Marco Bresolin per ''La Stampa''
«Arrivati a questo punto le chiusure sono l'unica scelta: avremmo dovuto agire prima, ma per i cittadini non sarebbe stato facile accettarlo. Hanno bisogno di vedere i letti degli ospedali pieni». Quando Angela Merkel ha preso la parola, le telecamere della videoconferenza Ue hanno registrato lo stupore di diversi leader, increduli di fronti alla franchezza della cancelliera. Parole che registrano un'autocritica collettiva («Avremmo dovuto agire prima»), ma al tempo stesso anche un discutibile tentativo di autoassoluzione («I cittadini hanno bisogno di vedere i letti degli ospedali pieni»).
ANGELA MERKEL EMMANUEL MACRON
Difficilmente Merkel lo ripeterebbe in pubblico. Il primo incontro in videoconferenza dei leader Ue sulla seconda ondata della pandemia è proseguito per due ore con uno scambio di opinioni sulle rispettive esperienze nazionali. Macron ha parlato del lockdown adottato in Francia, il premier slovacco ha raccontato del progetto di testare tutta la popolazione. Chi ha ascoltato gli interventi racconta che c'è stato «un ampio sostegno» alla strategia proposta da Ursula von der Leyen sui test rapidi e sui vaccini.
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Alcuni capi di Stato e di governo hanno chiesto «una forte cooperazione a livello Ue», ma Giuseppe Conte ha messo le mani avanti: «Bisogna rispettare le competenze nazionali». Le parole del premier hanno sorpreso molti suoi colleghi: «Durante la prima ondata - ricorda in serata una fonte diplomatica - l'Italia era il Paese che più di tutti chiedeva un forte intervento Ue». Di fronte all'impossibilità di controllare i contagi se non con le chiusure, i leader Ue hanno deciso di investire sui piani di tracciamento per evitare di commettere nuovamente gli stessi errori, scongiurando una terza ondata.
Si fa molto affidamento sui test rapidi: la Commissione ha stanziato 100 milioni di euro per un acquisto congiunto dei kit che poi saranno distribuiti secondo le necessità. Charles Michel ha chiesto di accelerare la predisposizione dei piani nazionali per la vaccinazione, altrimenti c'è il rischio di farsi trovare impreparati quando arriveranno le prime dosi a inizio 2021. C'è stata anche la promessa di mantenere aperte le frontiere interne e di una maggiore solidarietà transfrontaliera per quanto riguarda le cure dei pazienti in terapia intensiva: alcuni Paesi sono già ai limiti.
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