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    “MI CHIAMAVANO ‘FIGA DI LEGNO’, E MI CHIEDEVANO DI ESSERE ‘PIÙ BAGASCIA’” – VALENTINA SELVAGGIA MANNONE, COPYWRITER 41ENNE, RACCONTA COSA SI È SENTITA DIRE DAI SUOI CAPI DURANTE I 17 ANNI PASSATI NEL MONDO DELLA COMUNICAZIONE: “COMMENTAVANO IL MIO SENO PROSPEROSO. HO PROVATO A ESSERE PIÙ PIACIONA E ACCOMODANTE MA SENTII UN SENSO DI FASTIDIO CHE NON RIUSCIVO A SOSTENERE – A SEGUIRE I PROGETTI INSERIVANO COLLEGHE CHE RISPECCHIAVANO IL GUSTO ESTETICO DI QUEL CLIENTE - POCO PIÙ CHE VENTENNE, DURANTE UN COLLOQUIO, MI CHIESERO SE….”


     
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    Estratto dell’articolo di Gabriella Cantafio per “la Repubblica”

     

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    “Le molestie sessuali sono la punta dell’iceberg di un modello marcio che tende a sottometterci. […]”.

     

    Lo afferma Valentina Selvaggia Mannone, copywriter 41enne con 17 anni di esperienza nel mondo della comunicazione, tra Milano, Roma e Torino, riferendosi al MeToo scoppiato in queste settimane.

     

    Ricorda la prima volta che si è imbattuta in un abuso?

    “Ho cercato di rimuovere tanti episodi, però non posso dimenticare quando, poco più che ventenne, durante un colloquio mi chiesero se avessi un compagno e se volessi figli perché sarebbe stato un problema. Fare domande sulla vita riproduttiva era normale in tante agenzie, piccole o grandi che fossero. Purtroppo la radice marcia si può trovare ovunque”. […]

     

    In quanto donna era reputata un essere inferiore.

    “Non so, però, spesso, nonostante fossi la collega con più esperienza in un determinato gruppo di progetto, non ne ero messa a capo solo perché donna. Eravamo prese di mira con atti di prevaricazione e apprezzamenti fastidiosi”.

     

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    Tipo?

    “I continui commenti sul mio seno prosperoso. Le battute mi infastidivano e appena lo manifestavo venivo sminuita e definita una figa di legno”.

     

    Ha sempre taciuto?

    “Sono cresciuta con un modello errato, secondo cui era normale sopportare questi soprusi, altrimenti si perdeva il posto di lavoro. Avendo subito episodi del genere in varie agenzie, sono arrivata a credere di essere io il problema.

     

    Ho pensato di essere sbagliata. Era questo che ci inculcavano e finivamo in bagno a piangere. Anche se il mio carattere, quando mi sento vessata, mi porta a ribellarmi e diventare fredda e distaccata. Tanto che un superiore, una volta, mi chiese di ammorbidirmi ed essere più bagascia”.

     

    Cioè?

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    “Seppur nauseata, capii che non c’era una vera e propria allusione sessuale, intendeva che dovevo mostrarmi più piaciona e accomodante”.

     

    Ha provato ad esserlo?

    “Paradossalmente sì, ma ben presto sentii un senso di fastidio e inadeguatezza che non riuscivo a sostenere. Ero diventata la caricatura di me stessa e la mia bravura era passata in secondo piano”.

     

    Anche con i clienti vi chiedevano questo atteggiamento?

    “Certo, spesso a seguire i progetti inserivano colleghe più compiacenti o che addirittura rispecchiavano il gusto estetico di quel determinato cliente”.

     

    Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?

    “Durante una riunione, un mio capo mi ha umiliata davanti a tutti, addossandomi la colpa di un errore che non dipendeva da me. Mi aggredì verbalmente perché tentai di smentirlo, rovinando il suo piano di usarmi come scudo”. […]

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