Massimo Gaggi per www.corriere.it
mark zuckerberg
Colpita dal boicottaggio di un numero crescente di imprese che sospendono la pubblicità sulla sua piattaforma per protesta contro la decisione di Mark Zuckerberg di non porre limiti ai post più violenti o insultanti di Trump, o di corredarli con avvertenze, Facebook cerca di correre ai ripari.
Nei giorni scorsi alcuni suoi capi hanno tenuto una conference call con 200 dei più importanti inserzionisti pubblicitari per ascoltarne le ragioni e chiedere loro di non abbandonare la più grande rete sociale del mondo. Ma le frasi accorate di Neil Potts, il capo dell’area fiducia e sicurezza di Facebook, che ha ammesso la crisi di credibilità del gruppo, sono state registrate da qualche partecipante che poi ha passato il materiale al Financial Times.
IL FAKE AD DI ELIZABETH WARREN SU TRUMP E ZUCKERBERG
Alcuni marchi con una clientela soprattutto giovane e progressista, come le ditte di abbigliamento da escursioni Patagonia e North Face e il produttore di gelati Ben & Jerry, avevano già deciso di ritirare per protesta la pubblicità di luglio. Ad essi si sono uniti nelle ultime ore alcune agenzie pubblicitarie come quella che rappresenta marchi come Pepsi, Bmw e Cisco, che hanno aderito al boicottaggio proposto da alcune associazioni dei diritti civili. Mentre anche la casa di produzione cinematografica Magnolia ha chiesto a Facebook di cambiare politica nell’attività di moderazione dei contenuti immessi nella sua piattaforma.
Il fondatore della rete sociale, Mark Zuckerberg, accusato anche dai suoi stessi dipendenti di restare passivo davanti alle esternazioni più estreme di Trump (Twitter in alcuni casi ha avvertito gli utenti che certi messaggi rischiano di glorificare la violenza) si è difeso con argomenti ideali: la volontà di non limitare in alcuni modo la libertà di parola. Il funzionario Trust and Security di Facebook, invece, l’ha messa in termini più pragmatici: «Sappiamo che la nostra linea ha creato un deficit di fiducia. Ma se cambiamo rotta ci saranno altri che non sono d’accordo e il deficit di credibilità rischia di diventare ancora peggiore. Stiamo lavorando per cercare di colmare questo deficit».
team trump censurato da facebook
Insomma, il sito che ha maggiore influenza sulle opinioni pubbliche di tutto il mondo e che non risponde legalmente a nessuno di quello che fa, sta ragionando in termini di convenienze commerciali. Le leghe dei diritti civili l’hanno capito e colpiscono proprio qui: «Perché» hanno chiesto durante il confronto digitale con Facebook alcuni inserzionisti, «dovremmo rischiare la reputazione del nostro brand su una piattaforma considerata riprovevole dai nostri clienti?».
DONALD TRUMP FACEBOOK