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    ENI WAY - PERCHÉ CHIEDERE I DANNI SU UNA LICENZA DI ESTRAZIONE PER POI TRE MESI DOPO RICONOSCERE LA VALIDITÀ DEL PRODOTTO DI QUELLA STESSA LICENZA? C’È UN DOCUMENTO DEL 2018 CHE SMONTEREBBE LE ACCUSE ALL’ENI DELLA NIGERIA, COSTITUITASI PARTE CIVILE NEL PROCESSO IN CUI IL CANE A SEI ZAMPE E SHELL SONO ACCUSATE DI CORRUZIONE INTERNAZIONALE...


     
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    Alessandro Da Rold per "La Verita"

     

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    C'è un documento del 14 giugno 2018 che potrebbe mettere in serio imbarazzo il governo della Nigeria, costituitosi parte civile nel processo Opl 245, dove Eni e Shell sono accusate di corruzione internazionale. È una lettera firmata dall'ex ministro del petrolio Emmanuel Ibe Kachiwu dove si possono leggere le richieste da parte di Abuja di esercitare il diritto di «back-in right» (il diritto di rientrare con una quota dopo i rischi di esplorazione), in linea con gli accordi del 2011 stipulati proprio con le due compagnie petrolifere sotto accusa. La missiva, indirizzata a Massimo Insulla (direttore di Nigerian Agip exploration), rivela quindi che il governo nigeriano, a ben sette anni di distanza dal contratto e per di più a processo già in corso, non ravvedeva alcun problema o illecito nella condotta di Eni e Shell.

     

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    I toni del ministro del Petrolio sono molto cordiali, si legge appunto che Abuja intende rispettare l'articolo 11 dell'accordo del 2011 e che soprattutto è interessata alla decisione delle compagnie petrolifere di iniziare a estrarre petrolio. In pratica i nigeriani convengono con Eni e Shell, come si dice nel gergo petrolifero, di passare dalla «oil prospecting license» alla «oil mining lease»: dopo aver trovato il petrolio bisogna iniziare a estrarlo. La lettera smentisce anche la costituzione di parte civile decisa dal governo il 5 marzo del 2018, in apertura del processo Opl 245 di fronte alla settima sezione del Tribunale di Milano.

     

    emmanuel ibe kachiwu emmanuel ibe kachiwu

    Perché chiedere i danni su una licenza di estrazione che sarebbe stata comprata grazie alla corruzione e poi invece, tre mesi dopo, riconoscere la validità del prodotto di quella stessa licenza? Per di più nella richiesta di parte civile presentata dall'avvocato Lucio Lucia si smentisce il ministro nigeriano dell'epoca, perché si sostiene che le clausole di «back-in rights» siano stata ottenute «illegittimamente» e siano persino un ostacolo per il rientro del governo.

     

     Di più, si sostiene che Eni e Shell abbiano cercato in ogni modo di escludere la Nigeria da diritti contenuti nel contratto: un'affermazione smentita dalla lettera del 2018 di Emmanuel Ibe Kachiwu. Non è l'unico dei tanti misteri che ha caratterizzato in questi anni la linea difensiva del Paese africano. Del resto nel 2017 la Nigeria non intendeva costituirsi parte civile.

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     Poi nel 2018 cambiò idea, decidendo di affidarsi allo studio legale Johnson & Johnson, dove il titolare è lo sconosciuto Babatunde Olabode Johnson, un presunto avvocato che si fa coprire le spese legali da una società anonima, l'americana Poplar falls llc, fondata nel 2016 nel Delaware dal fondo Drumcliffe partners. Come già raccontato dalla Verità lo scorso anno, in questa ragnatela di sconosciute società si nascondono particolari molto particolari. Stando ai contratti, infatti, Poplar falls incasserà il 35% in caso di successo nella causa.

     

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    Si potrebbe trattare di una cifra spropositata, perché gli avvocati che seguono la Nigeria nel processo di Milano hanno chiesto danni per 1,1 miliardi di euro. La cifra, quindi, dovrebbe toccare i 382 milioni di euro per la Poplar, a cui si aggiungerebbero anche 55 solo per Drumcliffe. Sempre stando agli accordi con Johnson & Johnson, i soldi che potrebbero arrivare in caso di condanna di Eni e Shell non andranno subito al governo di Abuja, quindi non torneranno ai cittadini nigeriani, ma rimarranno su un conto vincolato controllato da un avvocato nominato sempre da Poplar. Queste strane vicende sono da mesi all'attenzione dell'opinione pubblica nigeriana. In Italia in tanti hanno iniziato a porsi delle domande su dove voglia davvero andare a parare il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari.

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    Del resto, il comportamento incomprensibile del 2018 negli anni successivi è proseguito. Mentre il processo continuava a celebrarsi nelle aule del Tribunale di giustizia di Milano, sempre la Nigeria - a metà 2020 - ha deciso di affidarsi a un altro studio legale di Londra, Franklin Wyatt. Quest' ultimo sarebbe stato incaricato di trovare un nuovo accordo con Eni e Shell, con l'obiettivo di evitare la data di scadenza della concessione, ovvero il maggio del 2021. Ma qualcosa è andato storto. Non a caso Eni ha deciso di avviare un arbitrato internazionale presso la Banca mondiale per dirimere la controversia sul giacimento. Il prossimo 17 marzo si aprirà la camera di consiglio sul processo. E i giudici di Milano decideranno l'innocenza o la consapevolezza delle due compagnie petrolifere come dei loro amministratori, tra cui l'attuale amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi.

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    nigeriani. Dopo un investimento di 2 miliardi di dollari, infatti, Eni e Shell perderanno a maggio i diritti di estrazione senza aver mai estratto una goccia di petrolio. Il governo di Abuja spera di incassare 1,1 miliardi di euro. Ma non si sa dove andranno a finire i soldi. Mentre l'indotto delle estrazioni petrolifere, 200.000 posti di lavoro e 41 miliardi di dollari in 25 anni, è andato perso. Del resto, dopo dieci anni così, quale compagnia vorrà occuparsi di Opl 245?

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