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IL “MODELLO ALBANIA” È UNA BARZELLETTA – NEL CPR DI GJADER, DALL’ALTRA PARTE DELL'ADRIATICO, È STATO COSTRUITO ANCHE UN CARCERE DA 20 POSTI DESTINATO AI RICHIEDENTI ASILO CHE COMMETTONO REATI NELL’AREA SOTTO LA GIURISDIZIONE ITALIANA – PECCATO CHE DI MIGRANTI NON CI SIA NEANCHE L'OMBRA. E I 15 POLIZIOTTI A PRESIDIO DELLA STRUTTURA SI RITROVANO A OCCUPARSI DEI CANI RANDAGI LOCALI – UN GRANDE SUCCESSO DEL GOVERNO MELONI, A SPESE DEGLI ITALIANI…

Marika Ikonomu e Nello Trocchia per “Domani”

 

centro migranti DI GJADER IN ALBANIA

In «un luogo desolato», «era stato barbaramente legato», «immobilizzato», «senza vie di fuga», «visibilmente disidratato e spaventato». È quanto accade a Gjadër, in Albania, nel luogo in cui sono stati costruiti i centri per migranti. Il racconto è stato pubblicato sulla rivista della polizia penitenziaria.

 

Perché, nel progetto fallimentare messo in piedi dal governo italiano dall’altra parte dell’Adriatico, è stato previsto anche un carcere da 20 posti. È stato costruito all’interno del complesso più grande che include il centro di trattenimento dei richiedenti asilo e il centro per i rimpatri. Destinato a chi, tra i migranti, avrebbe commesso reati nell’area considerata sotto la giurisdizione italiana.

 

ALBANIA QUI NON E HOLLYWOOD - MEME

Attualmente è presidiato da 15 agenti della polizia penitenziaria, un terzo rispetto al contingente originario che era stato distaccato in Albania. [...]

 

Il racconto ha come protagonisti i cani randagi di Gjadër. E l’umanità degli operatori nei loro confronti. I cani sono le uniche presenze, oltre agli agenti e agli operatori, nell’area dell’istituto. Nell’accordo Italia-Albania si prevedeva anche la costruzione di una «idonea struttura penitenziaria destinata a ricevere i migranti che dovessero rendersi responsabili di reati durante la permanenza nelle strutture gestite dallo stato italiano in quel territorio».

 

Per costruire il carcere, il cpa e i due centri sono già stati spesi oltre 60 milioni di euro. Quei centri, secondo il governo, avrebbero dovuto fermare l’immigrazione irregolare e invec, hanno allungato i giorni di navigazione per 24 naufraghi e assicurato affidamenti diretti a decine di aziende. Quel che è rimasto, in attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Ue in primavera, è un’area desolata e deserta nel nord dell’Albania, che Giorgia Meloni si ostina a rappresentare come modello. E i cani sono gli unici ospiti del prefabbricato adibito a carcere.

 

 

centro per migranti a gjader

Un progetto inutile e costoso. Oltre al vitto, l’alloggio e i trasferimenti, i poliziotti che monitorano il carcere, vuoto, hanno una maggiorazione dello stipendio. Un poliziotto penitenziario in Italia incassa meno di duemila euro, in Albania ne porta a casa seimila. Nel carcere-prefabbricato da poco sono arrivati anche i frigo e le televisioni, anche se pare manchino ancora le antenne, per tentare, vanamente, di ovviare alla disparità di trattamento rispetto agli alberghi destinati ad altri operatori delle forze dell’ordine e alla violazione degli accordi contrattuali.

 

I quindici poliziotti penitenziari hanno trovato nella cura dei cani un’attività da svolgere. Uno degli animali è stato anche portato in Italia.

 

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«Una storia bellissima di amore per gli animali», si legge sulla rivista, e «dimostra che la polizia penitenziaria non è fatta di aguzzini crudeli e torturatori come qualcuno vorrebbe far credere». La storia è questa: «Un meticcio dagli occhi colmi di paura era stato barbaramente legato con un guinzaglio a un guardrail. Immobilizzato e senza via di fuga, il cane era visibilmente disidratato e spaventato».

 

Altri cani, pelle e ossa, vagavano attorno al complesso e il poliziotto penitenziario, che «non ha girato la testa dall’altra parte», si legge, ha liberato il cane legato e ha caricato gli animali sulla sua macchina. «Dopo le prime cure mediche», sono stati portati «all’interno del carcere», dove sono stati seguiti «durante la convalescenza». A Gjadër «hanno provveduto ai loro bisogni con amore e pazienza, garantendogli cibo, acqua, cure mediche quotidiane e soprattutto un ambiente sicuro e pieno di affetto», prosegue il racconto. [...]

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