Paolo Salom per il “Corriere della Sera”
xi jinping
Dieci micro-Stati. Ma un'area immensa del mondo sulla quale esercitano se non la sovranità, comunque una sorta di condominio strategico. Il continente che non c'è, l'Oceania, è ora al centro di una contesa tra Potenze rivali.
Da una parte, la Repubblica Popolare che prova, dopo aver «assorbito» le Isole Salomone nella sua sfera di influenza (i due Paesi hanno di recente siglato un accordo sulla sicurezza) a diffondere la sua idea di cooperazione win-win ad altre piccole nazioni (in totale sono dieci) insulari. Dall'altra ci sono gli Stati Uniti che non hanno alcuna intenzione di cedere terreno - in questo caso: mare - alla rivale strategica.
isole salomone
Dunque il grande gioco oceanico si compone di sortite e lusinghe diplomatiche che qualche volta vanno a buon fine - come è accaduto con le Salomone - altre invece si trasformano in ritirate imbarazzanti (almeno per Pechino). Storicamente, le repubbliche spalmate nel Pacifico occidentale sono al centro di una disputa che finora ha visto prevalere la Cina su Taiwan, che si vede ormai riconoscere lo status di nazione indipendente soltanto da quattro capitali insulari (Palau, Isole Marshall, Nauru e Tuvalu).
wang yi con il primo ministro di fiji frank bainimarama
Ma le recenti schermaglie non hanno a che vedere (almeno non direttamente) con la rivalità diplomatica tra le due Cine. Pechino, con Taipei, ormai ha stabilito una politica muscolare che porta quasi giornalmente i jet militari con la stella rossa a entrare, non invitati, nello spazio aereo dell'«isola ribelle»: ieri la sortita ha impegnato ben trenta caccia e bombardieri vari.
Piuttosto, il presidente Xi Jinping, nella sua proiezione di potenza, prova ad «allontanare» dalle coste cinesi una presenza ben più ingombrante: quella degli Stati Uniti, di fatto capaci di controllare, con le proprie basi aero-navali, una linea di contatto che nasce in Corea del Sud, passa da Giappone e Taiwan per arrivare fino a Filippine e Indonesia. Gli arcipelaghi del Pacifico?
isole salomone
Quelli sono ben inseriti nella dinamica occidentale, ed è per questo che il ministro degli Esteri di Pechino Wang Yi si è imbarcato - per la verità con un po' troppa fretta - in un tour di dieci capitali oceaniche per proporre un accordo globale su «commercio e sicurezza» che, nelle intenzioni, avrebbe garantito l'inizio della fine dell'influenza americana e il battesimo di un processo «win-win» dove Pechino avrebbe figurato come pivot regionale «disinteressato».
Il progetto è fallito in partenza: Palau, isola-cliente di Taiwan (e dunque non invitata alla discussione), ha comunque messo in guardia i partecipanti alla riunione in parte virtuale e in parte in presenza, esortando i vicini a «leggere attentamente questi documenti» nell'interesse della «pace e della sicurezza nella regione», secondo un'intervista rilasciata dal presidente Surangel Whipps a Radio Australia.
penny wong ministro degli esteri australia
Whipps ha aggiunto che la sua piccola nazione è a disagio per la continua presenza di navi cinesi nel Pacifico, quindi il potenziale accordo «aumenta il nostro livello di preoccupazione» per la sicurezza.
La scorsa settimana era stato il presidente della Micronesia, David Panuelo, ad avvertire che i piani di espansione della Cina nel Pacifico minacciano la stabilità e potrebbero scatenare una nuova «guerra fredda» tra Pechino e l'Occidente. Alla fine Wang Yi è ripartito senza accordo, annunciando comunque «vittorie minori». E concludendo: «I tempi non sono maturi». Sollievo a Washington.
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