Tommaso Ciriaco e Concetto Vecchio per la Repubblica - Estratti
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Sia chiaro: uno scambio di opinioni naturalmente c’è stato, fanno notare al Quirinale. Com’è naturale che sia. La ministra Elisabetta Casellati è salita al Colle e ha trovato ascolto. E ovviamente Mattarella autorizzerà la presentazione del disegno di legge alle Camere. Anche questo atto dovuto è stato interpretato, da destra, come un avallo. È semplicemente la Costituzione, che il Capo dello Stato è chiamato ad applicare.
Sul merito, poi, Mattarella non ha detto nulla, né dirà in futuro. Sarebbe un’invasione di campo. Si tratta di una riforma del governo, che dovrà passare dalle Camere. Da quel che risulta, il Presidente si è astenuto dal dare giudizi sulle parti che riguardano i suoi poteri, limitandosi a interloquire sul piano della costituzionalità delle norme. Un suggerimento in questo senso – riferiscono fonti parlamentari – è però arrivato: il Capo dello Stato, da professore di diritto parlamentare, ha fatto notare che impedire il cambio di maggioranza, in caso di crisi, si tramuterebbe in un limite alla libertà di mandato.
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E così, questo aspetto è stato modificato nell’ultima formulazione del disegno di legge. Restano però molti punti oscuri e pure parecchio arzigogolati. Ad esempio, il passaggio che prevede che il Presidente della Repubblica dovrà vigilare sul rispetto del programma della maggioranza. Come? Con quali sanzioni? Non è chiaro, non può esserlo. E resta incomprensibile anche la volontà di ‘eliminare’ i senatori a vita. Durante la presidenza più cara alla destra, quella di Francesco Cossiga, si è registrato il più alto numero di nomine: ben cinque, tra cui Giulio Andreotti e Gianni Agnelli.
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C’è poi un altro dettaglio da non trascurare. Se la riforma marcerà spedita, il referendum si potrà celebrare nel 2025. E il timore, a destra, è che il passaggio possa trasformarsi in una conta proprio su Mattarella, il cui gradimento popolare è altissimo. Gli italiani andranno a votare per difendere un presidente della Repubblica dotato degli attuali poteri o per uno derubricato a notaio? È questa la partita che spaventa gli architetti del premierato. Anche perché – in linea di principio - dopo il referendum la maggioranza potrebbe provocare una crisi e uno scioglimento delle Camere, e quindi eleggere un nuovo Parlamento con le nuove regole. A quel punto, l’attuale Presidente della Repubblica si ritroverebbe con altri quattro anni di mandato (scade nel 2029), ma privato dei suoi principali poteri. Una situazione oggettivamente imbarazzante.
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