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Puntuale come una mannaia arriva “Il Salvatori 2022”, ovvero il dizionario delle canzoni di tutti i tempi e di ogni nazionalità. Oltre 20 mila schede di canzoni prese in esame nel loro contesto storico-sociale: autori, interpreti, vicende e aneddoti. La prima opera reference ad abbracciare l’intero ciclo della musica registrata, toccando anche brani dei Seicento e Settecento.
Utile come strumento di consultazione ma anche un appassionante libro di lettura. Si parte da “007”(Shanty town) di Desmond Dekker, cantante e autore giamaicano,ispiratore di Bob Marley (la scrisse nel 1967 dopo aver visto n Tv una dimostrazione studentesca contro la costruzione di un complesso edilizio vicino alla spiaggia) fino a "Zwei Kleine Hallener”, un brano cantato da Connie Froboess, in gara all’Eurovision del 1962.
Dario Salvatori lo auto-definisce “vizionario”: “Si perché, sembrerà strano o esagerato,ma ogni canzone contiene una storia un vissuto, un plagio, un blocco della censura, tanti furti e puttanate fra cantanti e autori, lotte discografiche, autobiografismo esagerato, tonfi e trionfi, molte infamità
Salvatori, ma c’era proprio bisogno di ammazzarsi di fatica per oltre 1.200 pagine, quando di ogni canzone con un clic possiamo trovare tutto quello che ci incuriosisce per ogni canzone?
“Alt. Sulla rete possiamo trovare schede di canzoni celebri, anche se spesso con informazioni zeppe di errori, provenienti da consultazioni errate. I lettori gradiscono la minutaglia, i pezzi minori, le puttanate, le canzoni con cui si sono fidanzati, sposati ed è chiaro che 20 mila schede non raccontano solo i capolavori. La rete non contiene “Barbanera twist” o “Sugli sugli bane bane”.”
Che roba è?
“Il primo è un twist di Stefano Torossi, contrabbassista e compositore, vari diplomi classici, autore di musica contemporanea, film e documentari. Venne commissionato a Torossi dalla Campi di Foligno, che ogni anno stampava a milioni di copie l’Oroscopo di Barbanera.
Più che un successo discografico, lo specchio di un’epoca di spontanee leggerezze. Era il 1962, si ballava il twist, fortemente liberatorio, girava molta allegria e a cantare era Michelino, un pugliese da night: -Nell’immenso firmamento/Barbanera legge attento/e si ingegna di sapere/quel che poi deve accadere.” -Sugli sugli bane bane- partecipò al Sanremo 1973, lo cantavano le Figlie del Vento-Sugli sugli bane bane/tu miscugli le banane/le miscugli in salsa verde/chi le mangia nulla perde.”
Si magnifica molto sul suo archivio che le consente di scrivere libri del genere, ma quanti dischi possiede?
“All’ultimo censimento erano 61 mila. Però non sono custode di gemme. Dischi di alto valore collezionistico ne ho pochi, circa duecento, tutti anni ’50, la mia specializzazione. Negli anni Settanta ai giornalisti e ai radiofonici le case discografiche, allora ricche e potenti, spedivano tutte le novità. Eravamo tutti giovani e con gusti musicali molto di nicchia.
A Roma c’era uno storico negozio di dischi a viale Giulio Cesare, Consorti, dove vigeva la regola del 3X1, ovvero tu portavi tre dischi che scartavi ed in cambio prendevi un disco di importazione. Ecco, questo io non lo facevo, mi tenevo tutto, e oggi nella mia collezione ci sono 20 album di Orietta Berti e 50 di James Last, che sovente hanno quotazioni più alte dei dischi di Elvis, Beatles o Pink Floyd. Ma i danni del collezionismo sono altri.”
Quali?
“Arriva un punto in cui dentro i dischi o fuori te o il contrario. Arrivo a credere di non aver centrato il matrimonio perché all’inizio magari, con una fidanzata, se la storia partiva, arrivava l’adulazione –Ma che bello! Guarda quanti dischi! Li hai sentiti tutti? Sei una persona speciale- Poi dopo qualche mese-Senti ma tutta questa merda deve per forza restare qui ?-. E arrivava l’inverno del nostro scontento.”
Ma gli altri collezionisti come si regolano?
“Mah, c’è chi lasciato la moglie e ha tenuto i dischi, i possessori di doppie case li hanno parcheggiati lì, altri ancora hanno ridotto l’ingombro”.
Ma lei non ha buttato via proprio nulla?
“Ho fatto molti scambi, alle volte non c’è il denaro ma il baratto: io cerco un Fats Domino del 1957 ma sono disposto a cedere un Jimi Hendrix del 1965 live al – Cafè Whapicture rosso. Altri sono spariti nei traslochi, molti nelle case di alcune fidanzate: ho visto qualche servizio fotografico di qualche casa dove fanno ancora la loro porca figura. Diciamo un 6-7 mila sono altrove.”
Come definirebbe la filosofia del collezionista?
“Un guerriero disposto a tutto. Uno di noi ha smesso per due anni di pagare il mutuo per portarsi a casa il catalogo della Pathè e molti esemplari rari Capitol. L’aveva quasi spuntata ma poi non aveva più la casa. Poi ci sono i collezionisti di 30-40 che ne hanno fatto un mestiere. Girano tutti i raduni, sono appassionati, abili commercianti ma non capiscono niente di musica”.
Il vinile sta tornando?
“No. E’ solo un blando gadget per lanciare la nuova produzione. La cultura digitale nata dalla mescolanza di posizioni così stridenti produce un frutto strano. Da una parte fa a meno degli esperti, perché viene dato per scontato che tutte le persone siano uguali, dall’altra intensifica la fede modernista nelle regole, oltre che nella possibilità di trovare un’unica verità attraverso strumenti quantitativi. Nel consumo della musica succede la stessa cosa. La tensione fra il pop come musica e il pop come identità costituisce ancora oggi la centralità del dibattito intorno alla musica”.
Qual è stato il suo primo disco acquistato?
“Un classico di Little Richard, -Tutti frutti- ma da Consorti c’era solo la versione di Elvis Presley, mi sono dovuto accontentare. Correva l’anno 1958.”.
E il disco che ha rincorso di più?
“Una volta Gianni Boncompagni - mio amico dal 1966, ma anche mio mito con cui ho avuto la fortuna di lavorare – aveva acquistato una spider e una Mercedes ultimo modello. Nel suo garage non trovavano posto e allora decise di vendere la sua collezione di dischi, che da tempo non era più in casa. Mi disse di sentire qualche collezionista e scelsi quello più autorevole. La visura riguardava circa 28 mila dischi, molti da cassonetto altri autentiche gemme: valutazione 35 milioni. Gianni mi propose una percentuale.
GIANNI BONCOMPAGNI RENZO ARBORE
Mi offesi e risposi che avrei preferito un regalo, per esempio il suo album registrato in Svezia nel 1960, dove lui, ventisettenne, carino, sorridente interpretava vari successi italiani del periodo, sia in inglese che addirittura in svedese. Quando il collezionista lo notò gli brillarono gli occhi, ma Gianni lo dissuase informandolo che lo aveva promesso a me. Il disco rimase a Gianni. Questo per dire che il mito del Boncompagni cinico, surreale, tecnologico, poco propenso a riempire casa del suo passato si sciolse davanti a quella copertina. Quella si che sapeva di futuro.
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