Nino Materi per “il Giornale”
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I ricordi non si cancellano mai. A Viareggio li riscrivono ogni giorno. Da dieci anni. Con l'obiettivo di dare giustizia alle 32 vittime della più grave tragedia ferroviaria italiana: quella che si consumò la notte del 29 giugno 2009, quando un treno cisterna deragliò in stazione annientando un intero quartiere a ridosso dello scalo.
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«Fu peggio di una bomba al napalm - racconta al Giornale, Marco Piagentini, che nell' esplosione perse la moglie e due figli -. Ma non fu una fatalità, il processo di primo grado ha già accertato le responsabilità dei vertici Fs e dei responsabili di altre aziende, oggi attendiamo fiduciosi l' esito del processo-bis».
Marco è un uomo straordinario, sul corpo porta anche lui le tracce indelebili (ha subìto 60 operazioni) del fuoco che ha bruciato la sua famiglia: «È come se io e mia moglie ci fossimo divisi i compiti. Lei è volata in cielo con due dei nostri tre bambini e da lassù si occupa di loro; io sono rimasto su questa terra e mi prendo cura del nostro terzo figlio: è un filo d' amore invisibile, il nostro, che ci terrà uniti per sempre».
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Marco da anni è impegnato nel «Mondo che vorrei», l' associazione che riunisce i familiari delle vittime del 29 giugno: «Sono entrato a far parte di questa onlus quando già da tempo un gruppo di amici l' aveva fondata con l' obiettivo di ottenere giustizia, verità e sicurezza. Non solo per i morti dei Viareggio, ma per prevenire potenziali incidenti».
Perché parla di «potenziali incidenti»? «Perché - denuncia Piagentini - il dramma di Viareggio sembra non aver insegnato nulla a nessuno, tanto che la situazione sicurezza del trasporto ferroviario - soprattutto i convogli con carichi pericolosi come quello che devastò la nostra città - non è mai stata affrontata con efficacia; col risultato che, ancora oggi, i rischi sono altissimi».
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In attesa di norme più rigorose e leggi più severe il 29 giugno di ogni mese familiari delle vittime si ritrovano davanti alla «Casina dei ricordi», una specie di «museo della memoria» di cui Viareggio dovrebbe andare fiera, perché in questa piccola stanza è raccolto tutto il meglio della solidarietà umana: disegni, frasi, poesie, oggetti che mettono in comunicazione chi è rimasto con chi non c' è più.
Un dialogo fatto di silenzi eppure ben udibili da chi arriva qui col cuore aperto alla speranza. Anche qui, a tenere in piedi questo avamposto di civiltà, sono le «Tartarughe Lente», un gruppo di volontari riuniti nel nome di due motociclisti («Pulce» e «Scarburato») che in quel maledetto 29 giugno persero la vita.
A prendersi cura della «casina» è Giuliano Bandoni che fin dal 12 luglio 2009 fu tra i protagonisti di un' avventura fatta di tante gioie e qualche amarezza.
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Giuliano, dopo tanti anni, ancora si commuove: «Attaccati ai muri ci sono decine di disegni fatti dai bambini, alcuni ripercorrono l' orrore di quella notte, ma la maggior parte guardano con fiducia al futuro. Qui fuori c'è una campana che ogni 29 giugno batte 32 rintocchi, uno per ogni vittima di quella strage assurda per la quale non ha ancora pagato nessuno. A regalacela fu il padre di un ragazzo scampato, miracolosamente, all' esplosione». Un disastro che esige verità. E la Corte d' appello di Firenze, chiamata oggi a emettere la sentenza, lo sa bene. Viareggio ha aspettato fin troppo.
2 - VIAREGGIO, LA VERITÀ SULLA STRAGE L' ORA DELLA SENTENZA DI APPELLO
Donatella Francesconi per “il Tirreno”
MAURO MORETTI
Una ferita, quella provocata dal disastro ferroviario del 29 giugno 2009, 32 morti ed oltre 100 feriti, «che per Viareggio non si è ancora rimarginata». Così ricorda Marco Piagentini, presidente dell' associazione dei familiari delle vittime della strage di Viareggio, alla vigilia dell' attesa sentenza di secondo grado.
Appuntamento oggi a Firenze, aula 32 del Palazzo di giustizia, di fronte ai giudici della terza sezione della Corte d' appello: presidente Laura Masi con i colleghi Anna Favi e Giovanni Perini. In aula per l' accusa - la Procura generale di Firenze - i pm Luciana Piras e Salvatore Giannino.
In primo grado il Tribunale di Lucca ha condannato 23 persone fisiche, per un totale di 168 anni (contro i 260 richiesti dalla Procura di Lucca), ed 8 società. Tra i manager sul banco degli imputati anche gli amministratori delegati, all' epoca dei fatti, di Ferrovie di Stato, Rete ferroviaria italiana e Trenitalia. Per tutti gli imputati - tranne per Mauro Moretti, ex ad di Ferrovie condannato a 7 anni per l' analogo ruolo in Rfi - le eventuali pene dell' appello saranno decurtate di 6 mesi.
MAURO MORETTI
È infatti sopravvenuta la prescrizione per i reati di incendio colposo e lesioni personali colpose. Prescrizione alla quale Moretti ha rinunciato per i soli reati per cui è scattata. Restano in piedi per tutti le accuse di omicidio colposo plurimo, lesioni gravi e gravissime, disastro ferroviario. «Come se non fosse successo niente. Come se i nostri cari non fossero morti bruciati. Come se sulla pelle i feriti non portassero alcun segno», ripetono a più riprese - nel commentare la prescrizione - i familiari delle vittime. Le cui vite sono state strappate via a causa del deragliamento del convoglio composto da 14 cisterne cariche di Gpl. Se fossero scoppiate quelle rimaste in piedi in mezzo all' incendio provocato dal gas fuoriuscito dalla cisterna che si è squarciata, Viareggio non esisterebbe più.
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