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    LA MELONI RIVELA AI GIORNALISTI CHE C’E’ STATA UNA “INTERLOCUZIONE” CON IL QUIRINALE SUL PREMIERATO MA DA MATTARELLA NON C’E’ STATO NESSUN AVALLO AL TESTO DELLA RIFORMA (CHE RIDURREBBE LA FIGURA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA A UNA SPECIE DI TAGLIANASTRI) - IL CAPO DELLO STATO HA FATTO NOTARE CHE IMPEDIRE IL CAMBIO DI MAGGIORANZA, IN CASO DI CRISI, SI TRAMUTEREBBE IN UN LIMITE ALLA LIBERTÀ DI MANDATO. E COSÌ, QUESTO ASPETTO È STATO MODIFICATO. RESTANO PERÒ MOLTI PUNTI OSCURI (SUL CONTROLLO DEL PROGRAMMA E L’ELIMINAZIONE DEI SENATORI A VITA) - SE LA RIFORMA MARCERÀ SPEDITA, IL REFERENDUM SI POTRÀ CELEBRARE NEL 2025. E IL TIMORE, A DESTRA, È CHE…


     
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    Tommaso Ciriaco e Concetto Vecchio per la Repubblica - Estratti

     

     

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    Che peso dare all’interlocuzione col Quirinale rivelata pubblicamente da Giorgia Meloni in conferenza stampa? Alla certificazione di un confronto “con il presidente della Repubblica e con gli uffici del Colle, come avviene sempre con provvedimenti importanti di questo tipo”? Quel passaggio della premier è parso quasi sottolineare un consenso del presidente della Repubblica alla riforma approvata in Consiglio dei ministri. Naturalmente non è così. L’interlocuzione non sottintende alcun sostegno. Non è la legge Meloni-Mattarella, è la legge Meloni e basta. Nessuno, insomma, può dedurne che Sergio Mattarella sia d’accordo con questo premierato, una proposta che degrada la Presidenza della Repubblica a taglianastri. E che depotenzia il Parlamento.

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    Sia chiaro: uno scambio di opinioni naturalmente c’è stato, fanno notare al Quirinale. Com’è naturale che sia. La ministra Elisabetta Casellati è salita al Colle e ha trovato ascolto. E ovviamente Mattarella autorizzerà la presentazione del disegno di legge alle Camere. Anche questo atto dovuto è stato interpretato, da destra, come un avallo. È semplicemente la Costituzione, che il Capo dello Stato è chiamato ad applicare.

     

    Sul merito, poi, Mattarella non ha detto nulla, né dirà in futuro. Sarebbe un’invasione di campo. Si tratta di una riforma del governo, che dovrà passare dalle Camere. Da quel che risulta, il Presidente si è astenuto dal dare giudizi sulle parti che riguardano i suoi poteri, limitandosi a interloquire sul piano della costituzionalità delle norme. Un suggerimento in questo senso – riferiscono fonti parlamentari – è però arrivato: il Capo dello Stato, da professore di diritto parlamentare, ha fatto notare che impedire il cambio di maggioranza, in caso di crisi, si tramuterebbe in un limite alla libertà di mandato.

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    E così, questo aspetto è stato modificato nell’ultima formulazione del disegno di legge. Restano però molti punti oscuri e pure parecchio arzigogolati. Ad esempio, il passaggio che prevede che il Presidente della Repubblica dovrà vigilare sul rispetto del programma della maggioranza. Come? Con quali sanzioni? Non è chiaro, non può esserlo. E resta incomprensibile anche la volontà di ‘eliminare’ i senatori a vita. Durante la presidenza più cara alla destra, quella di Francesco Cossiga, si è registrato il più alto numero di nomine: ben cinque, tra cui Giulio Andreotti e Gianni Agnelli.

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    C’è poi un altro dettaglio da non trascurare. Se la riforma marcerà spedita, il referendum si potrà celebrare nel 2025. E il timore, a destra, è che il passaggio possa trasformarsi in una conta proprio su Mattarella, il cui gradimento popolare è altissimo. Gli italiani andranno a votare per difendere un presidente della Repubblica dotato degli attuali poteri o per uno derubricato a notaio? È questa la partita che spaventa gli architetti del premierato. Anche perché – in linea di principio - dopo il referendum la maggioranza potrebbe provocare una crisi e uno scioglimento delle Camere, e quindi eleggere un nuovo Parlamento con le nuove regole. A quel punto, l’attuale Presidente della Repubblica si ritroverebbe con altri quattro anni di mandato (scade nel 2029), ma privato dei suoi principali poteri. Una situazione oggettivamente imbarazzante.

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