Chiara Merico per "it.businessinsider.com"
carne
Bistecche e hamburger sono sul viale del tramonto? Forse è presto per dirlo, ma alcuni dati sembrano andare proprio in questa direzione. A partire da quelli sulla produzione globale di carne, che in base alle stime della Fao è scesa nel 2019 e dovrebbe ulteriormente calare quest’anno a 333 milioni di tonnellate, anche a causa della pandemia. E, come nota Bloomberg, lo scorso anno è stato l’unico dal 1961 in cui si è registrata una diminuzione: due anni consecutivi di declino sarebbero un fenomeno senza precedenti, e potrebbero significare l’avvio di un trend durevole.
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E anche il consumo pro capite di carne nel 2020 calerà ai minimi in nove anni: la diminuzione del 2,8% rispetto allo scorso anno, stimata dall’agenzia delle Nazioni Unite, è la più marcata almeno dal 2000. Il calo è previsto in tutti i principali mercati, inclusi gli Stati Uniti, dove il livello non tornerà ai livelli pre-covid prima del 2025. Per l’industria, abituata a decenni di solida crescita, si tratta di un cambio di direzione drammatico, ma gli effetti a largo raggio, in particolare sul clima e sull’ambiente, rischiano di essere ancora più dirompenti.
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Il consumo di carne è infatti direttamente correlato ad altri due fattori: la popolazione e la ricchezza globale. La prima sta rallentando la sua crescita e la seconda subirà certamente l’impatto della pandemia, anche se durante la crisi finanziaria del 2008 non si erano verificati cali nella produzione di carne. Il mercato della carne, secondo vari osservatori, ha raggiunto o sta per raggiungere il picco: in questa situazione l’unica strada è che un certo tipo di carne continui a crescere erodendo quote di mercato alle altre.
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E per il manzo sembrano tempi duri: tra le 18 tipologie di carne di cui la Fao traccia la produzione – inclusa quella di cammello e la selvaggina – la parte del leone spetta infatti alla triade formata da manzo, maiale e pollo. Su 340 milioni di tonnellate di carne prodotti nel mondo nel 2008, 302 milioni erano riconducibili a questi tre tipi.
Ma dal grafico si evince chiaramente che la produzione di pollo e maiale sta crescendo a un ritmo maggiore rispetto a quella di manzo. Se questi tre tipi di carne continuano da cinquant’anni a rappresentare l’85%-88% del totale, la quota della carne bovina è passata dal 39% del 1961 ad appena il 20% del 2018.
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La carne di maiale è rimasta stabile al 35% e quindi la crescita è dovuta essenzialmente al pollo, la cui produzione è triplicata in cinque decenni, passando dall’11% al 34% del totale. E anche sul fronte del consumo il trend è chiaro: il picco per la carne di manzo è stato raggiunto alla fine degli anni Settanta e per la carne di maiale nel 2015, mentre il consumo di pollo sta continuando a crescere e presto supererà quello di carne suina.
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Al di là di ogni valutazione etica o di gusto, si tratta sicuramente di una buona notizia per l’ambiente: gli allevamenti di bovini, osserva Bloomberg, producono infatti dieci volte più emissioni nocive rispetto a quelli di suini e pollame, tanto che un colosso come Burger King ha deciso di introdurre nella dieta delle sue vacche uno speciale mangime a base di lemongrass, che dovrebbe ridurre le emissioni di gas inquinanti di un terzo.
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Inoltre, gli allevamenti bovini contribuiscono all’aumento delle emissioni perché utilizzano grandi quantità di terreno, per ricavare le quali si ricorre alla deforestazione. Per tutti questi motivi, il declino della carne rossa – spinto anche dalla diffusione sempre maggiore di sostituti di origine vegetale – potrebbe rappresentare un passo avanti sul fronte della sostenibilità.
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