni tra Parigi e la Svizzera per seguire la figlia Gogo, che per un' infezione dopo un' operazione alle gambe era in pericolo di vita: «Viaggiavo di notte, stavo un giorno e una notte a Losanna, poi tornavo due giorni a Parigi per lavorare.

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Quindi ripartivo per Losanna. Così per un mese e non sapevo mai se avrei trovato Gogo sorridente o prostrata; non osavo sperare». La figlia migliorò e lei ebbe la sua prima vera sfilata.

 

A intuirne talento e stile era stato Paul Poiret, primo grande couturier della Parigi d' inizio secolo, che l' aveva usata come testimonial inondandola di vestiti: «Abiti neri ricamati d' argento, abiti bianchi ricamati d' oro, così nessuno sapeva mai come mi sarei presentata. A volte dettavo moda. Altre volte, quando indossavo i miei vestiti di tutti i giorni, sembravo la sorella brutta di me stessa!».

 

E il bello è che lei era stata davvero la sorella bruttina, complessata da una madre che le faceva pesare i confronti con la sorellina. Il risultato fu che «Schiap, credendo fosse davvero così, pensò a un modo per rendersi più bella» (tutta l' autobiografia è scritta alternando la prima e la terza persona). Escogitò così un gesto da vera surrealista ante litteram.

 

Pensò di fare del suo viso un giardino incantato di nasturzi e margherite; procuratasi i semi, se li piantò in bocca, nel naso, nelle orecchie, sperando che il calore del corpo li facesse sbocciare in fretta.

 

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Era quasi morta soffocata. Anni dopo, la bottiglia del suo profumo Shocking, a forma di corpo femminile con le curve di Mae West, avrà per tappo un' esplosione di fiori: eccolo lì, il suo viso che diventa un giardino incantato.

 

Come tutti i grandi aveva anche il suo lato oscuro. Pagina dopo pagina di avventure, viaggi, name-dropping di divi hollywoodiani, artisti, clienti come Marlene Dietrich, l' aviatrice Amelia Earhart o la marchesa Casati, appare anche chiaro che a Schiap non è mai interessato risultare simpatica.

 

Non era una femminista, anzi, descrive con disprezzo le suffragette viste manifestare a Londra. Durante la Seconda guerra mondiale l' Fbi l' aveva sorvegliata come sospetta spia nazista; l' effetto negativo sulla sua carriera fu inevitabile, ma lei non ne fa quasi cenno nel libro.

 

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Sapeva essere cattiva. Racconta di una gita sull' isola di Porquerolles per visitare la colonia di nudisti che ci abitava. Passano davanti al parrucchiere, dalle vetrine si intravedono le clienti svestite: «Il fatto che fossero perlopiù brutte e sproporzionate rendeva l' intera visione farsesca e orribile».

 

Al ristorante locale, annota Schiap, «servite da ragazze nude ben lungi dall' essere delle veneri, realizzai appieno quanto fossero assolutamente necessari i vestiti». Oggi i tribunali dei social network l' avrebbero condannata per body shaming.