Paolo Giordano per il Giornale
ozzy osbourne
La puntualità, innanzitutto: Ozzy Osbourne pubblica il nuovo disco esattamente cinquant'anni dopo il primo, Black Sabbath, che uscì venerdì 13 febbraio 1970 e lanciò la muscolosa cupezza dell'heavy metal.
Il 21 febbraio 2020 esce Ordinary man, che ha lo stesso effetto di allora: è fuori moda. In questo mezzo secolo John Michael Osbourne detto Ozzy, nato a Birmingham nel 1948, è diventato una leggenda a bordo di cento milioni di dischi venduti e altrettanti eccessi. In ordine sparso: svariati ricoveri per alcolismo e tossicodipendenza, una denuncia per tentato omicidio da parte della moglie Sharon, accuse di istigazione al suicidio (per il brano Suicide solution), litigi con la moglie di Al Gore che lo voleva censurare, tour interrotti per superamento dei limiti di velocità alcolica, parecchi arresti, il più famoso dei quali nel 1982 dopo aver urinato sul Cenotafio di Fort Alamo, che per gli americani è monumento nazionale.
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Per fortuna (si fa per dire) Ozzy era sì vestito da donna, ma era anche molto ubriaco quindi gli fu evitata l'accusa di oltraggio alla nazione. Per riassumere, lui dice che «dovrei essere morto almeno dieci volte. Il mio cuore si è fermato due volte. Sono andato in overdose un paio di volte, cosa del quale non vado fiero». Non a caso, i ricercatori della società Knome hanno fatto una mappatura del suo Dna per capire come mai sia ancora vivo, ma la risposta non si conosce ancora.
Nel frattempo Ozzy Osbourne, che prima di diventare una superstar ha lavorato in un macello e fatto il collaudatore di clacson, è diventato una icona del rock, si è preso in giro da solo nella premiatissima serie di Mtv The Osbournes e intorno ai 70 anni ha iniziato a invecchiare sul serio. Una volta annullava le tournée per gli eccessi. Ora per i malanni, e c'è poco da ridere. L'ultimo annuncio è giusto di ieri: cancellato il tour nordamericano, per ora rimangono confermate le date europee (il 19 novembre a Bologna). La nemesi del destino.
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Dopo una lunghissima polmonite e una infezione da stafilococco alla mano, Ozzy Osbourne ha rivelato di avere anche il Parkinson. Ne soffre dal 2003, ma ne ha parlato solo poche settimane fa nello show della Abc, Good Morning America: «Mi sento meglio ora che ho parlato ai fan di questa malattia. Nascondere qualcosa è difficile, ti senti colpevole.
Era come avessi finito le scuse da inventarmi». E forse, in questa sorta di regolamento di conti per l'uomo che è andato oltre i limiti, rientra anche il disco in uscita. Ozzy ha scelto come titolo l'opposto di sé, Ordinary man, uomo comune. E ha voluto come ospite nientemeno che Elton John, oltre che Post Malone, classe 1995, uno dei nuovi eroi più inventivi, cantante, rapper, cantautore, produttore insomma un piccolo genio.
Non bastasse, nella band di Ozzy Osbourne (sì, esistono ancora le band) ci sono fuoriclasse come Slash e Duff McKagan dei Guns N'Roses e Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers. Il risultato è un disco potentemente hard rock che ricorda (anche nella struttura e nella successione dei brani) i suoi primi dischi da solista dopo la separazione (anzi, la cacciata per alcolismo) dai Black Sabbath, ossia Blizzard of Ozz e Diary of a Madman di inizio anni '80.
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Nell'epoca dei beat, del flow e di musica composta a tavolino, in queste undici canzoni c'è la batteria suonata dalle braccia e non dai giga di un laptop, chitarre che addirittura fanno assoli e una voce che non ha bisogno di autotune perché è naturalmente imperfetta e quindi le si perdona tutto.
Ozzy Osbourne, che dal vivo spesso non è impeccabile, raggiunge tonalità uniche e riconoscibili, molto acute e quasi inquietanti quindi perfette per il rock cupo e potentissimo che ha contribuito a inventare. Per di più, il nuovo disco è una sorta di autobiografia che parte da Under the graveyard (con un video che racconta la nascita dell'amore con Sharon quarant'anni fa in un momento di gravi dipendenze), passa da Straight to hell con quell'iniziale «all right now» che vale come un biglietto da visita e arriva a Ordinary man con il piano e la voce di Elton John.
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Qui il testo fa la differenza e forse è uno di quelli che sono costati di più a questo esagerato rockettaro che ha vissuto sulle montagne russe del vizio: «Ero impreparato al successo, poi tutti conoscevano il mio nome. Sì sono stato un cattivo ragazzo e mi sono strafatto e la verità è che non voglio morire come un uomo qualunque». In fondo è la celebrazione dell'utopia rock da parte di chi da quell'utopia si è fatto calpestare la vita.
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