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    LA VERSIONE DI MUGHINI - BEATO IL PAESE CHE PUÒ VANTARE EROI QUALI ARNAUD BELTRAME, IL GENDARME CHE SI È SACRIFICATO PER SALVARE L'OSTAGGIO DEL TERRORISTA, E CHE SA COME VANTARLI E CHE SI METTE COMPATTO IN PIEDI ALL’UDIRE IL LORO NOME E LA LORO EPICA - QUI L'ORAZIONE FUNEBRE DI MACRON IN SUA MEMORIA


     
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    Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia

     

    Caro Dago, reputo che Bertolt Brecht avesse torto quando scriveva “Beato il Paese che non ha bisogno di eroi”, e voleva dire “Beato il paese in cui la gran moltitudine dei suoi cittadini fa il suo dovere da quando si alza e quando va a letto”.

     

    MACRON MACRON

    No, un Paese ha bisogno anche di personaggi/stemma, di personaggi cui guardare perché riassumono intensamente i valori di cui quel Paese è nutrito, o dovrebbe esserlo. Ha bisogno ogni volta di scegliersi un Eroe.

     

    Non so quanti tra i vispi frequentatori del tuo sito hanno letto sul “Foglio” la toccante orazione funebre pronunciata dal presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in morte  del “gendarme” quarantaquattrenne Arnaud Beltrame, quello che si era consegnato nelle mani di un assassino militante del radicalismo islamista in cambio della vita di una donna francese che quello aveva preso in ostaggio e da cui poi è stato assassinato.

     

    Nelle parole di Macron: “Avido di nulla, questo assassino cercava la morte. Cercava la sua morte. La stessa morte che altri prima di lui avevano trovato. Una morte che lui riteneva gloriosa, ma che lo rendeva abietto, una morte che per molto tempo sarà la vergogna della sua famiglia, la vergogna dei suoi parenti e dei suoi numerosi correligionari, una morte vile, ottenuta tramite l’assassinio di innocenti”.

     

    arnaud beltrame arnaud beltrame

    Beltrame, uno che di mestiere apparteneva alla “gendarmerie” e che già si era distinto in Iraq, non ha esitato a offrire la sua vita in pegno all’assassino e purché fosse salva la vita della donna che quella feccia d’uomo aveva agguantato.

     

    Beltrame era dunque un poliziotto, un “flic”. Un parente stretto di quei Crs cui nel 1968 alcuni di noi studenti lanciavano in volto l’infame parola d’ordine “CRS=SS”. E difatti mi pare non siano state tante sui nostri giornali le celebrazioni di quel “flic” morto da eroe, di quell’uomo che non ha esitato un attimo a offrire la sua vita.

     

    Bellissima l’orazione di Macron, che si chiudeva così: “Al momento dell’ultimo saluto, Le porgo la mia riconoscenza, l’ammirazione e l’affetto di tutta la nazione. Io La rendo Comandante della Legione d’onore. La nomino colonello della gendarmeria, Viva la Repubblica. Viva la Francia”.

     

    E del resto in fatto di celebrazione dei propri eroi e dei propri valori, i nostri cugini francesi non temono rivali al mondo. Resta memorabile l’orazione pronunciata una fredda sera del dicembre 1964 da André Malraux innanzi al Panthéon, dove stavano per essere tumulate le spoglie di Jean Moulin, l’eroe/stemma della Resistenza gollista, il capo dell’ “armée des ombres de la nuit”.

     

    Beato il Paese che può vantare eroi quali Arnaud Beltrame e Jean Moulin, e che sa come vantarli e che si mette compatto in piedi all’udire il loro nome e la loro epica. E a questo proposito non la farei troppo lunga in merito alla sgarberia che ci hanno fatto alcuni ”gendarmes” francesi lassù dove confinano i nostri due Paesi.

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    Vorrei ricordare ai miei connazionali quel che abbiamo fatto ai francesi il 10 giugno 1940, quando su di loro annichiliti dallo “stivale” tedesco abbiamo puntato minaccioso il nostro “scarpino” (Charles de Gaulle dixit), senza per questo riuscire ad avanzare di un solo metro in una battaglia che ci disonorava.

     

     

    GIAMPIERO MUGHINI

     

     

    IL DISCORSO DI EMMANUEL MACRON IN MEMORIA DI ARNAUD BELTRAME, PUBBLICATO DAL ''FOGLIO'' CON TRADUZIONE DI MICOL FLAMMINI

     

    Erano quasi le undici di venerdì 23 marzo 2018 quando il tenente colonnello Arnaud Beltrame si è presentato con i suoi uomini davanti al supermercato di Trèbes, nell’Aude. Era bastato loro solo un quarto d’ora per essere sul posto. Che cosa sapeva del terrorista che si era barricato là dentro? Sapeva che poco prima aveva ucciso il passeggero di un’auto, Jean-Michel Mazieres, e aveva gravemente ferito l’autista, Renato Gomes da Silva.

     

    Sapeva che aveva sparato contro il corpo di polizia Crs, vicino alla caserma e ferito alla spalla uno di loro, il brigadiere Frédéric Poirot. Sapeva che nel negozio nel quale si era barricato aveva ammazzato due uomini a distanza ravvicinata: Hervé Sosna, un cliente, e Christian Medves, il macellaio. In questo momento il nostro pensiero va a queste persone ferite, morte, ai nostri morti e alle loro famiglie. Sapeva anche che il terrorista teneva in ostaggio un commesso, che diceva di essere parte di quella cellula islamista che aveva tanto tramortito il nostro paese.

     

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    Avido di nulla, questo assassino cercava la morte. Cercava la sua morte. La stessa morte che altri prima di lui avevano trovato. Una morte che lui riteneva gloriosa, ma che lo rendeva abietto, una morte che per molto tempo sarà la vergogna della sua famiglia, la vergogna dei suoi parenti e dei suoi numerosi correligionari, una morte vile, ottenuta tramite l’assassinio di innocenti. Il commesso in ostaggio era uno di quegli innocenti. Per il terrorista che lo teneva sotto la minaccia della sua arma, la sua vita non aveva nessun valore, nessuno in più rispetto a quella delle altre vittime. l suo destino sarebbe stato senza dubbio lo stesso.

     

    Ma questa vita contava per Arnaud Beltrame. Contava ancora di più perché era come tutte le altre vite, la fonte della sua vocazione di servire. Accettare di morire affinché vivano degli innocenti, questo è il cuore dell’impegno del soldato. Essere pronto a donare la propria vita perché nulla è più importante della vita di un cittadino, questa è l’intima energia della trascendenza che portava in sé. E’ stata questa grandezza che ha sbalordito la Francia. Il tenente colonnello Beltrame ha dimostrato, attraverso il suo percorso eccezionale, che questa grandezza scorreva nelle sue vene.

     

    La sua persona irradiava grandezza. Si era meritato la stima dei suoi capi, l’amicizia dei suoi colleghi e l’ammirazione dei suoi uomini. In un momento così, altri, anche tra i valorosi, sarebbero forse scesi a compromessi o avrebbero esitato. Ma il tenente colonnello Beltrame si è trovato di fronte alla parte più profonda e forse anche più misteriosa del suo impegno. Ha preso una decisione che non era solo quella del sacrificio, ma prima di tutto quella della fedeltà a se stesso, la fedeltà ai propri valori, la fedeltà a ciò che era sempre stato e voleva essere, a tutto ciò che aveva dentro di sé. Questa scelta gli si confaceva a tal punto che sua madre, quando aveva appreso che un gendarme aveva compiuto quel gesto, ha istintivamente, quasi carnalmente riconosciuto suo figlio. Sapeva che si trattava di lui ancor prima di saperlo.

     

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    Lucido, determinato, il tenente colonnello Beltrame si è consegnato al terrorista al posto dell’ostaggio. Era circa mezzogiorno. Un soldato così esperto, un gendarme d’élite, encomiato per il valore in Iraq, sentiva sicuramente di avere un appuntamento con la morte, ma prima di tutto aveva un appuntamento con la sua verità di uomo, di soldato e di capo. Questa è stata la fonte del suo immenso coraggio: per non venire meno agli altri, bisogna non venire meno a se stessi. Il tenente colonnello Beltrame ha fatto questa scelta perché si sarebbe rimproverato in eterno se non l’avesse fatta.

     

    So cosa possono provare quelli che erano con lui quel giorno. Rivedono il trascorrere lento dei minuti che lo hanno portato a questa decisione, rivedono il tenente colonnello Beltrame deporre la sua arma, alzare le mani e avanzare, solo, verso il terrorista. Sanno che tutto ormai era stato giocato in quell’istante. Sanno anche che non avrebbe lasciato il suo posto a nessuno perché l’esempio viene dal capo e per lui dare l’esempio era, come per tutti noi, una virtù cardinale. Al centro di tanto coraggio c’è una grande forza morale. Questa non è in discussione, ti spinge ad agire.

     

    Anche prima del 23 marzo, il tenente colonnello Beltrame era uno di quei figli che la Francia ha l’onore di avere nelle sue fila. L’omaggio che la sua patria gli tributa in questo giorno lo ripaga anche delle azioni straordinarie che hanno segnato la sua carriera, perché hanno segnato la vita di tanti suoi compagni nei nostri eserciti. Appena lasciata la scuola Saint-Cyr aveva scelto la gendarmeria. L’aveva fatta diventare la sua seconda famiglia perché era vicino alla vita dei suoi concittadini e ciò richiedeva da lui ogni giorno l’eccellenza. Una gendarmeria che paga ogni anno il suo tributo alla sicurezza e alla protezione dei francesi. Una gendarmeria che, una volta ancora, si è distinta per maestria e forza.

     

    Qui voglio rendere omaggio alle forze di gendarmeria dell’Aude, al loro capo, il colonnello Sebastien Gay, al capo del Gign dell’unità di Tolosa e ai suoi uomini, due dei quali sono rimasti feriti durante l’assalto. Sono tutti dura- mente colpiti dalla perdita del loro compagno. Io so, e i francesi sanno, che hanno fatto tutto il possibile per evitare che accadesse il peggio. Come i loro compagni della polizia, l’intelligence e tutti i servizi di prefettura. I francesi non dimenticano né il tributo pagato da tutte le nostre forze di sicurezza sul territorio nazionale né dai nostri eserciti operativi sui teatri esterni. Tutti hanno diritto al nostro incondizionato rispetto.

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     E tutti – lo so – condividono la stessa certezza che animava il tenente colonnello Beltrame: che il suo destino non gli apparteneva completamente, che era legato a qualcosa di più alto di lui. Perché era un uomo impegnato e aveva giurato di diventare tutt’uno con un ideale più grande e più elevato. Questo ideale era servire la Francia. Non appena abbiamo appreso del suo gesto, sapevamo che l’esito sarebbe stato incerto, tutti noi francesi siamo stati scossi da un brivido singolare. Uno di noi si era appena sollevato.

     

    Dritto, lucido e coraggioso, stava affrontando l’aggressione islamista, stava affrontando l’odio, la follia mortifera e con lui è sorto dal cuore del paese lo spirito francese della resistenza, come se il suo coraggio fosse un tramite per la nazione che lo segue. Questa determinazione irremovibile contro il nichilismo selvaggio ha immediatamente evocato alla nostra memoria le alte figure di Jean Moulin, Pierre Brossolette, dei martiri del Vercors, dei combattenti della resistenza.

     

    Alla mente dei francesi, all’improvviso, è arrivato il ricordo oscurato delle ombre cavalleresche dei cavalieri di Reims e di Patay, degli eroi anonimi di Verdun e dei Giusti, dei compagni di Jeanne e di quelli di Kieffer, infine tutte quelle donne quegli uomini che un giorno hanno deciso che la Francia, la libertà francese, la fraternità francese non sarebbero sopravvissute se non al prezzo delle loro vite, e allora ne valeva la pena. Perché non si può lasciare che l’intollerabile prevalga. Il campo della libertà, quella della Francia, oggi si deve confrontare con un oscurantismo barbaro, che come unico programma ha l’eliminazione delle nostre libertà e della nostra solidarietà. Gli abiti religiosi con cui si adorna sono solo la deviazione di ogni spiritualità e persino la sua negazione. Perché nega il valore che diamo alla vita. Questo valore è stato negato dal terrorista di Trè- bes.

     

    E’ stato negato dall’assassino di Mireille Knoll che ha ucciso una donna innocente, vulnerabile perché era ebrea, e ha profanato i nostri valori sacri e la nostra memoria. Non sono solo le organizzazioni terroristiche, gli eserciti dello Stato islamico, gli imam dell’odio e della morte che noi combattiamo. Noi stiamo combattendo anche contro questo islamismo sotterraneo, che cresce sui social, che lavora in modo invisibile, che agisce clandestinamente su menti deboli e instabili, tradendo la stessa gente che sostiene, che sul nostro territorio indottrina e corrompe.

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    E’ un nemico insidioso che esige da ogni cittadino, da ognuno di noi vigilanza e civismo. Si tratta, dopo molti anni, di una nuova prova. Ma il nostro popolo ne ha già superate tante. Per questo supererà anche questa, senza cedimenti, senza impeti d’ira, con lucidità e con metodo. Prevarremo, grazie alla calma e alla resilienza dei francesi, un popolo aduso ai morsi della storia, paziente in battaglia, fiducioso nel trionfo del diritto e della giustizia, come ha dimostrato la nostra storia, lunga e bella. Durante queste ore interminabili, terminate con la morte del terrorista e il trasferimento del tenente colonnello all’ospedale di Carcassonne, nella sala di comando del ministero degli Interni vivevamo tutti nella speranza. Il capo delle forze armate, io stesso, quanto abbiamo sperato. La mattina presto, purtroppo, ci ha portato la notizia della sua morte come un colpo al cuore.

     

    Eppure nonostante la tristezza, nonostante il sentimento di ingiustizia, la luce che ha acceso in noi non si è estinta, si è invece diffusa. Mentre il nome del suo assassino è caduto nell’oblio, quello di Arnaud Beltrame è diventato il nome dell’eroismo francese, l’incarnazione di questo spirito di resistenza che è l’affermazione suprema di ciò che siamo, degli ideali per i quali la Francia ha sempre combattuto, da Giovanna d’Arco al generale De Gaulle: la sua indipendenza, la sua libertà, il suo spirito di tolleranza e pace contro tutte le egemonie, tutti i fanatismi e i totalitarismi.

     

    Che il suo impegno possa alimentare la vocazione di tutta la nostra gioventù, risvegliare questo desiderio, di servire a sua volta questa Francia per la quale uno dei suoi migliori figli, dopo tanti altri, ha dato eroicamente la vita, proclamando di fronte agli addormentati, agli scettici e ai pessimisti: sì, la Francia merita che le venga donato il meglio. Sì, l’impegno a servire e proteggere può essere elevato al massimo sacrificio. Sì, questo ha senso e dà un senso alla nostra vita. Lo dico alla gioventù francese che cerca la sua strada e il suo posto, che teme il futuro e si dispera nella ricerca di qualcosa che ai nostri giorni sazi la fame di assoluto che accomuna tutti i giovani: l’assoluto è qui, di fronte a noi.

     

    Non è nei vagabondaggi fanatici, dove si tenta di addestrare i seguaci del nulla, non è nel triste relativismo che gli altri propongono. E’ nel sacrificio, nel donare se stessi, nell’aiutare gli altri, nell’impegnarsi per il prossimo che rende utili, rende migliori, fa crescere e fa progredire. Questa è la strada che ci ha mostrato Arnaud Beltrame. Questo impegno lo ritrovo nei nostri militari, nei nostri pompieri, nei nostri poliziotti, nei nostri operatori sanitari, nei nostri professori, in tutti i nostri funzionari che si impegnano ovunque sul campo.

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    Ogni scintilla è preziosa per il nostro paese. Salvando questa ragazza, il tenente colonnello Arnaud Beltrame ha scongiurato lo spirito di rinuncia e di indifferenza che a volte è in agguato. Ha dimostrato che il pilastro vivente della Repubblica è la forza dell’anima. Mi rivolgo a sua moglie, a sua madre, ai suoi fratelli: la lezione che ci ha offerto, lo so, a un prezzo inaccettabile, anche se è lo stesso prezzo che ogni soldato è disposto a pagare. La gratitudine della patria e gli onori resi non vi restituiranno l’essere che avete tanto amato e che la Francia intera ha scoperto negli ultimi giorni, non vi restituiranno il sapore della felicità, l’amore che ha portato alla sua famiglia, il senso di amicizia.

     

    Questo eroe era uomo con la sua storia, con i suoi legami, i suoi sentimenti, le sue domande e lui stesso aveva i suoi eroi, che erano i grandi soldati francesi. Arnaud Beltrame si unisce oggi alla parata coraggiosa degli eroi che lui stesso amava. Vivrà in voi, per voi, nei vostri ricordi, nelle vostre preghiere, ma ciò che vi dobbiamo è che la sua morte non sia stata invano. Che la sua lezione rimanga impressa nei cuori dei francesi. La sua memoria vivrà. il suo esempio rimarrà.

     

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    Io me ne prenderò cura, ve lo prometto. Il suo sacrificio, Arnaud Beltrame, ce lo impone. Ci eleva. Dice come nessun altro che la Francia non deve mai smettere di essere, e non smetterà mai di essere tale, finché le donne e gli uomini decidono di servirla con coraggio, il che significa con l’onore e l’amore per il paese che Lei ha mostrato. A queste parole Lei ha donato lo spessore della Sua stessa vita e i lineamenti del Suo volto. Al momento dell’ultimo saluto, Le porgo la mia riconoscenza, l’ammirazio - ne e l’affetto di tutta la nazione. Io La rendo Comandante della legion d’onore. La nomino colonnello della gendar- meria. Viva la Repubblica. Viva la Francia. (traduzione di Micol Flammini)

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