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    “MIA MADRE E LA BARONESSA ROTHSCHILD NON MORIRONO PER UN INCIDENTE” - LA FIGLIA DI GABRIELLA GUERIN, ASSISTENTE DI JEANETTE BISHOP, BARONESSA ROTHSCHILD, NON CREDE CHE LE DUE DONNE SI SIANO PERSE NELLA TORMENTA E SIANO MORTE PER IL FREDDO: “MAGARI FOSSE STATO COSÌ. E POI PERCHÉ ANDARE IN MONTAGNA DI SERA A NOVEMBRE CON QUELLA BUFERA DI NEVE? L’IDEA CHE MI SONO FATTA È CHE LA BARONESSA SIA FINITA IN UN GIRO PIÙ GROSSO DI LEI. E MIA MADRE SI SIA TROVATA NEL POSTO SBAGLIATO AL MOMENTO SBAGLIATO” - IL COLLEGAMENTO CON LA RAPINA ALLA SEDE ROMANA DI CHRISTIE’S, LA PISTA DELLA MORTE DI CALVI E IL POSSIBILE RICATTO A MONSIGNOR MARCINKUS…


     
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    Riccardo Bruno per il “Corriere della Sera” - Estratti

     

    JEANETTE BISHOP 66 JEANETTE BISHOP 66

    Della madre ha un solo ricordo, molto vago. «Mi ero tagliata con un coltello e lei mi consolava». Quando è scomparsa aveva appena due anni. Gioia è la figlia di Gabriella Guerin, una delle due donne del giallo dei Monti Sibillini, la seconda vittima rimasta nell’ombra di Jeanette Bishop, la baronessa Rothschild. «È come se fosse morta due volte» dice Gioia, che per la prima volta racconta la sua storia segnata da un’assenza, una madre conosciuta attraverso le foto sugli album e i racconti della zia che l’ha cresciuta.

     

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    «Negli anni Sessanta andarono a lavorare dal barone Evelyn de Rothschild e da sua moglie Jeanette — ricorda Gioia —. Mio padre faceva l’autista, e anche un po’ il maggiordomo, mia madre la cuoca». Vivevano nel palazzo del banchiere, in una dependance al pian terreno, testimoni della vita sfarzosa di una delle famiglie più ricche al mondo e delle loro relazioni influenti. «Mia madre diceva che ricevevano tante persone famose. Una volta ebbero a cena anche Sophia Loren, sapendo che aveva cucinato un’italiana volle conoscerla».

    Gioia figlia di Gabriella Guerin nel giorno del suo battesimo in braccio a Jeanette Bishop. A sinistra, Stephen May, Gioia figlia di Gabriella Guerin nel giorno del suo battesimo in braccio a Jeanette Bishop. A sinistra, Stephen May,

     

    Ottavio, il loro primo figlio, nasce in Inghilterra, i Rothschild gli regalano la carrozzina, lui cresce giocando con Jessica, la figlia nata dal secondo matrimonio del banchiere. «Non gli facevano mancare niente. Era nato un rapporto di stima, erano considerate quasi persone di famiglia.

     

     Evelyn una volta gli prestò pure la Rolls-Royce per tornare d’estate in ferie».

     

    Nel 1971, dopo 5 anni di matrimonio Evelyn e Jeanette si separano. Ma non si spezza il legame tra l’ex fotomodella e la sua dipendente friulana, ormai quasi un’amica. Gabriella e il marito alla fine degli anni Settanta decidono di tornare in Friuli, con i risparmi possono finalmente realizzare il loro sogno, una casa tutta per loro alla periferia di Ronchis. Nell’aprile 1978, la prima tragedia. Il furgoncino su cui viaggia Dante con i colleghi, di ritorno da un cantiere, viene speronato. Muore dopo un giorno di agonia. Gabriella è incinta di 5 mesi, quando a settembre Gioia viene battezzata, Jeanette arriva da Londra con il secondo marito, Stephen May, per farle da madrina.

     

    JEANETTE BISHOP E GABRIELLA GUERIN JEANETTE BISHOP E GABRIELLA GUERIN

    In uno di quei viaggi in Italia, la coppia inglese decide di acquistare un casolare da ristrutturare a Sarnano, nel Maceratese. Jeanette segue i lavori e porta con sé Gabriella, che l’aiuta come interprete; una prima volta nel 1979, poi l’anno dopo in quel fatidico novembre 1980. «Mia zia Caterina l’accompagnò alla stazione di Latisana — riprende Gioia —. Mia madre prima di partire si raccomandò di stare attenta ai figli. Per questo, da allora, mia zia si è dedicata a noi come a una missione, senza mai sposarsi, sempre impegnata a proteggerci dal male».

     

    È morta cinque anni fa, faceva la maestra. Dopo la scomparsa della sorella, prese un anno di aspettativa per seguire le ricerche, a volte anche accompagnando May nelle Marche.

    il cold case baronessa jeanette bishop il cold case baronessa jeanette bishop

     

    «Una volta andammo a Roma anche io e mio fratello, all’ambasciata inglese», ricorda Gioia.

     

    Non crede che la madre e Jeanette si siano perse nella tormenta e siano morte per il freddo. «Magari fosse stato così. Non avevano gli abiti e le scarpe adatte. E poi perché andare in montagna di sera a novembre con quella bufera di neve? Le cercarono per giorni, difficile credere che sia stato un incidente». Gioia in questi anni ha letto delle mille ipotesi: il collegamento con la rapina alla sede romana di Christie’s, la morte di Calvi, il gemmologo brasiliano arrestato e subito scarcerato, perfino il possibile ricatto a monsignor Marcinkus.

     

    «Non posso sapere cos’è successo — osserva — ma l’idea che mi sono fatta è che la baronessa sia finita in un giro più grosso di lei. E mia madre si sia trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato».

     

    Adesso la nuova inchiesta ha riaperto una ferita che non si è mai chiusa. «Da sempre vivo per la verità — conclude Gioia —. Ottenere giustizia sarebbe anche un modo per far risposare in pace mia madre».

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