Tommaso Ghirardi
1. ADDIO VECCHIO PARMA IL CALCIO ASSASSINATO TRA TRAFFICI E IMBROGLI
Matteo Pinci per “la Repubblica”
Cinque presidenti in due mesi, 5 aste fallimentari, 114 calciatori di proprietà e 22,6 milioni di debiti sportivi. Il Parma Football Club sparisce per sempre. Bastano i numeri per raccontare la fine della società, sancita alle 14 di ieri dal giudice delegato Pietro Rogato. Ma non bastano a cancellare 102 anni di storia, 4 coppe europee, 3 coppe Italia e una supercoppa.
Era sopravvissuto al crac Parmalat e all’arresto di Tanzi cambiando nome, da Parma Ac a Fc. Non ce l’ha fatta dopo 218 milioni di debiti totali e un anno delirante: a novembre esplode il caso degli stipendi non pagati, poi lo scellerato travaso di quote da Ghirardi all’albanese Taçi, che in un mese ha alternato 3 presidenti - Pietro Doca, l’avvocato Giordano, il 29enne Ermir Kodra - fino alla folkloristica cessione per 1 euro a Manenti. Il 19 marzo la sentenza fallimentare aveva anticipato la tragedia sportiva: la città che dodici mesi fa aspettava (invano) l’Europa ripartirà dai dilettanti.
parma lucarelli
Alla deadline delle 14 non si è presentato nessuno disposto a farsi carico dei debiti: dopo le 5 aste fallimentari andate deserte, Giuseppe Corrado e l’ex giocatore di baseball italo-americano Mike Piazza, gli unici in trattativa privata, si sono ritirati.
Troppo complicato coprire i costi, i 4,5 milioni di valore patrimoniale oltre ai tanti debiti. Circa 27 milioni totali a cui aggiungere oltre cento contratti a bilancio, senza nemmeno la garanzia che la federazione di Tavecchio avrebbe riconosciuto sufficiente questo sforzo economico per l’iscrizione al prossimo campionato di serie B.
Pietro Leonardi
E pensare che per difendere i propri contratti, i calciatori - ora tutti svincolati - avevano rinunciato a qualcosa come 20-25 milioni di euro. Il lavoro dei curatori Anedda e Guiotto, coadiuvati da Demetrio Albertini, aveva portato complessivamente una scrematura del debito sportivo da 84 a 22,6 milioni certificati poi dal giudice, grazie anche alla transazione con quasi 300 creditori (c’era anche il City), di cui circa 250 calciatori.
Tanti ne aveva il Parma, delirio firmato Pietro Leonardi tra capriole contabili e strani incentivi all’esodo, concessi a giocatori acquistati un’ora prima: nell’estate del 2013 erano addirittura 245 gli atleti controllati. Era l’anno del centenario, investimenti in grande stile e, a fine stagione, lo storico ritorno in Europa. Un ritardo nel pagamento della quota Irpef su anticipi a giocatori in prestito, circa 300mila euro, costò però l’iscrizione all’Europa League: sembrava una crepa, nascondeva invece una frana che ha seppellito puntualmente il club. Ma una frana con molti colpevoli.
parma contestazione a manenti
Il movimento italiano ora si batte il petto: «Che non succeda mai più - le parole del dg della Figc Michele Uva, che al Tardini era stato con Tanzi- anche se la Federazione, con le regole vigenti, non poteva fare altro». li fa eco Maurizio Beretta, della Lega di A: «Noi abbiamo applicato le regole». Per evitare un Parma-bis, il 26 marzo la Federcalcio ha approvato nuove norme per l’iscrizione ai campionati che puntano al pareggio di bilancio entro 3 anni - e per l’acquisto dei club, vincolato dal 10% in su a criteri di solidità e onorabilità.
GIAMPIETRO MANENTI
Intanto è già partita la corsa al ripescaggio. Contano la graduatoria dell’ultima stagione, la tradizione sportiva, gli spettatori degli ultimi 5 anni e il pagamento di una quota d’ingresso di un milione di euro. Il Brescia, penultimo in serie B, spinge e pare favorito, sperano anche Cittadella, Entella, Bassano e Benevento. Ma non è escluso che il campionato riparta con una singolare formula a 21 squadre.
Al Parma invece non resta che la serie D, con una società nuova. Eppure il club sogna di andarsene con uno scudetto: quello dei Giovanissimi Nazionali, in semifinale nelle Final Eight di Chianciano Terme. Dovrebbero giocare grazie al sostegno economico di Barilla, la Figc ha dato parere favorevole: «Ci hanno assicurato che il Parma concluderà la stagione », giura il responsabile Palmieri. Comunque vada, almeno loro non hanno fallito.
parma coppa coppe
2. LE COPPE, I CAMPIONI E IL CRAC: L’EX ISOLA FELICE OLTRE I PROPRI MEZZI
Stefano Semeraro per “la Stampa”
A darle della provinciale un po’ ci si sentiva a disagio, perché Parma è città nobile, un filo altera, abituata a sentirsi grande. Anche nel calcio per lunghi anni è stata una squadra che voleva farsi regina, ed è andata vicina a riuscirci. Un’ascesa culminata negli Anni 90, ancora splendente a inizio del nuovo Millennio. Dalle braccia alzate di capitan Minotti allo sprofondo targato Parmalat, firmato Calisto Tanzi, il demiurgo e il killer di un grande sogno vissuto al di sopra dei propri mezzi ma che in campo mandava valuta vera e piedi nobili.
Favole crudeli
Idee rivoluzionarie, anche: quelle di Arrigo Sacchi, capace di stregare con i suoi furori il grande Milan, poi quelle di Zeman, che in amichevole arrivò a beffare Real Madrid e Roma.
La Parma di un modello apparentemente perfetto di integrazione fra sport e denari, abbagliata da cicli dorati: l’epopea di Nevio Scala, il vero profeta, l’uomo della prima Coppa Italia, strappata nel 1992 alla Juve, che già a pensarlo faceva venire i brividi.
CALISTO TANZI
Poi l’era Ancelotti, prima che nel cuore dell’Italia si aprisse una botola e una città, non solo una squadra di calcio, si accorgesse che la provincia felice può anche trasformarsi in una favola crudele, tirando all’inferno e bruciacchiando il ricordo di grande imprese. Di grandi vittorie, di una bacheca pesantissima, quasi surreale per una città di nemmeno 200 mila abitanti.
Tre Coppe Italia, una Supercoppa italiana, una Coppa delle Coppe, due Coppe Uefa e una Supercoppa europea. Solo Milan, Inter e Juventus hanno vinto di più a livello internazionale in Italia, ed è giusto ricordarlo adesso perché il Parma è stato soprattutto questo, un sovvertimento, un fenomeno sismico, un assalto al palazzo d’Inverno. Fallito dove falliscono quasi tutte le rivoluzioni: nel trasformare l’incendio in fabbrica duratura, in governo stabile.
parma veron coppa uefa
La «spaventagrandi»
L’album delle figurine, mischiando gli anni e le epoche, resta un angolo di paradiso, l’ultimo frequentabile: i prodigi di Zola, quando ancora non era Member of the British Empire, le sventagliate e il fosforo di Veron, le sgroppate di Dino Baggio, le intuizioni di Crespo e Filippo Inzaghi. Le capriole di Tino Asprilla. Una diga difensiva a 18 carati che faceva venire l’acquolina a tutte le teste coronate del pallone europeo: Buffon, Thuram, Fabio Cannavaro.
Campioni del mondo passati per il Tardini, cresciuti a «Pérma», abituati a procurare spaventi alle grandi. Soprattutto alla Juventus, l’avversaria degli scudetti sfiorati, mancati, del grande urrah sempre rimasto in gola alla provinciale senza complessi di inferiorità. Soprattutto quello del ’97, quando il cielo azzurro era lì, a portata di scarpino.
TOMMASO GHIRARDI
Patacche e ultimi lampi
Tutto finito nel fondo di magazzino di una storia molto italiana, nel fulgore posticcio di una patacca rifilata a finti russi, dopo gli anni di crepuscolo seguiti al crac Parmalat e la doppia discesa in B, la costituzione della nuova società, le risalite ardite, l’ultimo lampo del sesto posto in A nel 2013/14 che nascondeva lo sprofondo dei bilanci certificato dall’esclusione dall’Europa League.
In campo, sul palcoscenico, ha saputo essere dignitoso, anzi quasi miracoloso fino all’ultimo, il Parma, con l’onestà testarda di Donadoni, i guizzi finiti in mora di Cassano. Anche quando il velluto delle poltrone era sdrucito e i padroni avevano staccato il gas. Se l’Italia avesse una memoria, il Parma sarebbe una lezione da imparare.
cassano