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    PERCHÉ IL GOLPE IN TURCHIA E’ FALLITO MISERAMENTE? I MILITARI HANNO COMMESSO CINQUE ERRORI: L’ASSENZA DI UN COMANDO UNIFICATO E DI UN LEADER CARISMATICO, I GOLPISTI HANNO SOTTOVALUTATO L’IMPATTO DEI SOCIAL, POTEVANO UCCIDERE ERDOGAN E NON L’HANNO FATTO, NON SONO RIUSCITI A CONQUISTARE TUTTE LE TV


     
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    TURCHIA MILITARI ARRESTATI 2 TURCHIA MILITARI ARRESTATI 2

    Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”

     

    Per almeno cinque ore il «regno» di Recep Tayyip Erdogan è stato in serio pericolo. Ma come mai il golpe militare è fallito? Come mai il golpe militare è fallito? Sono tante le risposte più o meno fattuali che arrivano dalla Turchia, ma anche dai commentatori internazionali. Ciò che abbiamo capito sino a ieri sera qui dalla capitale turca, dove i militari golpisti si erano concentrati, è che comunque per almeno cinque ore il «regno» di Recep Tayyip Erdogan è stato in serio pericolo. Il presidente poteva essere arrestato, o addirittura ucciso.

    GOLPE FALLITO IN TURCHIA GOLPE FALLITO IN TURCHIA

     

    Ma poi il caso, la sfortuna, una serie di errori clamorosi hanno penalizzato i golpisti. Oltre ad un altro elemento centrale e talvolta dimenticato: Erdogan resta un leader molto popolare, detestato dalle élite laiche, ma con un forte sostegno anche in una parte di quello stesso esercito che avrebbe voluto silurarlo una volta per tutte.

     

    LA DISORGANIZZAZIONE

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    I putschisti non sono un gruppetto di isolati, come è stato riferito, giudicando soprattutto dalla velocità con cui si sono arresi. Tutt'altro. Tra loro troviamo i comandanti della Seconda e Terza armata schierati lungo la Siria, il confine più importante e instabile del Paese, che comprende anche la base aerea di Incirlik, da dove i jet Usa assieme ai loro alleati della Nato bombardano le roccaforti di Isis.

     

    Ci sono inoltre commando scelti che operano dagli elicotteri, uomini della gendarmeria e della polizia, battaglioni di carristi, intere squadriglie dell' aviazione. «Il problema è stato che tutte queste forze, che compongono la parte migliore del nostro esercito, mancavano di un comando unificato e di un leader politico che sapesse parlare alla nazione fuori dal linguaggio militare. Sono come fantasmi del passato», ci ha spiegato ieri Orhan Bursali, commentatore del quotidiano Hurriyet . «Loro credevano che sarebbe bastato catturare il capo di stato maggiore, generale Hulusi Akar, e costringerlo a fare una dichiarazione pubblica alla nazione in loro sostegno per vincere il consenso. Ma hanno fatto i conti senza l' oste.

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    Akar una volta nelle loro mani già prima della mezzanotte di venerdì rifiuta di cooperare. E intanto altri comandanti dell' esercito reagiscono con forza. Tra loro importantissimo è il generale Umit Dudar, responsabile della piazza di Istanbul, che ordina la resistenza armata».

     

    ERDOGAN SU FACETIME

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    Il momento centrale del golpe sarebbe l'eliminazione del presidente. Il calcolo sulla carta non è sbagliato: visto il carattere sempre più totalitario del regime, se uccidi il capo cade l'intera costruzione. I putschisti ci provano. Verso le 23 alcune decine di loro attaccano a piedi i palazzi lussuosi dello Grand Yazici Turban, il club esclusivo sul mare nei dintorni di Marmaris, dove Erdogan è in vacanza con la famiglia. Ma la guardia presidenziale reagisce al fuoco con determinazione, quindi sposta il presidente in un hotel vicino.

     

    Nello stesso tempo il neo-primo ministro Binali Yildirim appare alla televisione nazionale per chiedere alla popolazione di resistere. Anche Erdogan decide che deve farsi vedere e lo fa su FaceTime con il suo iPhone: chiama una giornalista della Cnn turca che lo trasmette in diretta. E lui si mostra invitto, aggressivo: «Scendete in piazza, resistete! Presto sarò nelle strade di Ankara con voi!». È l' uso inedito dei social media in difesa del governo.

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    Nelle primavere arabe sono serviti per rovesciare i regimi, qui si rivelano fondamentali per difenderlo. Intanto, i golpisti capiscono che devono farlo tacere a tutti i costi. Mandano tre elicotteri carichi di teste di cuoio. Ma lui ha avuto il tempo di salire su di un aereo (o forse un elicottero) alla volta dell' aeroporto Atatürk di Istanbul, i cieli di Ankara sono troppo insicuri. Quando il suo hotel viene infine bombardato lui sta già a migliaia di metri d' altezza.

     

    L’OCCASIONE PERDUTA

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    C'è però ancora un momento cruciale. Avviene quando gli F16 partiti dalle basi vicino al confine siriano intercettano il velivolo presidenziale. Potrebbero abbatterlo con un missile, una semplice mitragliata. Nell'entourage di Erdogan tanti sono presi dal panico. Ma gli altri non sparano, si limitano a scortarli da vicino. Nel frattempo però, quando sono nel mezzo del Mar di Marmara tra i Dardanelli e il Bosforo, sopraggiungono gli F16 mandati dall'aviazione lealista a Istanbul e gli aerei golpisti se ne vanno senza sparare un colpo.

     

    Alle 3.20 di sabato mattina Erdogan atterra a Istanbul con i suoi sostenitori in delirio che al prezzo di morti e feriti hanno sfondato i cordoni dei militari golpisti. Nelle tre ore precedenti il suo atterraggio il Paese vive nella totale incertezza. I caccia golpisti attaccano il parlamento ad Ankara, bombardano e minacciano i palazzi vicini dei massimi organi militari. A terra le teste di cuoio della polizia cercano di catturare Hakan Fidan, capo dei servizi segreti, che però riesce a fuggire.

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    Oggi è sotto accusa per non aver saputo intercettare il complotto. O meglio, averlo scoperto troppo tardi. Pare infatti che l' inizio fosse previsto per le cinque della mattina di sabato, anticipato a venerdì sera proprio per il fatto che i lealisti lo avevano appena scoperto. «Gli F16 volavano bassissimi sul Parlamento, sparavano nella totale impunità. Anche se ho l' impressione che la maggioranza dei botti fosse dovuta al loro infrangere il muro del suono, volevano fare paura più che distruggere», ci racconta un diplomatico occidentale residente nei pressi del parlamento.

     

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    IL SULTANO DEL POPOLO

    Con Erdogan vivo e attivo a Istanbul la situazione precipita molto rapidamente per i golpisti. I suoi fedelissimi si muovono come milizie paramilitari. Le unità ribelli si arrendono in massa. Non sono riuscite a controllare almeno 25 televisioni private e centinaia di radio filo-governative. Non hanno mai avuto il monopolio della comunicazione. Soprattutto emerge nel loro fallimento la grande popolarità di Erdogan. «Nel mondo si dimentica che almeno il 51 per cento di oltre 80 milioni di turchi sta con lui», ci racconta Hurichan Islamoglu, docente di storia economica all' Università del Bosforo.

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    «E il segreto del suo successo resta soprattutto economico. In 13 anni Erdogan ha rivoluzionato il Paese. Ha creato una nuova classe media di ex contadini urbanizzati che lo adora. Lo posso paragonare alla Democrazia cristiana italiana tra il 1950 e il 1980: era popolare perché aveva garantito il boom economico, non per il fatto che era cristiana. Il nostro reddito pro-capite medio è passato con lui da 2.000 dollari annuali a 11.000. Se non si comprende questo non si capisce come mai è sopravvissuto al golpe».

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